2022-04-01
Tra bunker e trincee nella foresta così si resiste ai droni dei russi
(Credit: Niccolò Celesti)
Nella cintura di vegetazione a Nord della capitale ci sono ben 18 linee di difesa: «Se ne salta una, subentrano le altre». Una vita sottoterra con l’incubo fisso del cellulare per non farsi «agganciare» dai missili di Mosca.Niccolò Celesti da KievPer capire questa guerra che accade in Europa nell’anno 2022 e cercare di spiegarla al mondo occidentale c’è bisogno di farla vedere dall’interno, di far capire la situazione in cui Vlad, Sergey, Alexander, Eugenio, Sergio stanno combattendo. Nella polvere, al freddo dentro i boschi, sottoterra a contatto con i lombrichi, questi ragazzi erano professori, ingegneri, muratori, cuochi, modelli, musicisti, qui c’è di tutto, potremmo essere nei boschi intorno a Venezia, nella pianura Emiliana, tanto sono penetrati i russi.Quando arriviamo in questa ultima postazione nella periferia di Kiev, Eugenio, il volontario con cui cerchiamo di raggiungere un gruppo di altri appostato fra le linee ci spiega che oggi non si può passare, il fumo nero e le esplosioni in fondo a questa strada a 4 corsie sono il segnale insieme che qui ancora si combatte. Eugenio ha un amico lì e in macchina abbiamo giubbotti antiproiettile, provviste, un paio di coperte. Ci fermiamo ad aspettare lungo la strada, da qui ora passano solo le jeep con i militari dei corpi speciali che vanno verso il fumo armati fino al collo. Eugenio parcheggia la macchina cerca di raggiungere l’amico al cellulare ma poi ci pensa e ridendo fra sé e sé dice: «Là non possono usare la linea cellulare e anche qui non è proprio consigliato». In questa lunga attesa conosciamo Sergio, un ragazzo di 32 anni che quando ci vede ci saluta con accento del Nord. Sergio è Ucraino, ha due occhi blu, la barbetta incolta bionda come i capelli e uno sguardo sinceramente emozionato. «O Italia Italia che bella la mia Italia, non riesco a tornare dal 2012 ma ho sempre voluto venire ad abitare là». Così tra un missile che viene intercettato e abbattuto sopra le nostre teste e innumerevoli bicchierini di Nescafé ci racconta la sua storia.Sergio è nato nel 1992 e pochi anni dopo con i suoi due fratellini viene abbandonato nell’orfanotrofio di Bucha. Dall’orfanotrofio a 7-8 anni Sergio scappava per lavorare qualche ora al giorno come manovale, per comprare caramelle e gelati, più tardi poi usufruisce di un programma di scambi con l’Italia e inizia a venire nel nostro Paese un paio di mesi all’anno ospite di famiglie italiane, in Sicilia, in Calabria, a Milano. Fino a quando nel 2007 riesce ad essere ammesso alla scuola alberghiera, a Calalzo di Cadore, e durante gli studi lavorava al Park hotel Bellavista, una struttura a poche centinaia di metri dalla scuola alberghiera. Per capire questa guerra bisognerebbe capire come viene combattuta, palmo a palmo con ben 18 linee di difesa, a poca distanza l’una dall’altra, 50, 70 metri perché «se cadono i ragazzi della prima trincea ci sono quelli subito dietro della seconda e poi della terza della quarta e così via fino all’ultima goccia di sangue». Ci sono i droni qui, la differenza con la Seconda guerra mondiale è questa perché, i mortai, la contraerea, le mine e i mitragliatori c’erano anche 80 anni fa, ci sono le attrezzature che l’Europa sta lentamente mandando in territorio ucraino ma che qui arrivano a singhiozzo, comprese le pallottole.Siamo con il 206esimo battaglione, che controlla una vasta area del conflitto a Nord di Kiev, qui il sordo rumore della contraerea è costante. Anche oggi, a tre giorni dall’annuncio dell’armata russa di non voler più conquistare Kiev, la costruzione di rifugi, trincee e di cunicoli sotterranei è costante, della foresta qui rimane ben poco. In poche ore vediamo erigere veri e propri bunker sotto terra con due metri di spessore creato con strati di alberi, teli di plastica e terra che si ripetono incrociandosi. Qui si capisce che non ci sarà un epilogo veloce, e che gli ucraini non credono al cambiamento di piano russo, d’altronde ancora non si riesce ad arrivare ad Hostomel’ a 2 km da qui e Bucha è ancora controllata dai russi che cercano di scappare legando sui carri armati i civili per non farsi attaccare, ci racconta un soldato che dice di aver ricevuto la notizia da un amico sul fronte di Irpin. Mentre scriviamo siamo all’interno di un posto di comando ricavato in un vecchio locale tecnico al margine della foresta, i comandanti ci offrono questo posto per non farci dormire in una trincea, l’umidità è pesantissima, i vecchi materassi adagiati sul terreno sono bagnati, mezzo