
Il militare-scrittore: «Ho querelato Bersani perché ha esagerato Lo avrei volentieri sfidato a duello, ma purtroppo non si può...».Egregio direttore Belpietro, mi sono ancora una volta guadagnato la prima pagina del suo giornale grazie allo stimato direttore Mario Giordano. Sinceramente, non me lo aspettavo. Il caro direttore Giordano è deluso dalle querele nei confronti di chi mi ha offeso, lui che da sempre si batte per la legalità, per la democrazia, per il libero pensiero. Avrei dovuto lasciar perdere, secondo lui, in nome proprio della libertà di espressione. Mi dispiace averlo deluso, ma questa volta credo proprio che abbia preso un granchio, forse uno di quei granchi blu che da qualche tempo abbondano nei nostri mari. Io sostengo strenuamente la libertà di espressione, la possibilità di dire ciò che si pensa, ciò che si vuole, ciò che si sente anche se sbagliato, scorretto, scientificamente assurdo, illusorio e anche strampalato ma il tutto si deve inquadrare nel rispetto del prossimo. Come diceva mio nonno, «la tua libertà finisce dove inizia quella di un altro» e credo proprio che la libertà dell’onorevole Bersani sia finita quando si è sovrapposta con la mia libertà di non essere offeso e schernito. Sdoganare il turpiloquio e l’offesa gratuita non è una istanza che promuove la libertà di pensiero bensì si inquadra nell’ideologia spesso amaramente diffusa che confonde la democrazia con l’anarchia. Peraltro, l’offesa, non aggiunge alcunché al dibattito, anzi, lo relega al rango di gazzarra dei peggiori bassifondi. Le regole esistono, vanno rispettate, vale per le borseggiatrici del metrò, per i delinquenti, per i maleducati graffitari, per chi imbratta i monumenti e blocca i nostri assi stradali in nome di un ambientalismo farlocco e anche per i diffamatori seriali che, in virtù della loro presunta superiorità culturale, pensano che a loro sia tutto concesso. Mettere sullo stesso piano la libertà di espressione con la presunta libertà di offesa corrisponde a equiparare la libertà ed il diritto a possedere una casa alla presunta libertà e diritto di occuparla abusivamente quella stessa casa. E poi al direttore Giordano voglio precisare che anche nella quantificazione ha preso un abbaglio, non una raffica di querele, come se avessi sventagliato con un’arma automatica, ma solo due colpi, due precisi colpi mirati, da cecchino che usa un’arma a manovra ordinaria senza provocare danni collaterali. Se avessi dovuto querelare tutti quelli che sproloquiando mi hanno dato del razzista, dell’istigatore dell’odio, dello xenofobo e del troglodita avrei intasato i tribunali di mezza Italia. Due colpi esemplari, invece, uno ad una persona che proprio per la posizione che occupa non si dovrebbe permettere di uscire fuori dal perimetro consentito dalla legalità e l’altro ad un utente di X che, oltre a tanti simpatici epiteti, mi ha assegnato quello di «pezzo di merd@». Ora, vede direttore, per il lavoro che faccio sono entrato in contatto molto di frequente con escrementi di varia natura ma alla prima occasione utile mi sono sempre lavato. Anche perché tra noi incursori vige il proverbio «quando puoi mangia, non sai se mangerai domani, quando puoi lavati non sai se ti laverai domani». E voglio anche rassicurarlo, il direttore Giordano, neanche a me piacciono i tribunali, sono luoghi a me estranei, posti che non frequento, non ne conosco l’odore, la temperatura, l’umidità e neanche i rumori. Per indole e per professione, tuttavia, sono abituato ad adattarmi all’ambiente, alle condizioni, alle circostanze che trovo. La considero una capacità critica, esistenziale. Posso usare la matita che ho nel taschino per difendermi dal ceffo chi mi aggredisce, sono capace a realizzare degli esplosivi a partire da semplici componenti che trovo in commercio, so reperire l’acqua anche nei posti più aridi. Sono addestrato così: ad adattarmi, a plasmarmi, a sfruttare qualsiasi opportunità che mi possa portare un vantaggio e, purtroppo o per fortuna, l’unico modo per ottenere giustizia, oggi, nella società in cui viviamo, sono le vie legali. Con l’onorevole Bersani avrei preferito un altro modo per riparare il torto: fossimo vissuti solo 90 anni fa lo avrei sfidato a duello, all’arma bianca. All’alba, in uno dei nostri bei parchi cittadini, alla presenza di due testimoni e, se avessi vinto - come penso - non avrei infierito sul suo corpo. Peraltro, credo - ma questo nessuno lo saprà mai - che l’onorevole Bersani non avrebbe accettato la sfida perché i leoni da tastiera, o da microfono e telecamera, quando vengono messi alle strette scompaiono, si dileguano, svaniscono, sublimano. Solo una questione d’onore, lo so, insieme alle tradizioni, alla cultura, alle radici, alla civiltà, all’identità, all’italianità, sono concetti e principi che si stanno perdendo.Con stima
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L’ex capo del Senato, all’epoca pm dell’inchiesta, nega che la «prova regina» fosse agli atti. Le carte dicono il contrario.






