2022-01-22
Nuove regole. Da matti
Chi non ha il green pass non può accedere alla maggior parte dei negozi e neppure in Posta per ritirare la pensione. Misura che non ha alcun senso scientifico. Lo dimostra il professor Massimo Galli, contagiato con sei compagni trivaccinati.Comincio a pensare che il trattamento sanitario obbligatorio non serva a convincere chi ancora non si è vaccinato, ma sia indispensabile nei confronti di qualche nostro ministro. In particolare, credo serva per chi ha inventato le disposizioni emanate ieri con un dpcm, ossia con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Difficile, infatti, comprendere la ratio delle decisioni adottate. Ma soprattutto, è impossibile giustificare dal punto di vista costituzionale la discriminazione che i provvedimenti introducono, limitando i diritti dei cittadini che ancora non si sono rassegnati a offrire il braccio alla patria. Che senso ha vietare a un pensionato di ritirare la pensione se non è in possesso del green pass? Incassare un assegno per cui si sono versati anni di contributi è forse un’attività che pone a rischio la salute? Gli impiegati stanno dietro a un vetro blindato e nei locali sarebbe sufficiente far entrare una persona alla volta. Per non dire poi della necessità di esibire il green pass per comprare un pacchetto di sigarette: è un provvedimento per scoraggiare chi fuma o ha finalità sanitarie? Infine, ancora più folle ma scongiurato all’ultimo da improvvisa resipiscenza, era il divieto di acquisto di generi non alimentari nei supermercati: chi era vaccinato avrebbe potuto comprare ciò che voleva, mentre chi non lo era avrebbe avuto i beni contingentati. Il pane e il latte sì, ma un piatto o un bicchiere no. Più che da un ubriaco, il dpcm sembrava dettato da un matto o quanto meno da una persona con problemi, il cui unico scopo non era la tutela della salute, ma molestare chi ancora non si fosse adeguato alle direttive impartite da Palazzo Chigi.Del resto, che le norme non rispondano a esigenze sanitarie è evidente, perché se fossero tali non discriminerebbero l’autorizzazione agli acquisti in base a ciò che si compra. Fare la spesa riempiendo il carrello di pasta e pelati è forse garanzia di immunità, mentre incassare la pensione no? Avere o non avere il green pass di certo non protegge le persone, nemmeno se si frequentano esclusivamente conoscenti forniti di tripla dose. La conferma l’ha fornita giovedì sera Massimo Galli, in diretta su Rete 4, nel programma condotto da Paolo Del Debbio. Involontariamente, il virologo si è trasformato in testimonial contro il super green pass. Infatti, ricostruendo la sua vicenda personale (alla fine dell’anno l’ex primario dell’ospedale Sacco è risultato positivo al Covid), il professore ha spiegato di essere stato contagiato durante una serata con amici, tutti rigorosamente vaccinati con terza dose. Delle otto persone presenti alla cena, escludendo il commensale già positivo, cinque su sette dopo appena tre giorni sono risultate affette da Covid e, come ha detto Galli, il decorso della malattia per lui non è stato una passeggiata, al punto che ha dovuto essere curato con le monoclonali. Tutto ciò che cosa dimostra? Che il super green pass, ossia il documento che dovrebbe essere garanzia di «trovarsi persone vaccinate che non contagiano e non si contagiano» (parole usate mesi fa dal presidente del Consiglio per giustificare il certificato verde e le limitazioni dei diritti dei cittadini), non garantisce proprio nulla perché, come ha spiegato sempre l’altra sera lo stesso Galli, «anche i positivi asintomatici (cioè persone trivaccinate che non hanno né febbre né tosse, ndr) trasmettono il Covid alla grande». Dunque, che senso ha negare l’ingresso in un ufficio postale a una persona che non dispone del green pass nonostante la mascherina Ffp2? Perché impedire a qualcuno di comprarsi un pacchetto di sigarette in quanto non in possesso del passaporto verde? Alle Poste o dal tabaccaio non ci si attovaglia né per bere né per mangiare, e dunque i rischi di contagio sono certamente più bassi di quelli con cui ha dovuto fare i conti Galli a casa sua o che devono affrontare gli studenti in un’aula scolastica in cui il ministero dell’Istruzione ha evitato di installare impianti di depurazione dell’aria. Ma l’altra sera, l’ex primario del Sacco ci ha fornito un ulteriore spunto di riflessione, oltre che l’ennesima prova di contraddizione dei virologi. Parlando della situazione in Sudafrica, dove la popolazione vaccinata rappresenta solo il 30%, Galli ha spiegato che i bassi indici di mortalità e di contagio, oltre a essere dubbi per via del fatto che delle statistiche di Johannesburg si deve dubitare (notare il leggero razzismo del compagno professore), sono dovuti a una popolazione sensibilmente più giovane. Ma come? Fino a ieri ci dicevano che bisogna vaccinare i bambini perché sono a rischio e ora la virostar in pensione giustifica i bassi contagi con l’età? Urge davvero un trattamento sanitario perché a sentire certe spiegazioni si esce pazzi.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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