2023-04-27
«Grazie alla riforma dell’Autonomia le Regioni taglieranno le tasse»
Roberto Calderoli (Getty Images)
Il ministro Roberto Calderoli: «Gli enti locali gestiscono la spesa meglio dello Stato, se ti do 100 e svolgi quelle funzioni usando 80 con il restante 20 riduci le imposte. Siamo attratti dalle caratteristiche del modello spagnolo».Ministro Calderoli, a che punto è l’iter del suo disegno di legge sull’Autonomia?«Proprio oggi pomeriggio (ndr, ieri per chi legge) il presidente del Senato ha dato lettura in Aula del parere della commissione Bilancio che doveva esaminare il provvedimento, e che ne ha riscontrato coerenza e omogeneità di contenuti. Su queste basi, il ddl è stato assegnato alla Commissione Affari costituzionali». Che tempi auspica?«Auspicherei 4 mesi per il passaggio al Senato e altri 4, entro fine anno, per il passaggio alla Camera». Come si interseca con il lavoro parlamentare l’attività volta a individuare i livelli essenziali delle prestazioni? «C’è un percorso parallelo. L’esame del ddl è ovviamente affidato al Parlamento come abbiamo visto. Mentre la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (e dei relativi costi e fabbisogni standard) è affidata a una cabina di regia che vede tutti i ministri competenti sulle materie oggetto di possibile trasferimento, più io stesso, il Mef, il ministero per le Riforme, il ministero per la Coesione. Ci sono anche i presidenti della Conferenza delle Regioni, dell’Upi e dell’Anci. E c’è la proposta e il supporto della commissione tecnica per i fabbisogni standard che ha già fatto questo lavoro per le province e i comuni, più una serie di altri soggetti tra cui Sose e Istat». Come procederà questa cabina di regia?«Dovrà individuare i Lep e i relativi costi e fabbisogni standard attraverso una serie di Dpcm che passeranno sia all’esame del Parlamento che all’intesa della Conferenza unificata. E in tutto questo iter ci sarà anche il ruolo svolto dal Comitato di esperti presieduto dal professor Cassese che si riunirà nella prima decade di maggio». Ho letto dichiarazioni polemiche da parte di Stefano Bonaccini. Ma ai tempi non era anche lui promotore della spinta pro riforma? Sta qui l’effetto Schlein, nel cominciare a dire no a tutto? «Ho fatto a inizio mandato riunioni con le tre regioni che avevano sottoscritto le pre-intese nel 2018 all’epoca del governo Gentiloni. Per il Veneto partecipava il presidente Zaia, per la Lombardia il presidente Fontana, per l’Emilia Romagna un sottosegretario ad hoc che era il più autonomista di tutti!».E allora perché questa retromarcia? «Eh, quando si iniziò a parlare del congresso del Pd, percepii una frenata, ma immaginavo che poi Bonaccini, dopo la sua probabile elezione, avrebbe ripreso il cammino. Diciamo che forse l’elezione della Schlein ha cambiato le cose...».Resta però il paradosso di questo passo indietro...«Sono andato a rivedere tutto il percorso dal 2018. Allora l’Emilia Romagna sottoscrisse un’intesa identica a quella di Veneto e Lombardia: cinque materie incluse istruzione e sanità, oggetto della contestazione di oggi. Non solo: all’epoca si prevedeva che le intese fossero approvate dal Parlamento come le ratifiche delle intese religiose (cioè dicendo solo sì o no), mentre il nostro procedimento è molto più garantista verso il Parlamento. E non finisce qui: loro prevedevano ben 6 anni per superare la spesa storica e ben 1 anno per i Lep, mentre per noi l’individuazione dei Lep è una conditio sine qua non...».Mi sta dicendo che il suo schema dà molte garanzie in più?