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2021-07-18
Caos per la scadenza del green pass. Servirà la terza dose per il rinnovo?
Ansa
Duecentosettanta giorni è la durata del green pass in Italia, ma cosa succederà quando scadrà il termine burocratico previsto? Una domanda che tra qualche mese ossessionerà non poche persone, tra cui proprio il personale sanitario e i soggetti più fragili che sono stati i primi ad essere vaccinati. Se infatti si pensa che gli iniziali cicli sono stati portati a termine verso marzo 2021, dato che la durata del green pass è di 9 mesi, verso dicembre di quest'anno molte persone si vedranno scaduto il certificato verde. E dunque cosa accadrà? Dovranno farsi un tampone (a loro spese) per muoversi liberamente o saranno confinate in casa? Ad oggi non si ha ancora una risposta. Ma si sa che anche l'Italia sta pensando di seguire l'esempio di diversi Paesi europei estendendo l'uso del green pass. In Catalogna (Spagna), per esempio, c'è l'obbligo di esibire il certificato verde per poter accedere a qualunque evento all'aperto con più di 500 persone, il Portogallo ha deciso di obbligare i ristoratori a chiedere i certificati vaccinali per far sedere i clienti, in Grecia per accedere a siti culturali, bar e ristoranti si dovrà esibire il green pass e a Cipro l'ingresso in bar, pub, hotel e ristoranti è permesso solo a chi è vaccinato. Ma non solo, perché anche la Danimarca ha deciso di chiedere il certificato per accedere a ristoranti, musei, cinema, teatri e parrucchieri. Stessa decisione presa anche da Lituania, Lettonia (con l'aggiunta della palestra), Austria, Irlanda e Francia. Insomma, si sta sempre di più andando verso un uso esteso del green pass per prendere parte alla socialità. Se dunque anche l'Italia decidesse di seguire questa strada la valenza dei 270 giorni diventerebbe ancor più un problema cruciale. Anche perché da dicembre diverse persone potrebbero non riuscire a bere nemmeno un caffè in un bar, dato che hanno il certificato verde scaduto. Da sottolineare che la valenza dei 270 giorni è un termine squisitamente burocratico dato che, secondo gli ultimi studi, la durata dei vaccini potrebbe oscillare dai 9 ai 12 mesi. E dunque ci si troverebbe nella situazione surreale di essere (con molta probabilità) ancora coperti dal vaccino, ma allo stesso tempo, allontanati dai luoghi pubblici per via di un vincolo burocratico. E a farne le spese sarebbero proprio i più fragili (pazienti delle Rsa in primis) e il personale medico, dato che sono stati i primi vaccinati contro il Covid.
Da tenere d'occhio anche la «seconda fascia» che riguarda tutti i pazienti fragili vaccinati in un secondo tempo, e tendenzialmente questi hanno completato il ciclo verso maggio. In questo caso per loro la scadenza del green pass è fissata a gennaio 2022. Collegato al tema certificato verde c'è però anche tutta la questione della terza dose vaccinale, prevista per l'autunno. Ora, nel caso in cui la si dovesse introdurre, al momento della somministrazione verrebbe rilasciato un nuovo green pass, e dunque si avrebbero altri 270 giorni di autonomia. Ma il vero problema è che non si sa se sarà necessaria e quando. Secondo l'European medicines agency (Ema) al momento è ancora troppo presto per confermare o meno la necessità di una terza dose. Sulla stessa linea di pensiero c'è anche l'European centre for disease prevention and control (Ecdc) che sottolinea come al momento non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne vaccinali e dagli studi in corso per capire quanto durerà la protezione dei vaccini, considerando anche la diffusione delle varianti. Si uniscono al coro anche la Food and drug administration (Fda) e il Centers for disease control and prevention americano (Cdc) secondo le quali non è necessario un terzo richiamo.
Dall'altra parte c'è però Pfizer che ad agosto inizierà un trial su 10.000 soggetti dato che la proteina è leggermente modificata sulla base delle varianti. Sicuramente lo studio potrà dare nuovi dati, ma il dubbio continuerà a rimanere dato che si è in un campo non ancora del tutto conosciuto. Da non sottovalutare anche il problema logistico. Cioè, nel caso in cui si capisse che effettivamente contro le varianti la terza dose è necessaria per avere una maggiore protezione, bisognerà lavorare su come organizzare la distribuzione alla popolazione. Si useranno ancora i centri sfruttati per il primo ciclo vaccinale? Letizia Moratti, vicepresidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia, il 18 giugno ha scritto un tweet dove sottolineava come è stato «presentato a governo e commissario straordinario emergenza Covid-19 un piano lombardo per gli eventuali richiami in autunno-inverno, con un nuovo modello organizzativo che non sarà basato più sui centri massivi ma su piccoli centri, sui medici di famiglia, su aziende e farmacie». Anche qua bisognerà capire se effettivamente tutti questi soggetti saranno pronti e con le giuste capacità a far fronte al terzo richiamo o prevarrà la disorganizzazione e il caos fino alla fine. E visti i precedenti le premesse non sono delle migliori.
