2018-10-26
«Bruxelles fermi lo scontro e accetti il governo gialloblù»
L'economista pro Ue Paul De Grauwe dà ragione all'Italia: «Mercati in crisi per questioni politiche, non per il deficit. Giusto difendere i trattati, ma qui c'è una questione di democrazia».Paul De Grauwe è uno dei più autorevoli economisti viventi, non solo a livello europeo. Belga, ha insegnato all'università Cattolica di Lovanio e alla London school of economics, di cui ha guidato lo European institute. Liberale pro mercato, non certo un antiglobalista, da anni ammonisce tuttavia sul crescente ruolo delle emozioni nell'economia e nella politica, e quindi riflette anche sui limiti del mercato, sul possibile ruolo dei governi e sulla necessità di tenere sempre conto di democrazia ed elettori. Europeista per princìpi e idealità, vede però tutti i limiti e le inefficienze dell'attuale costruzione europea. Ha scelto di discutere a tutto campo con La Verità - con la disponibilità e la gentilezza dei grandi - a partire dalla situazione tesissima tra la Commissione di Bruxelles e il governo italiano. Professore, la situazione dell'Italia sui mercati non sembra facile…«Vedo una situazione molto difficile per la Borsa, i titoli del debito pubblico e lo spread. E la ragione principale è tutta politica: il conflitto tra il governo di Roma e la Commissione di Bruxelles. È questo scontro che può mettere in subbuglio i mercati, specie con riferimento ai titoli italiani. Non mi sembra probabile che l'Italia ceda alle richieste della Commissione. Il conflitto può indurre gli investitori a vendere titoli italiani, e a una salita eccessiva dei rendimenti».La Commissione accusa il 2,4% di deficit italiano…«Ma non è certo un deficit al 2,4% che fa precipitare i mercati: il problema è un conflitto politico di cui nessuno può prevedere l'esito. È questo che può creare nuovi e ulteriori rischi». Qualcuno deve fermarsi, insomma.«Il mio appello è affinché la Commissione adotti un approccio più flessibile. Il governo italiano può piacere o no, ma scaturisce dalla volontà della maggioranza degli elettori italiani. Non si può pretendere che una nuova maggioranza politica resti vincolata alla promessa di deficit inferiore formulata da una maggioranza e da un governo diversi». Non le pare che la Commissione stia scherzando con il fuoco?«Sì, questa volta la Commissione rischia di innescare un'escalation, ed è un gioco pericoloso. Lo ripeto ancora: può piacerti o no il quadro politico italiano (e ad esempio non è detto che a me piaccia), puoi non esserne entusiasta, ma devi prenderne atto, devi realizzare che c'è una nuova situazione». Altrimenti…«Se il conflitto si intensifica, si intensifica pure la crisi finanziaria, perfino con effetti di panico. Si rischia una profezia che si autoavvera… È per questo che chiedo alla Commissione di fermarsi». Ma perché non lo fanno secondo lei?«Non lo so. Certo, può esserci la pressione di altri Paesi, Germania e Francia, che insistono sul rispetto delle regole esistenti. Ma altre volte è successo che altri Paesi abbiano sforato, anche nel recente passato. Tedeschi e francesi dovrebbero ricordarlo. Nel 2003-2004, quando le loro economie non stavano andando bene, i governi di Francia e Germania si scontrarono con la Commissione Ue sui loro budget. Bruxelles voleva che i deficit di Francia e Germania fossero ridotti, ma loro dissero di no. Oggi l'Italia fa lo stesso». Si torna al tema del voto politico della scorsa primavera.«C'è una nuova maggioranza che ha fatto delle promesse elettorali e ora vuole realizzarle. Questo ha implicazioni sul budget. La Commissione vorrebbe forzare il governo ad abbandonare quelle promesse, senza che sia Bruxelles a pagare costi elettorali per questo eventuale abbandono». Anche da un punto di vista teorico, lei dice da tempo che i poteri di controllo della Commissione sui bilanci nazionali sono cresciuti eccessivamente.«Sì, è un'impostazione che è stata voluta dai Paesi creditori: più poteri a Bruxelles. Sin dalla crisi del 2010, la Commissione ha rivendicato un sostanziale aumento dei suoi poteri di controllo sui budget nazionali. E voglio precisare che questi maggiori poteri non sono stati ottenuti in modo illegale o antidemocratico, di per sé: vi sono state decisioni degli Stati e del Consiglio Ue al riguardo. Quindi non pongo un problema di legittimazione giuridica. Ma un problema di legittimazione politica». Spieghi meglio, professore.«Tutto il processo di preparazione delle manovre finanziarie è nazionale, basato sul “no taxation without representation", cioè sulla legittimazione democratica e popolare, sul voto nelle singole nazioni. È rischioso interferire da Bruxelles su questo processo…».In altre parole, è discutibile un controllo top down dei bilanci nazionali…«È un modello che non funziona. Vede, il mio schema ideale, la mia soluzione preferita, sarebbe una maggiore integrazione europea, verso un'unione politica: trasferire il “no taxation without representation" a livello europeo. Ma questo oggi è solo un sogno, adesso non è così. Tutto invece accade oggi a livello nazionale: e allora anche Bruxelles deve accettare questa realtà, altrimenti innesca solo scontri pericolosi». Se questo non accade e Bruxelles insiste? «Capisco che si sentano guardiani dei trattati. Ma è cieco non vedere una questione democratica. Si pone un problema sempre più grande di legittimazione politica di quelle istituzioni». Secondo lei non capiscono (quindi la Commissione di Bruxelles è diventata una torre d'avorio, come lei ha scritto), o capiscono e vogliono uno scontro?«È un errore non capire le emozioni della pubblica opinione, degli elettori. Tra l'altro, quell'atteggiamento di Bruxelles non farà che inasprire la posizione del governo italiano, che potrà dire: “Noi siamo dei politici eletti, mentre dei burocrati non eletti vogliono coartare la volontà popolare". Il risultato dell'escalation di Bruxelles sarà un inevitabile irrigidimento della posizione di Roma». Ma secondo lei, oltre a colpire l'Italia, vogliono anche dare una lezione ai Paesi di Visegrad e a chiunque voglia disobbedire all'asse francotedesco? «Non so cosa ci sia dietro, onestamente non faccio ipotesi sulle intenzioni». Diciamolo in altro modo: si ha la sensazione di un'Ue come un progetto francotedesco, disegnato a Berlino e Parigi, e poi imposto a tutti gli altri…«So che questa è la percezione in Italia, forse più che in altri Paesi. Io spero di no. Ma certo la Germania dovrebbe almeno accettare - in questo particolare caso - che insistere su uno stretto e rigidissimo rispetto delle regole contro l'Italia rischia di essere controproducente». Finirà che l'Italia magari potrebbe valutare di porre un veto al bilancio pluriennale europeo…«Questo non vorrei che accadesse, spero di no, sarebbe un'escalation. Ma a maggior ragione la Commissione dovrebbe fermarsi prima».