Dimenticatevi corsari, sciabole e uncini. Sostituite lo scenario classico dei Caraibi con quello delle coste africane e i galeoni carichi d'oro con le navi cargo. A parte questo, rispetto a un paio di secoli fa non è cambiato molto: i pirati esistono ancora e navigare in certe zone significa ancora rischiare di essere assaliti, derubati e sequestrati. Come dimostra l'attacco a due petroliere nel golfo dell'Oman dello scorso 13 giugno.
Dimenticatevi corsari, sciabole e uncini. Sostituite lo scenario classico dei Caraibi con quello delle coste africane e i galeoni carichi d'oro con le navi cargo. A parte questo, rispetto a un paio di secoli fa non è cambiato molto: i pirati esistono ancora e navigare in certe zone significa ancora rischiare di essere assaliti, derubati e sequestrati. Come dimostra l'attacco a due petroliere nel golfo dell'Oman dello scorso 13 giugno.I dati sulla pirateria del XXI secolo li fornisce l'International Maritime Bureau. Secondo l'istituto, il numero di arrembaggi e il numero di persone sequestrate sono cresciuti nel 2018 rispetto al 2017, ma solo per colpa dell'Africa: in tutti gli altri mari del mondo il fenomeno è in calo. Dei 201 attacchi registrati l'anno scorso (rispetto ai 180 del 2017), 87 sono avvenuti proprio al largo del continente e, in particolare, nel golfo di Guinea, sulla costa occidentale. Il tratto di mare preso più di mira è quello di fronte alla Nigeria: quattro anni fa erano stati registrati appena 14 episodi contro i 48 del 2018. Nel complesso l'attività criminale al largo delle coste africane ha visto un incremento del 100% tra il 2017 e il 2018, salvo il fatto che grazie alla costate presenza delle Marine militari occidentali nelle acque somale e di Gibuti i pirati del Corno d'Africa si sono sostanzialmente dileguati. E anche i dati parziali del 2019 confermano che la quasi totalità degli eventi - sparatorie, assalti armati, dirottamenti - si concentra nell'area Sud della Nigeria. D'altronde, se i governi locali faticano a tenere sotto controllo la situazione sulla terraferma è ovvio che non riescano a garantire gli standard di sicurezza in mare. E nemmeno gli organismi internazionali sono in grado di pattugliare a sufficienza quelle zone. È sempre l'Imb a certificare l'incremento, tra il 2011 e il 2018, del numero dei membri di equipaggi fatti prigionieri dai pirati: nove anni fa questa sorte era toccata ad appena dieci marinai, l'anno scorso le vittime sono state 83. E che l'Africa sia la zona più pericolosa per i naviganti lo dimostrano non solo i danni umanitari ma anche quelli economici. Secondo le stime dell'Ong Oceans Beyond Piracy, nel 2017 i Francis Drake del terzo millennio hanno causato perdite record in Africa occidentale: 1,4 miliardi di dollari in fumo per colpa della pirateria. Seguono l'Africa orientale (818,1 milioni di dollari) e l'Asia (29,4). Costi dovuti non solo alla merce trafugata, ma anche al pagamento dei riscatti e delle assicurazioni, oltre alle ripercussioni sull'industria della pesca, sull'import ed export (che in questi Paesi avviene perlopiù via mare) e sul turismo. Senza contare che, globalmente, sul danno economico incide la decisione di molte compagnie di navigazione di percorrere rotte più lunghe pur di evitare quelle più rischiose, con evidenti aumenti del costo dei trasporti.La notizia positiva è che nel resto del mondo i corsari alla Capitan Uncino si sono dati una calmata. Meno di dieci anni fa il numero complessivo di attacchi viaggiava stabilmente sopra i 400 all'anno: 410 nel 2009, 445 nel 2010, 439 nel 2011. Le cose vanno meglio un po' ovunque: nelle Americhe, nel subcontinente indiano e anche nell'Estremo Oriente, dove i corsari giapponesi che seminavano il terrore tra Cina, Giappone e Corea, si trovano ormai solo nei libri di storia. Le traversate sono diventate più sicure anche nel Sud Est asiatico, nonostante rimanga la zona più a rischio dopo l'Africa: l'anno scorso l'Imb ha rilevato 60 episodi di pirateria contro i 147 del 2015, segno che anche i temibili pirati indonesiani e malesi hanno dovuto ridurre i raid. E attaccare l'uncino al chiodo.
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