2025-06-29
Il carnevale largo di Budapest
Foto tratta dal profilo Instagram/@ellyesse che ritrae la segretaria del Pd Elly Schlein in piazza a Budapest (Ansa)
L’opposizione si trova unita solo in Ungheria: Schlein, Calenda, + Europa e sinistre varie sfilano a casa di Orbán con slogan risibili («No pasaran», «Bella ciao», «Non si vieta l’amore») sperando nell’incidente politico. Ma non succede nulla: una pagliacciata.«Ciò che è mio è mio e ciò che è tuo è ancora mio». La semplificazione di Giovanni Guareschi per definire il comunismo alla tagliatella ha più di 50 anni ma non passa di moda. Bisognerebbe tradurla in ungherese per spiegare il senso dell’invasione arcobaleno della sinistra italiana a Budapest, con la colonna sonora dei Village People, per imporre il woke, il gender, l’utero in affitto, l’eutanasia, e già che ci siamo l’ateismo di Stato a un popolo che ne fa volentieri a meno. E poiché il magiaro medio non avverte l’urgenza di sfilare con le piume in testa e la canotta traforata innalzando falli di cartapesta, ecco che diventa illiberale, reazionario, contrario ai «valori condivisi» con Alessandro Zan e Marco Cappato, con i quali non vorrebbe condividere neppure un gulasch freddo.L’Europa della democrazia e delle genti che «esaltano il cammino comune con le loro differenze» (Altiero Spinelli, Ventotene, era la penultima gita della scolaresca dem) si affloscia lungo il Danubio, dove il progressismo della tolleranza si toglie la maschera e mostra il ghigno consueto di chi intende una sola libertà: quella di seguire con il passo da burattino il modello socialista. Lo spiega senza neppure pensarci Elly Schlein, in conferenza stampa a fianco della capogruppo della Sinistra europea Iratxe Garcia Perez: «Siamo qui per difendere libertà e democrazia. Non si può vietare, come fa Viktor Orbán, l’amore per legge. Non si può cancellare la differenza di genere. Vietare il Pride è una violazione dei diritti costituzionali europei». Il corteo è così vietato che lei lo percorre e ripete «No pasarán», il motto comunista nella guerra di Spagna, il grido di chi scavava fosse comuni per metterci comodi i sacerdoti dopo avere bruciato le chiese.La delegazione socialista europea è la più nutrita e Schlein coglie l’occasione per richiamarla all’ordine: «La Commissione e il Parlamento devono utilizzare tutti gli strumenti perché non può passare l’idea di un’Europa à la carte, in cui tu decidi cosa vuoi e cosa non vuoi». Un’uscita pesante, un calcio ai trattati sulla sovranità nazionale, la consueta pulsione gruppettara e postmarxista dell’unica verità, quella che sta a sinistra. Poi la segretaria del Pd, dal palcoscenico ungherese, lancia qualche petardo a Roma. «In Italia stanno bloccando leggi contro l’omofobia, dobbiamo lottare insieme. La vergogna sono gli omofobi, non noi che manifestiamo». E fa rientrare fra gli omofobi anche i parlamentari del suo partito che lavorano per leggi equilibrate sul fine vita, sono contrari all’utero in affitto, si tengono lontani dai desideri Lgbt e non partecipano ai Pride. Questo la dice lunga sull’interpretazione piddina della parola libertà. Nella carnevalata politica di Budapest, à la carte c’è di sicuro un quintale di massimalismo. Lo esercitano in blocco anche il libbberal-socialista Carlo Calenda («Si all’Europa dei diritti, no a quella di Orbán amico di Putin»), la delegazione arcobaleno inviata dal sindaco di Milano Beppe Sala, il titolare di cattedra gay Alessandro Zan, che qualche anno fa era così democratico da voler mandare in prigione come omofobo chi sostiene che i sessi biologici sono due. Se fosse passato il suo decreto legge, ogni manifestazione Pro Vita e Famiglia sarebbe stata vietata. Deluso per non aver subito eroici schiaffi, è in modalità indignazione: «Vietare un Pride - (parla mentre lo sta allegramente facendo, ndr) - in uno Stato membro dell’Ue è inaccettabile. Bruxelles ha il dovere di agire contro il divieto imposto da Orbán. Le parole non bastano contro una deriva autoritaria che colpisce i diritti e le libertà di tutti. Se qui si può vietare un Pride senza conseguenze», tuona mentre continua a camminare nel corteo inesistente, «domani potrà accadere altrove. Magari in Italia, dove Giorgia Meloni sembra seguire il manuale Orbán». C’è qualcosa di surreale nell’aria di Budapest, anzi di magrittiano: Ceci n’est pas une pipe. E intanto fuma.La fiumana arcobaleno è un circo Medrano di vip e minivip. Non si sa a quale categoria appartenga la prezzemolina Greta Thunberg, ancora incerta su cosa fare da grande dopo aver salvato il pianeta come Bruce Willis in Armageddon. Comunque lei c’è e non è più preoccupata per il destino del permafrost. Ora la sua priorità è un’altra: «Il Pride riguarda la resistenza, l’amore è la celebrazione di ciò che siamo. Il divieto è un attacco fascista ai diritti umani». Poco lontano sfila Ivan Scalfarotto, l’inviato speciale di Matteo Renzi, assente perché impegnato in spiaggia a sfogliare manuali di filosofia comprati alla stazione centrale di Milano, buoni per le citazioni in Parlamento. Poteva mancare la delegazione del Movimento 5 Stelle? No che non poteva. Ecco Alessandra Majorino e Gabriella Di Girolamo con tre parole che finalmente contengono una notizia. «Il fiume colorato che ha invaso pacificamente Budapest è la riposta dell’Europa che non arretra davanti all’intolleranza». «Fiume colorato», «pacificamente», «invaso»: significa che il Pride vietato è andato in onda. Significa che Orbán non ci è cascato e che l’Ungheria non è il quarto Reich. Significa che chi è andato sul Danubio da martire può tornare sul Tevere da turista.
Luca De Carlo (Imagoeconomica)