2020-05-12
Bruxelles dà in appalto il vaccino ai Gates
Billa Gates (Alex Wong:Getty Images)
La Commissione europea ha raccolto 7,4 miliardi per finanziare la ricerca. All'appello hanno risposto molti soggetti privati. Ma a gestire i soldi saranno associazioni riconducibili al patron di Microsoft, che punta anche a test diagnostici e terapie.No vaccino, no party. Come dimostra la singolar tenzone tra Stati Uniti e Cina, fino a oggi la partita geopolitica si è giocata principalmente sul campo della capacità produttiva dei dispositivi di protezione, mascherine in primis. Ma è facile immaginare che, nel prossimo futuro, a tenere il pallino in mano saranno i soggetti - siano essi governativi o privati - in possesso della cura o, meglio ancora, dell'arma in grado di prevenire il ritorno del «nemico invisibile». È anche per questo motivo che, conscia dell'impossibilità di mantenere in eterno il lockdown, il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha fatto pressione affinché l'Unione europea rientrasse a pieno titolo nella corsa per il vaccino contro il Covid-19. «Da un lato dobbiamo sviluppare un vaccino con grande rapidità, dall'altro produrlo e distribuirlo in ogni angolo del mondo», ha dichiarato la von der Leyen a margine del lancio della raccolta fondi «Coronavirus global response». Culminata con l'evento pubblico del 4 maggio scorso, l'iniziativa ha permesso di raccogliere la considerevole cifra di 7,4 miliardi di euro (su un obiettivo di 7,5 miliardi), tutti da impiegare per la ricerca nella lotta contro il patogeno. Nota bene: sono promesse di donazioni (cosiddetti «pledge»), e perciò non è matematico che si traducano in soldi liquidi. Ma il risultato rappresenta già un ottimo punto di partenza.Fin qui tutto bene. Vale la pena, tuttavia, andare più a fondo della retorica buonista che contraddistingue questo tipo di progetti. Chi c'è dietro la «Telethon europea»? Rispondere a questa domanda non equivale solo a comprendere chi gestirà l'enorme mole di denaro messa a disposizione dalla Commissione. La posta in palio è decisamente molto più alta. Quella del vaccino rappresenta infatti una leva incalcolabile, sia in termini di immagine che sul piano dei potenziali ricavi.La risposta globale al coronavirus ideata dalla Commissione coinvolge interlocutori pubblici e privati di tutto il mondo. Tra i principali promotori, i governi di Francia, Germania, Italia, Norvegia, Spagna, Regno Unito e, fuori dai confini europei, Canada e Arabia Saudita. Non mancano, ovviamente, le Ong e i soggetti privati. D'altronde, il Coronavirus global response nasce proprio in risposta all'appello comune alla mobilitazione lanciato, il 26 marzo, dall'Oms e altre organizzazioni «per accelerare lo sviluppo, la produzione e l'accesso equo nel mondo a strumenti contro la Covid-19», detto anche «Act accelerator». Nel novero dei soggetti coinvolti, troviamo la Bill & Melinda Gates Foundation, l'alleanza mondiale per i vaccini Gavi, l'ente di beneficienza britannico Wellcome Trust e, guarda caso, la Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche.L'Act accelerator si basa su tre partenariati principali: oltre ai vaccini, le terapie e sugli strumenti diagnostici. La responsabilità per ognuno di questi filoni viene affidata a due capifila. Per i vaccini, la Coalition for epidemic preparedness innovations (Cepi) e il Gavi; per le cure, il Therapeutics accelerator e Unitaid; infine, per gli strumenti di diagnosi, la Foundation for innovative new diagnostics (Find) e il Global fund.Nomi che al grande pubblico forse non dicono nulla. Ma dietro a tutte queste sigle si nasconde, a vario titolo, un unico e potente deus ex machina, vale a dire per l'appunto la fondazione dei coniugi Gates. Partiamo dal Cepi, associazione norvegese fondata nel 2017 a Davos per promuovere l'accesso ai vaccini a costi abbordabili. Nell'elenco dei fondatori, oltre ai governi di Norvegia e India, troviamo Wellcome Trust, il World economic forum e la stessa fondazione Gates. Quest'ultima risulta tra i principali finanziatori del Cepi (13,4% su un totale di circa 1 miliardo di dollari fino al 2018) insieme, tra gli altri, al Giappone (16,7%) e alla Germania (13,7%). Ancora più palese il legame con il Therapeutics accelerator, joint venture fondata a marzo 2020 dal leader mondiale delle carte di credito Mastercard (25 milioni di dollari), e ancora una volta Wellcome Trust e Bill & Melinda Gates Foundation (50 milioni di dollari a testa). Il fondatore di Microsoft risulta nella lista dei più generosi contributori sia di Unitaid (organizzazione internazionale attiva nella lotta all'Aids), che di Find (quarto per somme stanziate nel 2018 con 6,8 milioni di dollari). Sono ben 3, invece, i miliardi di dollari investiti nell'ultimo ventennio dai Gates nel Global fund, il Fondo globale per la lotta all'Aids, la tubercolosi e la malaria. Ben nota, infine, la relazione con l'Oms e il Gavi, enti dei quale la Fondazione rappresenta il primo finanziatore privato. Si può dire che, di fatto, Bruxelles abbia appaltato la realizzazione del vaccino alla famiglia Gates.Qualcuno potrà dire che l'unione fa la forza. Ma nel pieno di un'emergenza sanitaria, la fretta non può cedere il passo alla trasparenza. Colpisce innanzitutto che tra i primi 5 Paesi finanziatori dell'iniziativa, ben 3 non siano europei: Giappone (762 milioni di euro), Canada (551 milioni) e Arabia Saudita (456 milioni). Non può essere sottovalutato, inoltre, il peso degli Stati produttori di petrolio. Oltre alla già citata Arabia Saudita, in prima fila ci sono anche Norvegia (188 milioni), Kuwait (91 milioni) e Cina (45 milioni). La vera domanda però riguarda il ruolo dei soggetti non governativi. Nelle intenzioni della von der Leyen, «questo vaccino deve essere e sarà un bene comune universale».Rispondendo a domanda precisa delle Verità sulle policy che la Commissione intenda adottare caso di scoperta di un vaccino, il dipartimento Salute non sembra poi così certo. «Nel caso di un soggetto pubblico», spiegano da Bruxelles, «ci sarà libero acceso ai risultati». E se a formulare la cura dovesse essere un privato? «In linea di principio non sarebbe costretto a rinunciare alla proprietà intellettuale (cioè il brevetto, ndr), ma ci aspettiamo che anche loro condividano l'obiettivo di garantire accesso universale e sostenibile alla diagnostica, alle terapie e ai vaccini». Nessuna certezza, solo timidi auspici. E il rischio concreto che questa immensa mole di denaro finisca nelle mani di chi vuole arricchirsi con la scusa della pandemia.