2019-09-20
Cappato fa il pesce in barile sull’eutanasia
Polemiche dopo la notizia - data dalla «Verità» - della possibile proroga della scadenza della legge sul fine vita. Smentito il contatto tra Sergio Mattarella e il presidente della Consulta. Il radicale attacca Maria Elisabetta Casellati, ma a tifare per un rinvio sono il Colle e la Santa Sede.La legge bioetica di Emmanuel Macron estenderà la fecondazione assistita alle coppie di lesbiche.Lo speciale contiene due articoliSi è tenuta a Roma la manifestazione «Liberi fino alla fine»: un evento, promosso dall'associazione Luca Coscioni. «Quasi 800 persone si sono rivolte a Mina Welby e a me per chiedere di poter morire e avrebbero potuto prendere una decisione diversa se fossero state assistite da un medico, uno psichiatra, un assistente sociale», ha affermato Marco Cappato, tesoriere dell'associazione, nella conferenza stampa introduttiva. Obiettivo dell'evento era quello di spingere il Parlamento a esprimersi entro il 24 settembre sul divieto di aiuto al suicidio, previsto dall'articolo 580 del codice penale. Tutto nasce dal processo sulla morte di Dj Fabo, portato in Svizzera a morire da Cappato, attualmente imputato. Proprio il 24 settembre è prevista la nuova udienza della Corte costituzionale che, lo scorso autunno, aveva dato un ultimatum al Parlamento: fate una legge entro un anno o dichiareremo incostituzionale l'articolo 580. All'epoca, Cappato esultò. «La Corte», disse, «ha riconosciuto le nostre ragioni e dà un anno di tempo al Parlamento per fare ciò che chiedevamo da cinque anni. È un risultato straordinario». Da allora nessuna nuova norma è stata approvata. A ridosso della scadenza si è fatta strada l'ipotesi - anticipata dalla Verità - che la Consulta avrebbe potuto concedere una proroga.A questo proposito, negli ultimi giorni sono scoppiate durissime polemiche. Soprattutto dopo che è emersa la notizia di una telefonata tra la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, e il presidente della Consulta. Telefonata «informale» e senza riferimenti alla sentenza, secondo Palazzo Madama. Ma secondo Cappato, «non esiste alcun modo e alcuna forma per il presidente di un'assemblea parlamentare di fare pressione sul massimo organo giurisdizionale italiano. È gravissimo perché sono due competenze diverse e la Corte costituzionale non ha un modo pubblico per difendersi. Spero che sia il presidente della Repubblica a chiarire che questo tipo di pressioni in una democrazia liberale non devono essere accettate». Sulla stessa linea si sono collocati anche i senatori del Movimento 5 stelle, secondo i quali «non bisogna interferire nei lavori della Corte in modo che si possa esprimere senza ulteriori rinvii».Ulteriore tensione si è aggiunta ieri pomeriggio, dopo la diffusione della notizia - poi seccamente smentita dal Colle - secondo cui anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella, avrebbe telefonato al presidente della Consulta, Giorgio Lattanzi. Cappato è intervenuto su Twitter: «Pare che anche il presidente della Repubblica abbia chiamato il presidente della Corte costituzionale sul processo per il quale rischio fino a 12 anni di carcere. Spero arrivi la smentita, altrimenti sarebbe grave». La smentita è arrivata e ovviamente ne va dato conto. Ricordando però anche alcuni fattori significativi. In primo luogo, l'attacco alle presunte interferenze della Casellati suona esagerato: se è infatti vero che ricopre un ruolo istituzionale di alto rilievo, non gode certo di legittimazione politica, essendo espressione di un partito che, salvo sorprese, non è certo in maggioranza né lo è stato in questa legislatura. È molto probabile dunque che la sua iniziativa - se c'è stata - sia stata suggerita dall'alto e trovi l'appoggio implicito e indichiarabile di Mattarella. Con ogni probabilità l'intenzione trapelata da molti membri della Consulta di prorogare la sentenza nasce da una considerazione politica: l'attuale maggioranza non ha più forza politica della precedente per legiferare efficacemente su un tema divisivo come il suicidio assistito. La coalizione giallorossa è litigiosa e profondamente eterogenea. In quest'ottica, lo scoglio principale sarebbe rappresentato dalla possibilità di tenuta della stessa maggioranza. Una maggioranza che, su una questione tanto spinosa, potrebbe frantumarsi con deleterie ripercussioni sull'esecutivo, soprattutto davanti a una sentenza che creasse un vuoto legislativo drammatico. Un simile scenario di certo non piace anzitutto agli ambienti che hanno puntato sulla nascita dell'attuale governo, tra cui il Quirinale e il Vaticano. La Santa Sede e la Cei insomma vedono senza dubbio