2019-07-25
Cacciati gli ultimi fedeli di Wojtyla dall’istituto che difende la famiglia
Con il licenziamento di don Melina e padre Noriega si completa la demolizione della roccaforte voluta da Giovanni Paolo II per la battaglia sui temi etici. In principio fu la sostituzione di Carlo Caffarra con Vincenzo Paglia.«Chi per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari chiude fabbriche, chiude imprese e toglie il lavoro agli uomini fa un peccato gravissimo». Non sono parole di Maurizio Landini, ma di papa Francesco, pronunciate nel 2017 nel corso di un'udienza generale, parole che fanno parte di un magistero sempre attento alla «tutela del lavoro». È davvero strano allora che due professori ordinari di provata esperienza siano stati licenziati in tronco senza subire alcun processo dal riformato, o forse sarebbe meglio dire ricreato, Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, quello voluto dal Papa polacco nel 1981 per occuparsi di studi su matrimonio e famiglia.Sembrano lontani i tempi in cui per togliere l'insegnamento da un pontificio istituto si passava anche da un processo, come ben sanno ad esempio i professori Hans Küng o Carlo Curran. Oggi si procede con escamotage: dal vecchio istituto se ne trae uno nuovo e così qualche professore può improvvisamente diventare superfluo. Siamo ai confini della tanto deprecata cultura dello scarto, per usare ancora una espressione di moda.Papa Francesco nel 2017 con un motu proprio cambiava nome all'Istituto Giovanni Paolo II aggiungendo un paio di parole, dopo che nell'estate 2016 aveva già nominato i nuovi responsabili: preside monsignor Pierangelo Sequeri e gran cancelliere monsignor Vincenzo Paglia. In quei documenti era già chiaro l'orientamento di ricreazione dell'Istituto, un processo legato al cosiddetto «nuovo paradigma» della teologia morale espresso nella esortazione Amoris laetitia, quella frutto del doppio sinodo sulla famiglia 2014 e 2015 e per cui quattro cardinali scrissero al Papa i loro dubia. Tra quelle porpore c'era anche il cardinale Carlo Caffarra, defunto nel 2017 e primo preside dell'Istituto, chiamato per quel ruolo proprio da Giovanni Paolo II. Ora, con la pubblicazione dei nuovi statuti, ecco l'epurazione operata dal gran cancelliere Paglia. Tutti i professori hanno ricevuto una lettera in cui vengono ufficialmente sospesi in attesa della decisione degli insegnamenti per il prossimo anno accademico, ma a due di loro è già arrivata una seconda lettera. In cui si dice che per loro due non c'è più posto. Saluti e grazie.I due silurati sono nomi di peso: don Livio Melina, primo assistente dell'allora preside Caffarra alla cattedra di teologia morale, nominato vicepreside dell'Istituto nel 2002 e preside dal 2006 fino alla sostituzione con Sequeri; l'altro è lo spagnolo padre José Noriega, insegnante di teologia morale speciale e fino all'altro giorno responsabile editoriale delle pubblicazioni dell'Istituto. I due non servono più perché nella metamorfosi dell'Istituto si dice che gli insegnamenti di teologia morale e teologia morale speciale sono superflui, si danno per fatti in altri gradi di insegnamento. Poi però, alla categoria «casi strani della vita», si apprende che una materia come antropologia teologica, anch'essa fruibile in altri livelli di insegnamento, rimane al suo posto. Ricapitoliamo. A un istituto ne «succede» un altro e i diritti (incarichi di lavoro e quant'altro) che derivavano dall'appartenenza al primo diventano improvvisamente carta straccia per due professori. Se le cose stanno così, e pare proprio che stiano così, sarebbe interessante capire cosa ne pensa monsignor Paglia e se il Papa ne è informato, visto che se la cosa fosse accaduta vigente la giurisprudenza italiana forse ci sarebbe qualche problema di «tutela del lavoro» a cui rispondere. Peraltro, è da escludere che l'atto miri in qualche modo a limitare la libertà di ricerca, visto che proprio papa Francesco è recentemente intervenuto a Napoli per ricordare come sulla libertà di riflessione teologica gli studiosi sono chiamati ad «andare avanti con libertà». Se il problema non sta nemmeno qui, occorre davvero concludere che nel nuovo Istituto per studi su matrimonio e famiglia a essere superata sia la teologia morale, o almeno non c'è più bisogno di insegnarla. All'Istituto, che sulla teologia morale si è fondato, tanto per dire, servono ora soprattutto la sociologia, la psicologia, altre scienze umane, utili per accompagnare le varie tipologie di famiglie, più o meno ferite. Basta dogmi, basta assoluti morali, basta con l'enciclica Veritatis splendor. In una parola, basta Giovanni Paolo II e avanti con il «nuovo paradigma» di Amoris laetitia.Da questa prospettiva il siluramento dei due professori rappresenta l'ultimo atto di un processo avviato fin dai primi tempi del pontificato di Francesco e concretizzato soprattutto nel controverso doppio sinodo sulla famiglia. Un approccio inclusivo, di allontanamento dagli assoluti morali, verso una conversione pastorale che vede le norme come l'orticaria. Una spallata all'insegnamento del santo papa polacco che sulla rifondazione della teologia morale aveva scommesso quella che forse è stata la sua enciclica più importante e ostracizzata, Veritatis splendor appunto. Parente stretta di un'altra enciclica avversata da teologi e prelati progressisti, l'Humanae vitae di Paolo VI. Sembra allora che il licenziamento di Melina e Noriega abbia le sue radici nell'ampio dissenso ecclesiale che le due encicliche dei due santi papi hanno subito dal 1968 fino ad oggi. Se non è così, vien da chiedersi a che pro cessare e ricreare una istituzione che tanto bene ha fatto e tanto si è diffusa nel mondo, aprendo per altro una bella domanda a proposito di «tutela del lavoro» in un pontificato che ne ha fatto una bandiera.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)