
Tensioni al Consiglio Ue sulla spartizione di 10 milioni di dosi aggiuntive. Mario Draghi: «I cittadini si sentono ingannati da Big Pharma». Joe Biden offre aiuto ai 27, ai quali imporrà una contropartita sui dossier strategici.Dopo aver alzato la posta della campagna vaccinale in America, promettendo in conferenza stampa a Washington 200 milioni di immunizzazioni nei suoi primi 100 giorni in carica, Joe Biden si è collegato alla videoconferenza con Bruxelles alle 20.45. Per qualche minuto i leader seduti al tavolo virtuale del Consiglio europeo sono così tornati a essere 28. Non c'era più Boris Johnson, per via della Brexit, ma il nuovo capo della Casa Bianca, invitato a partecipare dal presidente Charles Michel. Fuori Bojo, con la guerra ad Astrazeneca (Mario Draghi avrebbe detto alla conferenza che i cittadini «hanno la sensazione di essere stati ingannati» dalla casa farmaceutica anglosvedese), gli europei ora bussano alla porta di Biden in nome di una «cooperazione» che però vede gli Stati Uniti seduti al tavolo in una posizione di forza, perché sono autosufficienti dal punto di vista della produzione dei vaccini e inoltre non esportano. Biden, che ha parlato per una mezz'oretta, ha offerto sostegno sul fronte della distribuzione globale dei vaccini e poi si è soffermato sul rilancio delle relazioni transatlantiche e l'agenda green. Ma l'ago potrebbe spostarsi verso l'altra sponda dell'Atlantico se sulla bilancia finiranno anche i rapporti da tenere con la Russia e la Cina. Senza dimenticare la disputa commerciale Boeing-Airbus (sul quale c'è stato un incontro tra funzionari di Washington e le controparti di Berlino), i dazi su acciaio e alluminio, nonché il gasdotto Nord Stream 2 (sul quale il segretario di Stato americano Tony Blinken ha minacciato sanzioni). Alle relazioni con gli Usa è strettamente legata anche l'alleanza della tedesca Biontech con l'americana Pfizer per la produzione del vaccino. Che ieri ha scaldato il dibattito nel Consiglio europeo per la distribuzione di 10 milioni di dosi che verranno consegnate in anticipo, nel secondo trimestre 2021, anziché più avanti nel corso dell'anno come era previsto originariamente. Alcuni Paesi dell'Est Europa, insieme all'Austria, che hanno puntato più su Astrazeneca e che ora si trovano in difficoltà, spingono perché queste dosi aggiuntive non vengano distribuite pro quota in base alla popolazione, perché in questo modo «non verrebbe colmato il gap» che si è venuto a creare tra i diversi Stati dell'Ue. Il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, ieri ha tenuto il punto ma Vienna non sembra essere nella lista. In particolare, le proteste orchestrate da Kurz nei giorni scorsi sui criteri adottati per la ripartizione dei sieri, e il suo viaggio in Israele per alleanze sui vaccini, hanno destato non poche irritazioni. È improbabile che una soluzione operativa sulla ripartizione dei 10 milioni di dosi venga trovata al vertice, e comunque in prima linea per ottenere gli Pfizer ci sono Bulgaria, Croazia e Lettonia. Intanto, mentre i leader dei 27 aspettavano lo special guest, al Consiglio europeo (terminato in anticipo, senza il secondo round previsto per oggi) ha tenuto banco la stretta all'export ma anche l'ennesimo paradosso burocratico europeo. I singoli Stati sono ancora alle prese con una complicata gestione logistica della campagna di immunizzazione, dove i colli di bottiglia non riguardano più le dosi ma le somministrazioni. Eppure, in cima alle priorità sembra esserci il pass vaccinale rilanciato ieri, dopo che nel summit dello scorso 26 febbraio, Bruxelles si era presa tre mesi di tempo per mettere a punto tecnicamente un certificato che consenta di far tornare gli europei a viaggiare. «Il lavoro legislativo e tecnico sui certificati digitali interoperabili Covid sulla base della proposta della Commissione Ue», per tornare a viaggiare, in futuro, quando le condizioni epidemiologiche del Covid lo permetteranno, «dovrebbe essere portato avanti con urgenza», riporta la bozza di conclusioni dell'incontro di ieri. Il premier Mario Draghi avrebbe pienamente condiviso la proposta, invitando però gli altri capi di governo ad approfondire alcuni possibili ostacoli all'esecuzione del progetto, perché avere piattaforme nazionali e renderle interoperabili non è un risultato banale, evitando anche possibili rischi di discriminazione. Prima, però, bisogna vaccinare. Secondo gli esperti, se abbassi il rischio al punto da farlo diventare gestibile, sei tornato alla normalità. Meglio in questa fase procedere con tamponi a raffica, ovvero con gli strumenti diagnostici indispensabili per limitare i contagi su cui comunque va recuperato terreno: già oggi avremmo infatti dovuto avere un sistema affidabile al 95% che in cinque minuti ci consenta di testare l'eventuale positività al Covid. Fuori dall'Europa è cauto Boris Johnson, secondo cui l'ipotesi di un passaporto vaccinale potrà essere presa concretamente in considerazione nel Regno Unito solo quando sarà stata completata almeno la fase di somministrazione della prima dose all'intera popolazione over 18 entro fine luglio. In Italia un invito a fare attenzione arriva anche dal ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti: «Se siamo in grado di avere un'uniformità vaccinale è un conto, altrimenti si rischia di discriminare fasce di popolazioni che non riescono ad accedere ai vaccini e che resterebbero penalizzati», ha detto ieri.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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