
Ofer Sachs, ambasciatore di Israele in Italia: «Gli Usa fanno bene a reagire alle bugie di Hassan Rouhani sul nucleare. L'Italia è con noi, ma deve sapere che fare affari con Teheran significa finanziare i jihadisti».L'ambasciatore di Israele in Italia, Ofer Sachs, ha accettato di concedere alla Verità una prima intervista a tutto campo dopo le decisioni di Donald Trump e la recente conferenza di Benjamin Netanyahu sull'Iran. Ambasciatore, come valuta il ritiro di Trump dall'Iran Deal?«Trump ha preso la decisione giusta. L'accordo, basandosi su una lunga serie di inganni e ambiguità da parte di Teheran, non aveva alcuna possibilità di stabilizzare la regione. Il Jcpoa (Joint comprehensive plan of action, l'accordo sul nucleare iraniano, ndr) non è stato in grado di affrontare la minaccia posta dall'Iran nella sua interezza: il programma balistico, ad esempio, non ne faceva parte. L'Iran ha ripetutamente violato la risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che intende evitare l'acquisizione da parte di Teheran delle capacità balistica necessaria per le testate nucleari. Inoltre non possiamo ignorare che l'Iran sta continuando a destabilizzare l'intera regione, come gli ultimi eventi dimostrano: il supporto agli Houthi in Yemen e a Hezbollah in Libano, e la presenza di oltre 80.000 operativi in Siria. Il fatto che le sanzioni americane avranno un impatto nell'immediato, considerato il già precario stato di salute dell'economia iraniana, crediamo possa rappresentare un'occasione per riaffrontare opportunamente le sfide poste da Teheran, come sarebbe dovuto essere in principio». Una settimana fa, Netanyahu ha mostrato nuove prove sul programma nucleare militare dell'Iran. Le avete già condivise con i Paesi alleati?«Le informazioni mostrate da Netanyahu erano principalmente rivolte a sconfessare le bugie iraniane di fronte al mondo intero. Come ha già detto il primo ministro, Israele è intenzionata a condividere con i propri alleati il materiale in proprio possesso. Proprio alcuni giorni fa alcune potenze occidentali hanno preso visione delle evidenti prove che dimostrano come Teheran non abbia mai cessato di ambire a un arsenale atomico».Alla luce di tutto questo, come giudica le relazioni tra Teheran e Roma, su cui gli ultimi governi italiani hanno molto insistito, anche offrendo una rischiosa garanzia pubblica (attraverso il veicolo Invitalia) agli investimenti in Iran? «Italia e Iran hanno cooperazioni in molti campi da diversi anni, dalla cultura all'economia. Consideriamo l'interesse italiano in Iran oggi, non diversamente da quello di altre potenze industriali, principalmente basato su presunte nuove possibilità economiche. Le ultime decisioni su Invitalia vanno intese in questa direzione. Ci sono però delle evidenze che dimostrano chiaramente il legame tra le attività dell'Iran nella regione, le preoccupazioni per la sua agenda nucleare e molte delle attività economiche che si svolgono in quel Paese. Riteniamo quindi che le sanzioni economiche rimangano gli strumenti diplomatici più efficaci a cui la comunità internazionale può ricorrere. A tal proposito, ci aspettiamo che l'Italia giochi un ruolo positivo. Più della metà del sistema economico iraniano è controllato dalle guardie rivoluzionarie, presenti in ogni settore. Un normale imprenditore italiano può firmare quindi un accordo economico con una controparte iraniana, senza neanche sapere che indirettamente sta finanziando il terrorismo internazionale. Questa purtroppo è la grande differenza tra l'investire in uno Stato di diritto e un regime dove lo Stato di diritto non esiste».Ambasciatore, fuori dalle cautele diplomatiche, cosa pensa dei recenti attacchi occidentali contro postazioni iraniane in Siria, alcuni addebitati proprio a Israele? «La guerra civile siriana bussa alla porta dell'Europa da diversi anni. Quasi otto anni in cui ogni morale è stata superata, diretta conseguenza dell'inconsistente