metro a persona, si dorme tutti insieme attaccati, lungo una parete della stanza, qui c’è Internet, ce una linea wireless, anche se non la si può usare con il cellulare. Il cellulare va tenuto in modalità aerea pena l’eventuale responsabilità di un missile che cade nelle vicinanze. In un angolo della stanza c’è un tavolo con due sedie da ufficio e una serie di schermi, uno attaccato all’altro, i fili sono sospesi sul muro e entrano da un buco fatto nel soffitto, le immagini di quattro droni e di varie telecamere che sono dislocate nella foresta davanti a noi vengono passate al setaccio, e via radio si danno indicazioni agli operatori sul campo. Davanti alle immagini ci sono due ragazzi, uno parla un ottimo inglese, gli chiediamo se sia militare da molto tempo e lui ci risponde sorridendo: «Sono militare dal 10 marzo e sono qui da quel giorno, mi occupo di intelligence, prima invece ero il responsabile marketing per una azienda straniera». Quegli schermi ed il suo lavoro sono tra le cose più preziose che i cittadini ucraini hanno messo a disposizione di questa guerra, lasciando giacca e cravatta in un comodo ufficio del quartiere finanziario di Kiev e mettendo le proprie capacità tecnologiche al servizio del Paese. Così capita di vedere generali e comandanti che entrano nella stanza e si riuniscono intorno a questi ragazzi per avere informazioni e direttive sul da farsi, poco conta se quello che dà le direttive sia dell’esercito da due settimane.Qui al fronte non si vedono gradi e non ci sono atteggiamenti di superiorità, sì capisce chi comanda solo dall’atteggiamento degli altri, non si arriva mai a dare ordini ci racconta Ivan. Ivan è un ufficiale dell’esercito di 30 anni, un ragazzone alto quai 2 metri, con il viso pulito gli occhi profondi e sempre scherzoso, è nell’esercito dal 2014, «sono stato 5 anni in Lugansk, ora sono qui a difendere Kiev». Il suo ruolo è quello di organizzare la logistica e i posizionamento di trincee e postazioni di difesa. Non porta una divisa con i gradi, un casco, il fucile, indossa un giaccone ed è costantemente accerchiato da tre-quattro militari che ne seguono le direttive, comunica con due cellulari e le radio con il comando superiore, è lui che ha la responsabilità di tutti, infatti quando gli parliamo degli ultimi ragazzi morti nella notte la sua faccia sempre sorridente per un attimo si irrigidisce. Quando abbiamo la possibilità di scambiare con lui alcune parole è seduto dietro alla seconda linea di trincea su un tronco tagliato in mezzo al bosco, si sentono ben vicine le esplosioni ma lui non ci fa caso, sta lì e tra una domanda all’altra risponde ai continui messaggi della radio.«Noi lo sapevamo già che i russi prima o poi ci avrebbero attaccato, e credo lo sapesse anche il resto del mondo, siamo un piccolo esercito ma fatto di patrioti, di persone che vogliono una Ucraina democratica e vivere in libertà, personale e finanziaria. Qui a Hostomel’ la situazione è calda ma non ti posso dire granché, quello che ti posso dire che i russi sono arrivati fino a qui con i carri armati e tante attrezzature e mandano i loro soldati avanti, quello che abbiamo fatto nell’ultimo mese è fermarli, sono caduti tantissimi soldati, noi conosciamo il territorio abbiamo occhi e orecchie dappertutto, anche sottoterra, i nostri militari escono dal nulla e li neutralizzano». Ivan ci congeda con un saluto mentre risponde all’ennesima telefonate e si accende le quarta sigaretta dall’inizio della nostra conversazione, è sera ed è quasi ora di cena.C’è un tramonto con un sole rosso bellissimo che sparisce tra gli alberi del bosco davanti a noi dove sì sta combattendo la battaglia più importante. Nell’ultimo edificio prima che inizi la foresta è stata allestita la foresteria, anzi questo era già un posto dove sì mangiava e beveva andando a fare le scampagnate fuori città, fuori una pedana di legno, una grande griglia per le carni, dentro la trattoria tipica dì cui il proprietario ha consegnato le chiavi ai militari perché potessero utilizzare la cucina e le sale. Così questo è diventato il ristorante del fronte dove Sergio che ha l’ordine di farci da ombra finché stiamo qui è uno dei cuochi e aiutanti, così per dargli il tempo anche dì lavorare ci spostiamo a scrivere proprio lì nella foresteria.Ecco sono le 23, mentre fumano e chiacchierano un drone passa sopra le nostre teste, i ragazzi sì agitano guardano dentro al mirino notturno del kalashnikov ma il drone sparisce, inizia un tam tam di comunicazioni radio e un via vai dal bunker a fuori, tutti con il naso in su ma soprattutto le orecchie in ascolto.