2021-11-21
La scienza «libera» secondo Burioni: pro Draghi e targata
Alla kermesse dell'ex premier, il virologo sviolina al governo. È la dimostrazione che la sua posizione è ormai solo politica.Leopolde piene, urne vuote. Si potrebbe liquidare la kermesse fiorentina con il vecchio motto di Pietro Nenni e lasciare il conferenziere Matteo Renzi alla sua autocelebrazione da palco (per una volta gratis) per provare ad arrivare al 3% dei consensi partendo dal solito, novembrino 2,5%. Ma la versione numero 11 della Leopolda ha qualcosa di speciale: il nome dei tre re Magi che in anticipo sul Natale si sono recati a portare doni all'ex bimbo-messia. Sono i simboli più evidenti del made in Italy nella stagione della pandemia: la virostar cotonata Roberto Burioni, il pippo olimpionico Giovanni Malagò e il Vanity sindaco Giuseppe Sala. Sovrapponibili per autoreferenzialità, aura di successo e trasformismo, fanno passerella in piena sintonia con il Capo. Il personaggio più poliedrico è Burioni, che in collegamento da casa sua ha fatto discendere il verbo: «Più si vaccina e prima si vince questa guerra, più si vaccina e prima è finita questa pandemia. Dobbiamo accelerare sulla terza dose ma siamo l'esempio da seguire in Europa, l'Italia tra le grandi nazioni è il paese con più vaccinati, che ha messo in atto per prima misure di contenimento come il green pass e ha una macchina magnifica per le vaccinazioni». Poi, con afflato fantozziano: «Grazie governo». Applausi commossi. La Leopolda è una bolla, è la porta che conduce al paese delle meraviglie e chi ascolta è preda della sindrome di Alice. Si ascolta in religioso silenzio. Qui dentro non c'è l'eco delle manifestazioni di dissenso sempre più numerose contro gli eccessi del passaporto liberticida; non esistono dubbi sull'efficacia di un siero che non immunizza; neppure una lepre marzolina è assalita dal dubbio che siamo i migliori nel continente più vaccinato ma anche più infetto in questo autunno psicotico. I migliori dei peggiori nel mondo, le classifiche possono anche essere lette al contrario. Così, quando il virologo da festival sottolinea che «solo la scienza ci salva, qui ci sono ancora sette milioni di italiani non vaccinati», è difficile per i leopoldini cogliere il retropensiero: vaccino obbligatorio, dosi anche ai neonati, immunità di gregge che si è già trasformata in una favola. C'è un altro aspetto poco gradevole della comparsata digitale fiorentina: a che titolo parla Burioni? Sa perfettamente di partecipare a una convention politica, ripete a nastro frasi appiattite sulla linea strategica di Italia viva, fa lo sponsor di Mario Draghi che proprio il padrone di casa Renzi si vanta di avere piazzato in solitudine sul trono (e il premier dovrebbe essere il primo a offendersi). Non è la prima volta che la virostar si appalesa su quel palco: già alla Leopolda 9 ebbe modo di farsi notare con il suo dolce stil novo. «Un somaro rimane tale anche con Internet», così liquidò (pur con qualche ragione) i residuali no vax sul morbillo. Somari. Erano le prove generali, «i sorci» e «gli stupratori» sarebbero arrivati dopo. Di conseguenza, quello che parla è un Burioni politico, un Pier Luigi Lopalco prima delle dimissioni da assessore regionale, un Sergio Abrignani senza ministero di riferimento. In definitiva, un consulente di Renzi e di Fabio Fazio. Si parte dalla vecchia stazione di Firenze e si arriva in Senato, è già successo. In questo modo la «terzietà della scienza» - bandiera issata in ogni talk show per zittire gli scettici - va letteralmente a farsi benedire. Come se Nature avesse lo stesso peso di Enews o di uno speech del Capo a Riyad. Dentro la bolla irrompe di corsa anche lo sport. E poiché Marcell Jacobs e Gimbo Tamberi hanno fatto sapere che non c'è trippa per strumentalizzare i trionfi, non resta che ascoltare in religioso silenzio il presidente del Coni, Malagò, che da alcuni mesi si aggira per forum e conferenze come se i cento metri, la staffetta, i 20 km di marcia li avesse vinti lui, senza dimenticare il taekwondo. La tappa alla Leopolda era d'obbligo, visto che nel 2017 fu Luca Lotti (ex sottosegretario allo Sport del governo Renzi) a far passare la legge per il terzo mandato al presidente a vita, e nel 2020 con un emendamento-blitz a restituire soldi e potere al Coni dopo la riforma di Giancarlo Giorgetti. «Renzi ha voluto riconoscere la nostra autonomia, queste sono cose che non si dimenticano», ha timbrato il cartellino ringraziando. L'ex premier vorrebbe confermarlo a vita («In Italia ci sono cose che funzionano e il Coni è una di queste, grazie anche a Malagò») ma il 2,5% nelle urne non sempre è sufficiente. Non poteva mancare il re magio arcobaleno, Beppe Sala. Lui è un habitué della Leopolda, c'era stato la prima volta nel 2015 per l'endorsement politico a favore del premier rosé nei mesi caldi dell'Expo. Quella frase: «L'Expo non doveva esserci ma si è fatto grazie a Cantone e Sala, grazie al prefetto e alla Procura di Milano che ringrazio per avere gestito la vicenda con sensibilità istituzionale», ancora oggi fa discutere. Il ritorno sei anni dopo non deve essere piaciuto al Pd che lo ha rieletto e che oggi ha rapporti a dir poco infernali con il senatore di Scandicci. Ma le elezioni sono acqua passata e il secondo mandato del Vanity sindaco è all'insegna dello one man show. Dagli altoparlanti esce la voce di Jovanotti che canta «Sono un ragazzo fortunato». Qui dentro non è l'unico.