Guerra dei tamponi lungo la Manica
Il governo di Sua Maestà vuole evitare di importate dall'estero dei nuovi casi di Covid, per questo Boris Johnson ha deciso di imporre la quarantena ai passeggeri in arrivo dalla Francia, anche se completamente vaccinati.
In pratica i nuovi arrivati - cittadini britannici o meno - saranno obbligati ad isolarsi per dieci giorni dopo aver messo piede al di là della Manica. Alle stesse persone verrà anche imposto l'obbligo di effettuare due tamponi: due e otto giorni dopo l'arrivo. I viaggiatori potranno anche effettuare un test cinque giorni dopo l'ingresso nel Regno Unito. In caso di risultato negativo, potranno interrompere la quarantena.
La decisione presa dal governo britannico non è piaciuta a Parigi, così il primo ministro francese, Jean Castex, ha inserito il Regno Unito nella lista dei Paesi per i quali le autorità transalpine impongono restrizioni importanti. In pratica, dalla mezzanotte scorsa, i passeggeri non completamente vaccinati in arrivo da Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Grecia, Paesi Bassi e Cipro, dovranno presentare un tampone negativo realizzato non più di 24 ore prima della partenza. Se si considera la tempistica delle decisioni prese dagli esecutivi di Londra e Parigi, si potrebbe pensare che rispondano a motivazioni politiche oltre che sanitarie. È come se la Francia avesse deciso di rispondere pan per focaccia alla Perfida Albione. Tuttavia va ricordato che, in Francia, alcuni dipartimenti come quelli al confine con la Spagna, registrano un esplosione di casi e alcune località balneari hanno reintrodotto l'obbligo della mascherina all'esterno e il coprifuoco. Anche al di là della Manica, la variante Delta ha fatto impennare il numero dei casi di Covid. Qualche motivazione economica potrebbe invece accompagnare le misure restrittive adottate nei confronti degli altri Paesi. Se è vero che Spagna e Portogallo erano da giorni sorvegliati speciali, l'aggiunta alla lista stilata da Parigi, della Grecia e di Cipro potrebbe rispondere ad altre esigenze. Dopo tutto una delle priorità del governo francese è di salvare la stagione estiva. Quindi, essendo più difficile tornare in Francia per i viaggiatori provenienti da Atene o Nicosia, qualche turista transalpino potrebbe decidere di trascorrere le proprie vacanze in patria.
Con le ultime decisioni prese dal suo governo, Emmanuel Macron non ha irritato solo i suoi vicini britannici ma è riuscito nell'impresa di resuscitare i gilet gialli. Per il secondo sabato consecutivo, ieri si sono svolte varie manifestazioni a Parigi e in altre città francesi contro l'estensione del green pass e la vaccinazione obbligatoria del personale sanitario. Tra le migliaia di manifestanti scesi in piazza non c'erano solamente i cosiddetti no vax ma anche tanti cittadini che non sono contrari ai vaccini ma solo all'obbligo di riceverli. Molti non dubitano dell'efficacia di questi rimedi per varie patologie ma restano riservati sul siero creato per combattere il Covid. Una buona parte dei francesi quindi, non è affatto entusiasta della strategia annunciata da Macron nel discorso di lunedì scorso. Vari collettivi di dipendenti del settore sanitario hanno annunciato ricorsi contro la vaccinazione obbligatoria di medici e paramedici. Ricorsi che saranno preparati non appena si conoscerà il contenuto della legge annunciata dal capo dello Stato transalpino. Va ricordato anche che come ha fatto notare alla Verità una fonte del Collectif Inter Urgences «se in primavera, l'approvvigionamento delle dosi fosse stata gestita meglio dal governo di Parigi, sarebbe stato possibile accelerare la vaccinazione evitando così di arrivare all'imposizione del siero al personale sanitario».