politica occidentale nella regione. Più di 500.000 persone hanno perso la vita, molte di più sono ferite e milioni sono stati costretti a fuggire per trovare un luogo sicuro. Riguardo a Israele, noi ci sentiamo in obbligo di fare tutto quanto nelle nostre possibilità per difendere i nostri civili. Il discorso della Siria è connesso a quanto finora sostenuto sull'Iran, che sta usando cinicamente la guerra civile per le proprie ambizioni radicali. Quando Teheran usa la Siria come base operativa per lanciare attacchi, Israele ha il diritto di reagire e far rispettare alcune precise linee rosse: nessuna presenza iraniana vicino ai confini israeliani, nessuna presenza di armi sofisticate in grado di mettere a rischio le città israeliane, nessun trasferimento di simili armi al gruppo terroristico di Hezbollah in Libano. Nelle scorse settimane l'Iran ha utilizzato il territorio siriano per attaccare due volte Israele, la nostra reazione dimostra la fermezza con cui intendiamo difendere i nostri cittadini».Sembra che la questione iraniana stia avvicinando Israele e il mondo arabo, in particolare Israele e Arabia Saudita.«L'Iran è un problema dell'intera regione. Condividiamo con molti Paesi arabi moderati la preoccupazione per le mire espansionistiche del regime di Teheran. C'è ancora un lungo processo verso la normalizzazione dei rapporti tra Israele e il mondo arabo, ma significativi progressi sono ormai evidenti».L'Isis e le forze jihadiste, largamente sconfitte in Iraq e Siria, potrebbero spingere i loro militanti ad azioni solitarie e disperate nelle nostre capitali?«I fatti dimostrano che l'Isis sta perdendo terreno in Siria e in Iraq. Ciononostante la causa e le spinte che hanno portato alla nascita dello Stato islamico sono ancora vive e incombenti, esponendo il ventre molle delle potenze occidentali alla minaccia dei lupi solitari e di altre tecniche terroristiche. L'unico modo per sconfiggere tutto questo è attraverso la cooperazione, lo scambio di informazioni, e la reale comprensione che il fenomeno non è solamente una questione mediorientale, ma presente nel nostro stesso cortile di casa. Per parte nostra, come è noto, ogni volta che Israele è in possesso di informazioni rilevanti, è disponibile alla condivisione e alla cooperazione con i propri partner». Spostiamoci in Nord Africa, dove il Marocco ha appena rotto le relazioni diplomatiche con l'Iran. Che scenari prevede per la Libia? «Monitoriamo con attenzione quanto succede in Nord Africa. È inutile ribadire che la stabilità della Libia è fondamentale per l'Europa e per l'intera regione. Sosteniamo l'impegno dell'Italia e degli alleati nella difficile stabilizzazione del Paese». Si è parlato molto di armi chimiche. Ma che valutazione fa di un altro incubo, quello delle armi batteriologiche? «Siamo seriamente preoccupati da una simile eventualità. Abbiamo tutti assistito alle strazianti immagini provenienti da Ghouta. Ritengo che il rischio sia estremamente serio e per questo è necessario trovare nuovi strumenti di deterrenza».Come sono le relazioni tra Italia e Israele oggi? «Tra Italia e Israele esistono ottime relazioni in ogni settore con un alto interscambio commerciale, intensi flussi turistici e cooperazioni in ambito accademico, scientifico e della difesa. Israele vede l'Italia come un importante partner e una voce molto autorevole in Europa. Ci piacerebbe vedere le relazioni continuare ad approfondirsi per molti anni a venire». Rompiamo il protocollo, se posso permettermi. Dia un suggerimento amichevole al centrodestra, ai grillini, al centrosinistra.«Non voglio entrare ovviamente in questioni di politica interna. Abbiamo profonda stima del presidente Sergio Mattarella e siamo disponibili a lavorare con il prossimo governo - indipendentemente dalla sua connotazione politica - per migliorare e approfondire le già ottime relazioni tra Roma e Gerusalemme».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».