«Non solo. Ci fu, sempre prima del nostro attuale governo, un secondo accordo nel 2019, all’epoca del governo Conte, e l’Emilia Romagna richiedeva circa 16 o 18 materie... Quindi non comprendo le polemiche di questi giorni». Come va il suo giro d’Italia per spiegare la riforma? «Riscontro a volte una contrarietà ideologica basata però su informazioni non corrette o proprio false. Mi si dice che vorrei dividere il Paese: ma il Paese è già diviso adesso in diversi tronconi per ciò che riguarda alcuni servizi, e semmai con la nostra riforma possiamo cambiare questa situazione. Mi si dice ancora che il Sud potrebbe essere penalizzato: ma il Meridione è penalizzato oggi. Se si prende la percentuale del Pil pro capite di un cittadino del Mezzogiorno nel 1950 era il 52% del valore nazionale. Negli anni ’60 è salita sopra il 60, poi si è ristabilizzata intorno al 56%. Questo ci dice che la politica non ha lavorato bene».Ma quindi non è curioso che in alcune regioni si deplori la situazione esistente ma al tempo stesso si dica no al cambiamento? «Da parte di alcuni cittadini, è come se si accettasse questo stato di cose: sto male, ma meglio rimanere così. Ma io desidero portare avanti un’operazione verità: ci sono effettivamente regioni del Sud sottofinanziate (in misura minore di quanto a volte si dica), ma ci sono anche regioni del Nord sottofinanziate e che però assicurano (penso al Veneto) servizi di qualità ai loro cittadini. Per questo voglio far emergere i numeri veri, in modo che ogni cittadino possa dire ai suoi governanti: perché ricevete le stesse risorse della regione dove sono costretto a spostarmi per essere curato, ma non riuscite a garantirmi un servizio accettabile?». Ieri Il Messaggero ha parlato di un documento elaborato dal suo ministero e dedicato a un’analisi comparativa dei sistemi vigenti in nove paesi. «Certo, ho incaricato docenti di diritto internazionale, esperti di politiche comunitarie e il mio consulente diplomatico di esaminare la situazione di diversi Paesi, ed effettivamente è emerso un interesse per il funzionamento delle Comunità autonome spagnole».Qualcuno solleva preoccupazioni rispetto al meccanismo per cui le comunità locali potrebbero trattenere quote di tributi che pure resterebbero teoricamente di titolarità statale.«Non comprendo questi timori. Noi parliamo di compartecipazione ai tributi erariali per le funzioni da delegare. Già oggi la sanità si finanzia con l’Irap e con la compartecipazione all’Iva. E quanto alla Spagna una quota elevatissima della compartecipazione va ai fondi perequativi». Obiettivo finale?«Indipendentemente dal fatto che una regione italiana chieda o no di usare l’autonomia differenziata, stabiliremo che alcuni servizi e prestazioni debbano essere comunque garantiti. Ciò che non è garantito oggi lo sarà domani. Questo è garantire l’unità del Paese». Anche perché a un livello più vicino ai cittadini si può fare una gestione migliore, e magari iniziare a tagliare le tasse.«Già oggi spesso le regioni gestiscono la spesa meglio dello Stato. Dal 2011, a livello statale la spesa per il personale è crescita dell’1,3%, mentre a livello regionale è scesa del 10%. Per ciò che riguarda l’acquisto di beni e servizi, a livello statale c’è stato un + 14%, a livello regionale un – 15%, quindi una differenza complessiva del 29%. Non solo, ecco il punto: se ti do 100 e svolgi quelle funzioni usando 80, con il restante 20 puoi tagliare le tasse o incrementare i servizi».La situazione attuale vede alcune regioni costrette a contribuire...«Oggi 12 regioni hanno un residuo fiscale negativo: vuol dire che le spese di tutta la macchina pubblica sono inferiori alle entrate generate da quel territorio. Insomma, quelle regioni non solo pagano le proprie spese ma fanno di più: generano 146 miliardi annui in più, 30 dei quali vanno a coprire le esigenze delle altre 8 regioni (le quali spendono più di quello che producono). Sottolineo che la solidarietà messa a disposizione dalle regioni più ricche c’è, come un investimento sulla crescita del Sud, e che le altre, quando ne hanno la possibilità, devono dimostrare di saper correre a vantaggio di tutti i cittadini».
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