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Il vincolo dei 270 giorni impone una riorganizzazione della campagna di somministrazione delle fiale. Ma gli enti sanitari internazionali frenano sul richiamo. E così si rischia di avere patentini fuori corso.Rappresaglia di restrizioni tra la Francia e l'Inghilterra anche per chi è già inoculato. Per difendere il turismo di casa, Parigi inserisce nella black list pure Grecia e Cipro.Lo speciale contiene due articoli.Duecentosettanta giorni è la durata del green pass in Italia, ma cosa succederà quando scadrà il termine burocratico previsto? Una domanda che tra qualche mese ossessionerà non poche persone, tra cui proprio il personale sanitario e i soggetti più fragili che sono stati i primi ad essere vaccinati. Se infatti si pensa che gli iniziali cicli sono stati portati a termine verso marzo 2021, dato che la durata del green pass è di 9 mesi, verso dicembre di quest'anno molte persone si vedranno scaduto il certificato verde. E dunque cosa accadrà? Dovranno farsi un tampone (a loro spese) per muoversi liberamente o saranno confinate in casa? Ad oggi non si ha ancora una risposta. Ma si sa che anche l'Italia sta pensando di seguire l'esempio di diversi Paesi europei estendendo l'uso del green pass. In Catalogna (Spagna), per esempio, c'è l'obbligo di esibire il certificato verde per poter accedere a qualunque evento all'aperto con più di 500 persone, il Portogallo ha deciso di obbligare i ristoratori a chiedere i certificati vaccinali per far sedere i clienti, in Grecia per accedere a siti culturali, bar e ristoranti si dovrà esibire il green pass e a Cipro l'ingresso in bar, pub, hotel e ristoranti è permesso solo a chi è vaccinato. Ma non solo, perché anche la Danimarca ha deciso di chiedere il certificato per accedere a ristoranti, musei, cinema, teatri e parrucchieri. Stessa decisione presa anche da Lituania, Lettonia (con l'aggiunta della palestra), Austria, Irlanda e Francia. Insomma, si sta sempre di più andando verso un uso esteso del green pass per prendere parte alla socialità. Se dunque anche l'Italia decidesse di seguire questa strada la valenza dei 270 giorni diventerebbe ancor più un problema cruciale. Anche perché da dicembre diverse persone potrebbero non riuscire a bere nemmeno un caffè in un bar, dato che hanno il certificato verde scaduto. Da sottolineare che la valenza dei 270 giorni è un termine squisitamente burocratico dato che, secondo gli ultimi studi, la durata dei vaccini potrebbe oscillare dai 9 ai 12 mesi. E dunque ci si troverebbe nella situazione surreale di essere (con molta probabilità) ancora coperti dal vaccino, ma allo stesso tempo, allontanati dai luoghi pubblici per via di un vincolo burocratico. E a farne le spese sarebbero proprio i più fragili (pazienti delle Rsa in primis) e il personale medico, dato che sono stati i primi vaccinati contro il Covid. Da tenere d'occhio anche la «seconda fascia» che riguarda tutti i pazienti fragili vaccinati in un secondo tempo, e tendenzialmente questi hanno completato il ciclo verso maggio. In questo caso per loro la scadenza del green pass è fissata a gennaio 2022. Collegato al tema certificato verde c'è però anche tutta la questione della terza dose vaccinale, prevista per l'autunno. Ora, nel caso in cui la si dovesse introdurre, al momento della somministrazione verrebbe rilasciato un nuovo green pass, e dunque si avrebbero altri 270 giorni di autonomia. Ma il vero problema è che non si sa se sarà necessaria e quando. Secondo l'European medicines agency (Ema) al momento è ancora troppo presto per confermare o meno la necessità di una terza dose. Sulla stessa linea di pensiero c'è anche l'European centre for disease prevention and control (Ecdc) che sottolinea come al momento non ci sono ancora abbastanza dati dalle campagne vaccinali e dagli studi in corso per capire quanto durerà la protezione dei vaccini, considerando anche la diffusione delle varianti. Si uniscono al coro anche la Food and drug administration (Fda) e il Centers for disease control and prevention americano (Cdc) secondo le quali non è necessario un terzo richiamo. Dall'altra parte c'è però Pfizer che ad agosto inizierà un trial su 10.000 soggetti dato che la proteina è leggermente modificata sulla base delle varianti. Sicuramente lo studio potrà dare nuovi dati, ma il dubbio continuerà a rimanere dato che si è in un campo non ancora del tutto conosciuto. Da non sottovalutare anche il problema logistico. Cioè, nel caso in cui si capisse che effettivamente contro le varianti la terza dose è necessaria per avere una maggiore protezione, bisognerà lavorare su come organizzare la distribuzione alla popolazione. Si useranno ancora i centri sfruttati per il primo ciclo vaccinale? Letizia Moratti, vicepresidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia, il 18 giugno ha scritto un tweet dove sottolineava come è stato «presentato a governo e commissario straordinario emergenza Covid-19 un piano lombardo per gli eventuali richiami in autunno-inverno, con un nuovo modello organizzativo che non sarà basato più sui centri massivi ma su piccoli centri, sui medici di famiglia, su aziende e farmacie». Anche qua bisognerà capire se effettivamente tutti questi soggetti saranno pronti e con le giuste capacità a far fronte al terzo richiamo o prevarrà la disorganizzazione e il caos fino alla fine. E visti i precedenti le premesse non sono delle migliori.