2025-09-20
La Cartabia fa felici le borseggiatrici. Fermate 130 volte ma niente cella
A Venezia sono state denunciate decine di ladruncole ma la riforma della giustizia targata Draghi ha reso il reato impossibile da contenere. Manca la querela o il colpevole risulta irreperibile? Il processo non si fa.Fermate, denunciate e rimesse in pista: la giostra della manolesta gira più veloce della giustizia. È la cartolina di Venezia, la città dove la polizia locale interviene e i giudici rilasciano le borseggiatrici. Dove i cittadini segnalano e gli avvocati delle indagate controquerelano. Capovolgimento perfetto: chi segnala rischia di finire sotto tiro. Con la riforma Cartabia che ha trasformato il furto con destrezza in un reato che spesso sopravvive solo se la vittima trova il tempo e la voglia per firmare una querela e se poi il processo non si ferma davanti all’ulteriore scoglio dell’irreperibilità dell’imputato.I numeri fotografano il fenomeno: la squadra antiborseggio nei primi nove mesi dell’anno ha fermato 130 borseggiatrici. Sei gli arresti. Zero carcere. Portafogli svuotati e poi abbandonati (l’ufficio reperti è arrivato a quota 900 da gennaio), fogli di via violati in modo seriale, minorenni collocate in comunità e fuggite dopo un’ora. Nel frattempo scorrono i casi-simbolo: la più famosa delle borseggiatrici, diventata il simbolo dell’inefficacia delle misure di prevenzione e delle pene, è stata ribattezzata «Shakira» dai social. Ventenne, su di lei pendeva da mesi un ordine di cattura e a febbraio 2025 il Tribunale delle misure di prevenzione le ha imposto un divieto di soggiorno biennale in laguna.A inizio agosto è stata arrestata. Ha oltre 60 procedimenti penali alle spalle, anche per fogli di via e divieti di dimora violati in serie. Il 5 settembre è stata condannata a un anno per violazione del divieto di dimora. Non ha messo piede in carcere e il giorno dopo la città si è ritrovata al punto di prima. Poi c’è Cristina, incinta al nono mese (era anche oltre termine), è stata fermata l’altro giorno mentre con una complice minorenne bosniaca tentava di derubare una turista polacca. Nuova denuncia per tentato furto in concorso e violazione del foglio di via già più volte infranto. Le è stata contestata anche l’ennesima inosservanza del provvedimento di allontanamento.Gli agenti hanno messo al corrente la turista della necessità di formalizzare la querela per dare seguito all’azione penale. Ma intanto, come accaduto solo dieci giorni prima quando era stata sorpresa ancora una volta a rubare, è di nuovo libera di farlo. La stessa voce istituzionale che conta i portafogli punta il dito sul buco normativo: «Nonostante i problemi legislativi e normativi», spiega il vicecomandante della polizia locale Gianni Franzoi, «continuiamo a operare e dai bilanci che continuiamo a produrre i risultati si vedono».Si potrebbe archiviare tutto nella categoria «effetti collaterali da città turistica», se non fosse che qui il dispositivo penale, come lamentano le autorità, è diventato protagonista del problema. La riforma Cartabia ha creato un muro di gomma. Non è un’opinione: la giurisprudenza di legittimità ha già annullato condanne per furto con destrezza per difetto di querela, spiegando che, «per effetto della riforma», senza la manifestazione di «volontà punitiva», l’azione penale «è improcedibile». L’altro meccanismo giuridico salva borseggiatrici innescato dalla Cartabia è l’irreperibilità: se l’imputato non sa del processo, la prescrizione resta sospesa mentre la polizia lo cerca; le ricerche si rinnovano periodicamente e se la persona non viene rintracciata entro i termini, il giudice emette una sentenza di «non doversi procedere». E con imputati senza fissa dimora, con identità fluide o dimore fittizie, è facile immaginare come vada a finire.Sull’altro fronte c’è la cittadinanza organizzata, che prova a tappare le falle. Il gruppo dei «Veneziani non distratti» segnala e disturba le borseggiatrici. In alcuni casi le rincorre. Negli ultimi giorni è diventato virale il video di due turiste costrette a chiedere aiuto a una struttura ricettiva dopo essere state pedinate da quattro borseggiatrici che le hanno molestate e insultate. Monica Poli, la voce che da anni risuona tra calli e pontili con il suo «Attenzione pickpocket!», già aggredita nel marzo 2024 da due borseggiatrici, è diventata persino bersaglio di volantini anonimi (firmati da sedicenti «investitori di Venezia» e affissi anche agli approdi dei vaporetti) che l’accusano di rovinare «gli affari» dei Lupin di piazza San Marco e dintorni e di istigare «alla violenza». Nei volantini viene addirittura chiesto alla Guardia di finanza di verificare i conti delle sue attività sui social. Il governatore Luca Zaia l’ha incontrata e ha detto in modo chiaro: «Va ringraziata, perché svolge un’azione civica importante. Il Parlamento dovrebbe tutelare chi segnala reati, se filmi una persona che ruba, non sei tu a commettere un reato, ma chi sta rubando».Negli stessi giorni ha rilanciato la linea dura sui recidivi, chiedendo l’uso di braccialetti elettronici per tenerli sotto controllo. Ma qui arriva l’altro paradosso giuridico: fotografare per documentare un reato si può, diffondere i volti sui social no; trattenere fisicamente un presunto ladro è un precipizio penale che può trasformarsi in sequestro di persona. Il risultato lo riassume, sconfortato, il comandante della polizia locale Marco Agostini: «Un paio di cittadini sono stati denunciati perché hanno fermato i borseggiatori». Dopo una sentenza della Corte costituzionale del 1993, infatti, il cittadino non può trattenere i presunti autori di furti con destrezza di piccola entità. Uno scenario in cui chi commette un reato sembra avere più diritti della vittima.
Norma Cossetto. Nel riquadro la targa in suo ricordo vandalizzata
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro il consigliere Pd Mattia Abdu