2023-07-01
Dentro la mente di Donato Bilancia, il più spietato dei serial killer italiani
Il nuovo libro di Carlo Piano ricostruisce la storia dell’omicida, che uccise 17 persone in appena sei mesi terrorizzando la Liguria. Fra le sue vittime, anche due giovani donne scelte a caso sui treni dei pendolari.Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto di Il torto. Diciassette gradini verso l'inferno di Carlo Piano (e/o, 18,5 euro, 272 pagine). Il libro indaga, anche attraverso i documenti processuali, sulla personalità del serial killer Donato Bilancia e ricostruisce i suoi 17 omicidi in sei mesi.Quel dolore acuto e lancinante era tornato a trivellargli l’emisfero cerebrale dove nascono le emozioni. Doveva uccidere una donna, una qualsiasi. «Pensieri che non riuscivo ad afferrare mi gettavano in confusione. Ero piombato in trance. E allora mi sono messo a girovagare per i viottoli che da Borgo Incrociati portano alla stazione di Brignole. Lì sono montato sul primo treno che passava, senza neppure badare a dove fosse diretto. Per quello che avevo da fare, una destinazione valeva l’altra». La settimana dopo Elisabetta Zoppetti avrebbe dovuto spegnere trentatré candeline. In quel momento aveva ancora trentadue anni, il numero venerato da Walter. Faceva l’infermiera e assisteva i malati, spesso senza speranza di guarigione, all’Istituto dei tumori di Milano. Era moglie di Giulio e madre della piccola José. I capelli neri come le penne di un corvo a mezzanotte, divisi nel mezzo, scendevano ai lati del collo in cascate di riccioli. Una carnagione color avorio e labbra tratteggiate sotto un nasino all’insù.«Non ero salito in treno per cercare una da spupazzarmi a letto. L’idea fissa era un’altra. La preda doveva però essere necessariamente una donna, non importa chi: quella brunetta lì andava benissimo, credo che fosse la logica conseguenza del programma che avevo intrapreso dopo aver orecchiato la frase di straforo, nei bagni della bisca, quando avevo scoperto che gli “amici” mi pelavano dei soldi…». Era un pomeriggio quasi caldo. Si ritrovò senza accorgersene nella pancia metallica del pendolino, pressoché vuoto, che saliva a Milano per poi fare tappa a Verona e terminare la sua corsa alla stazione Santa Lucia di Venezia. In pochi si spostavano nel giorno di Pasqua. Il treno accelerava ingoiato dal buio delle gallerie che traforano l’Appennino. Nello scompartimento di prima classe, carrozza dieci, un vetro era abbassato per tre quarti e le tendine marroni fustigavano i montanti del finestrino. Il posto numero dodici era occupato da una donna sola, piacevole ma non appariscente. Stava sfogliando una rivista femminile. «La sua aria da santerellina mi ha eccitato […] Mi sono piazzato in piedi in fondo al corridoio aspettando che succedesse qualcosa. Lei si è alzata stringendo la borsetta al petto e si è diretta verso di me. Passandomi davanti, si mise di traverso e strusciò senza volerlo il suo corpo contro il mio. Chiese: “Mi scusi, per andare in toilette?”. Sorrideva e allora io le indicai la direzione giusta ricambiando il sorriso, ma avevo già deciso che l’avrei stecchita anche se non mi aveva fatto niente». […] Walter, senza biglietto e stordito dalla calura inusuale, seguì di soppiatto Elisabetta. Il sudore sgocciolava dalla fronte irritando gli occhi biliosi e lacrimanti. Si fermò a gambe divaricate di fronte alla ritirata, dove la morte, in combutta con un destino infame, era pronta a prendersi l’infermiera. Forse lei era quella che doveva pagare per tutte. «Di colpo ho spalancato la porta, facendo scattare la serratura con una chiave falsa. […] La signora appena mi ha visto si è messa a starnazzare come un’anatra e allora io cosa dovevo fare per zittirla? Le ho messo la giacchetta come cappuccio, per non vedere il macello, e ho premuto il grilletto. Il fracasso del treno ha coperto il botto. Soffro la vista del sangue fin da bambino, quando mi sbucciavo le ginocchia stavo malissimo. Sono capace di svenire per un taglietto». «Non le ho fatto niente, dal punto di vista sessuale intendo. Dalla sua borsa non ho rubato nulla, ho sfilato soltanto il biglietto che spuntava fuori e che mi serviva per non prendere la multa. Quando sono sceso, visto