di buon occhio una proroga. Lo stesso capo dei vescovi italiani Gualtiero Bassetti, dopo lunghi silenzi ha affermato che «l'approvazione del suicidio assistito nel nostro Paese aprirebbe un'autentica voragine dal punto di vista legislativo». Cappato ha quindi parzialmente ragione nel sostenere che la Corte sta operando anche sulla base di considerazioni politiche. Ma di natura politica era, fin dall'origine, anche la richiesta al Parlamento di legiferare sull'eutanasia in tempi e modi «orientati». È quanto meno irrituale infatti che la Consulta, anziché esprimersi sulla costituzionalità di una norma, sospenda di fatto il proprio giudizio e chieda ai parlamentari di colmare un vuoto legislativo che non c'è. Solo che allora a Cappato faceva comodo, ora no.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cappato-fa-il-pesce-in-barile-sulleutanasia-2640441454.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dietrofront-dei-vescovi-francesi-manifestare-non-e-un-dovere" data-post-id="2640441454" data-published-at="1758137370" data-use-pagination="False"> Dietrofront dei vescovi francesi: «Manifestare non è un dovere» Dopo aver invitato a manifestare contro il progetto di legge sull'estensione della Pma - la procreazione medicalmente assistita - anche alle coppie di lesbiche, la Conferenza episcopale francese (Cef) ha fatto un passo indietro. Molti cattolici transalpini non hanno capito il senso di questo voltafaccia e soprattutto la sua rapidità. Tutto è iniziato lunedì sera alla fine di una conferenza sul progetto di riforma della legge sulla bioetica, svoltasi al Collège des Bernardins, il centro studi della Chiesa francese. Sul palco erano presenti tre pesi massimi della Cef: il suo presidente, monsignor Eric de Moulins-Beaufort, vescovo di Reims, l'arcivescovo di Parigi, monsignor Michel Aupetit (che è un ex medico) e l'arcivescovo di Rennes, monsignor Pierre d'Ornellas. Alla fine della conferenza ha preso la parola Bertrand Lionel Marie - rappresentante dell'associazione delle famiglie cattoliche - che si è augurato la partecipazione di «una folla immensa» alla manifestazione contro la legge sponsorizzata dal presidente Emmanuel Macron, organizzata per il 6 ottobre a Parigi dalla Manif pour tous, ovvero gli ex oppositori alla legge sul matrimonio gay. Successivamente è intervenuto monsignor de Moulins-Beaufort confermando sostanzialmente l'auspicio appena espresso. «A livello personale - ha dichiarato il capo della Cef - non vedo come potremmo impedire a dei cittadini, cattolici o no, preoccupati da questo progetto di legge, di manifestare se pensano che sia un modo utile per farsi ascoltare». Dopo queste parole, mercoledì il portavoce e segretario generale della Cef, Thierry Magnin, ha ingranato la retromarcia in una intervista a Le Parisien. «Compete alla Cef pronunciare una parola netta e precisa su questo progetto di legge», ha detto. Poi però Magnin ha aggiunto che non spetta ai vescovi «lanciare appelli a manifestare [...] non c'è solo la strada per esprimersi». Il portavoce ha anche dichiarato che «manifestare il 6 ottobre è una possibilità ma [...] non sarà quella che Eric de Moulins-Beaufort ed io sceglieremo. Ma ogni vescovo è libero». Sicuramente la libertà di manifestare resta inalterata anche per i capi delle diocesi di Francia ma, dopo queste dichiarazioni, quelli che scenderanno in piazza avranno gli occhi delle gerarchie ecclesiastiche e del governo puntati su di loro. Questo brusco cambio di posizione potrebbe rappresentare un nuovo ramoscello d'ulivo teso a Macron dai vertici cattolici francesi per evitare che una nuova contestazione si aggiunga a quelle già in corso: i gilet gialli, lo sciopero personale sanitario o le agitazioni dei professori. Il tutto, ma è solo una supposizione, in cambio di un blocco del dibattito sull'introduzione in Francia anche della pratica dell'utero in affitto. Le alte sfere ecclesiastiche forse però dimenticano la partecipazione massiccia dei cattolici alle manifestazioni contro il matrimonio gay, durante la presidenza di François Hollande. Forse dimenticano anche che i governi francesi succedutisi negli ultimi sei o sette anni, si sono mostrati sempre più possibilisti sull'estensione della Pma. Inoltre, pochi giorni fa, l'esecutivo guidato da Edouard Philippe ha annunciato una circolare per facilitare la registrazione dei bambini nati all'estero con l'utero in affitto. La conta avverrà il 6 ottobre. Si potrà dire allora se i cattolici d'Oltralpe avranno seguito i valori della loro fede o le indicazioni dei loro pastori.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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