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/caos-scadenza-greenpass-terza-dose-2653815385.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="guerra-dei-tamponi-lungo-la-manica" data-post-id="2653815385" data-published-at="1626569647" data-use-pagination="False"> Guerra dei tamponi lungo la Manica Il governo di Sua Maestà vuole evitare di importate dall'estero dei nuovi casi di Covid, per questo Boris Johnson ha deciso di imporre la quarantena ai passeggeri in arrivo dalla Francia, anche se completamente vaccinati. In pratica i nuovi arrivati - cittadini britannici o meno - saranno obbligati ad isolarsi per dieci giorni dopo aver messo piede al di là della Manica. Alle stesse persone verrà anche imposto l'obbligo di effettuare due tamponi: due e otto giorni dopo l'arrivo. I viaggiatori potranno anche effettuare un test cinque giorni dopo l'ingresso nel Regno Unito. In caso di risultato negativo, potranno interrompere la quarantena. La decisione presa dal governo britannico non è piaciuta a Parigi, così il primo ministro francese, Jean Castex, ha inserito il Regno Unito nella lista dei Paesi per i quali le autorità transalpine impongono restrizioni importanti. In pratica, dalla mezzanotte scorsa, i passeggeri non completamente vaccinati in arrivo da Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Grecia, Paesi Bassi e Cipro, dovranno presentare un tampone negativo realizzato non più di 24 ore prima della partenza. Se si considera la tempistica delle decisioni prese dagli esecutivi di Londra e Parigi, si potrebbe pensare che rispondano a motivazioni politiche oltre che sanitarie. È come se la Francia avesse deciso di rispondere pan per focaccia alla Perfida Albione. Tuttavia va ricordato che, in Francia, alcuni dipartimenti come quelli al confine con la Spagna, registrano un esplosione di casi e alcune località balneari hanno reintrodotto l'obbligo della mascherina all'esterno e il coprifuoco. Anche al di là della Manica, la variante Delta ha fatto impennare il numero dei casi di Covid. Qualche motivazione economica potrebbe invece accompagnare le misure restrittive adottate nei confronti degli altri Paesi. Se è vero che Spagna e Portogallo erano da giorni sorvegliati speciali, l'aggiunta alla lista stilata da Parigi, della Grecia e di Cipro potrebbe rispondere ad altre esigenze. Dopo tutto una delle priorità del governo francese è di salvare la stagione estiva. Quindi, essendo più difficile tornare in Francia per i viaggiatori provenienti da Atene o Nicosia, qualche turista transalpino potrebbe decidere di trascorrere le proprie vacanze in patria. Con le ultime decisioni prese dal suo governo, Emmanuel Macron non ha irritato solo i suoi vicini britannici ma è riuscito nell'impresa di resuscitare i gilet gialli. Per il secondo sabato consecutivo, ieri si sono svolte varie manifestazioni a Parigi e in altre città francesi contro l'estensione del green pass e la vaccinazione obbligatoria del personale sanitario. Tra le migliaia di manifestanti scesi in piazza non c'erano solamente i cosiddetti no vax ma anche tanti cittadini che non sono contrari ai vaccini ma solo all'obbligo di riceverli. Molti non dubitano dell'efficacia di questi rimedi per varie patologie ma restano riservati sul siero creato per combattere il Covid. Una buona parte dei francesi quindi, non è affatto entusiasta della strategia annunciata da Macron nel discorso di lunedì scorso. Vari collettivi di dipendenti del settore sanitario hanno annunciato ricorsi contro la vaccinazione obbligatoria di medici e paramedici. Ricorsi che saranno preparati non appena si conoscerà il contenuto della legge annunciata dal capo dello Stato transalpino. Va ricordato anche che come ha fatto notare alla Verità una fonte del Collectif Inter Urgences «se in primavera, l'approvvigionamento delle dosi fosse stata gestita meglio dal governo di Parigi, sarebbe stato possibile accelerare la vaccinazione evitando così di arrivare all'imposizione del siero al personale sanitario».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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