che nessuno me lo ha chiesto, l’ho stracciato e buttato via». «L’ho uccisa nel tratto fra Serravalle e Tortona, dove pensavo che questo pendolino fermasse, ma invece ha saltato la stazione e tirato dritto fino a Voghera. Sono rimasto chiuso in bagno con il cadavere steso a terra un quarto d’ora o venti minuti. Da questo intervallo ho dedotto di averla fatta fuori verso Tortona. In quel lasso di tempo mi domandavo cosa fosse accaduto. Ero davvero io ad aver combinato quel carnaio? Non era possibile: mi hanno sempre insegnato a rispettare le donne. Una parte di me, malsana e ingovernabile, doveva aver preso il sopravvento. Non c’è altra spiegazione».Walter fissava il corpo inerme come fosse un bicchiere irrimediabilmente rotto. I cocci erano sparsi sul pavimento della latrina e non poteva più ricomporli. Racconterà i fatti agli inquirenti come se stesse leggendo una storia uscita da pagine scritte da altri. Farneticava di sentirsi una vittima e non un persecutore, un uomo buono esposto alla malignità del mondo.«Sono sceso a Voghera senza che nessuno ci facesse caso, anche perché a Pasqua c’era il deserto. Il posteggio dei tassisti era vuoto, il bar tabacchi con la saracinesca abbassata, la biglietteria chiusa, ho visto solo una biondina, con le gambe lunghe e gli stivali, che passava a cavallo di un ciclomotore con la marmitta bucata e faceva un fracasso del diavolo. Poi è tornato il silenzio». […]«Ho preso il treno che tornava giù a Genova, era in ritardo di dieci minuti. Mai che siano puntuali. Non mi ricordo cosa ho fatto quella sera. Sesso? Casinò? Non mi pare, no. Ho letto la Gazzetta rosa, il Genoa tanto per cambiare aveva perso in trasferta due a zero con la Fidelis Andria e forse ho guardato un po’ di televisione. Prima avevo telefonato ai miei genitori per fare gli auguri di Pasqua. Il mio segno zodiacale è molto attaccato alla famiglia. Sentivo una lama che mi sfilettava la fronte». […]«Io so soltanto che sono andato a Brignole con l’intento di ammazzare e che dovevo farlo… Quella povera crista, che ancora mi appare negli incubi, non aveva fatto nulla per meritarsi una pallottola alla nuca. Ha avuto la sfiga di trovarsi sulla mia strada nel giorno sbagliato. Ha lasciato pure un’orfana di quattro anni, ecco io non lo sapevo sennò avrei scelto un’altra. Il rimorso mi perseguita, ma ormai quello che è fatto è fatto. Giuro però di non aver approfittato di lei, anzi mi faceva pena vederla così, raggomitolata su quel lerciume di pavimento». [...]Il cadavere venne scoperto alle sei di sera, all’interno della toilette di prima classe dell’Intercity 631 La Spezia-Venezia, durante un controllo a Verona Porta Nuova. […]Elisabetta, assieme al marito e alla figlioletta José, si trovava a Lavagna, nel Levante, per trascorrere la Pasqua nella casa al mare dei suoceri. Il lunedì dell’Angelo non avrebbe dovuto lavorare, ma all’ultimo istante aveva acconsentito a cambiare il turno per fare un piacere a una collega, che aveva avuto problemi familiari. «Ero in Liguria con mia figlia per fare compagnia a mio padre malato. Elisabetta mi aveva raggiunto e avrebbe dovuto fermarsi anche la sera se non ci fosse stato quel cambio di programma. Se fosse arrivata viva a Milano, avrebbe preso servizio in ospedale alle ventidue per fare la notte». Così, dopo uno spuntino che nulla aveva a che fare con un pranzo pasquale, Giulio l’accompagnò in macchina alla stazione di Chiavari. Alle 14.21 era salita sulla carrozza di prima classe. Il giorno precedente avevano scelto quel treno consultando l’orario, era il più comodo: sarebbe arrivata intorno alle diciassette e avrebbe avuto il tempo di passare da casa, farsi una doccia, mangiare qualche cosa e infine andare all’Istituto dei tumori in via Giacomo Venezian. Il marito sarebbe invece rientrato con la bimba il pomeriggio successivo. Giulio acquistò per Elisabetta un biglietto di prima. Un gesto di affetto per regalarle un viaggio comodo anche in vista della notte che la aspettava: «La seconda classe sarebbe stata sicuramente più affollata e il killer non avrebbe potuto agire così, praticamente indisturbato. Questo cruccio non smetterà mai di perseguitarmi».
Chuck Schumer (Getty Images)
Matteo Bassetti (Imagoeconomica)