
La Camera dei Comuni ha detto sì al rinvio, autorizzando Theresa May a chiedere all'Ue lo slittamento oltre il 29 marzo. Se si andasse troppo in là, il Regno Unito rischierebbe però di dover partecipare alle elezioni europee, determinando un vero cortocircuito.Dopo che martedì ha respinto per la seconda volta l'accordo fra Londra e Bruxelles e che mercoledì ha escluso in qualsiasi circostanza la possibilità di un'uscita del Regno Unito dall'Unione europea senza accordo (il cosiddetto scenario «no deal»), ieri la Camera dei Comuni ha detto sì al rinvio della Brexit. Il Parlamento britannico ha quindi autorizzato il primo ministro Theresa May a chiedere all'Unione europea, durante il prossimo Consiglio europeo del 21-22 marzo, l'autorizzazione a uno slittamento della Brexit oltre la data prevista, cioè il 29 marzo. La mozione del governo, approvata con 412 voti favorevoli e 202 contrari, prevede uno slittamento fino almeno al 30 giugno prossimo ma non indica una scadenza. Della lunghezza dell'estensione hanno parlato, prima del voto alla Camera dei Comuni, alcuni esponenti dell'Unione europea. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha annunciato che avrebbe chiesto ai leader dei 27 Paesi membri «una proroga lunga se il Regno Unito lo ritiene necessario per ripensare la sua strategia Brexit e costruire un consenso attorno a essa». Sui tempi in particolare si è espressa Eleanor Sharpston, avvocato generale della Corte di giustizia europea, con un contributo personale sulle soluzioni possibili che, con un'occhio alle elezioni per il Parlamento europeo fissate tra il 23 e il 26 maggio prossimi, ha rafforzato le parole di Tusk: «Si è detto che le elezioni europee di maggio rappresentano un «ostacolo insuperabile» a qualsiasi estensione della permanenza del Regno Unito nell'Unione europea superiore a 2-3 mesi», ha spiegato l'avvocato Sharpston. «Questa è una rappresentazione troppo semplificata e in ultima analisi falsa della situazione».Ma l'Unione europea vuole una richiesta motivata per concedere un'estensione dei tempi. «Prima dobbiamo vedere una richiesta dal Regno Unito, poi sarà nelle mani dei 27 leader che decideranno», ha spiegato infattiMargaritis Schinas,il portavoce della Commissione europea. Su questo punta il primo ministro May, pronto a chiedere un terzo voto entro il marzo 20 marzo sul suo accordo. In questo caso, infatti, basterebbe un miniproroga fino al 30 giugno. In caso contrario, servirebbe un'estensione molto più lunga con la probabile partecipazione del Regno Unito alle elezioni europee di fine maggio. Per il premier, quindi, sembra scontato un rinvio della Brexit oltre il 29 marzo. Ora vuole convincere l'ala più euroscettica del suo partito, quella che sembra si è opposta al suo piano, mettendola davanti a una considerazione: se non appoggiate la mia proposta il rinvio sarà lungo e i destini del Regno Unito continueranno a essere nelle mani dell'Unione europea. Tuttavia, nel frammentatissimo governo May ci sono alcuni ministri che remano contro il premier facendo notare come la Brexit possa avvenire in pochi mesi anche se l'estensione dei negoziati concessa da Bruxelles risultasse più lunga. Tra i quattro emendamenti ammessi ieri al voto dallo speakerJohn Bercow (ma bocciati dalla Camera dei Comuni) anche quello proposto dal laburista Hilary Benn, che metteva i negoziati nelle mani del Parlamento e quello di Sarah Wollaston, ex deputata del Partito conservatore, da poche settimane membro del centrista ed europeista The independent group. Wollaston chiedeva di impegna il governo a richiedere all'Unione europea una proroga della Brexit sufficiente a indire un secondo referendum. L'emendamento non è passato però, visto che non è stato appoggiato nemmeno dai laburisti guidati da Jeremy Corbyn, il leader spesso accusato dai notabili della sinistra britannica di aver tradito lo spirito europeista del partito. Lo speaker Bercow, un conservatore, ha fatto irritare i suoi compagni di partito escludendo un emendamento di segno opposto a quello della centrista Wollaston, che chiedeva di escludere esplicitamente una nuova consultazione su Leave o Remain. Contro questa possibilità si è espresso ieri, definendola «ingiusta»; anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, tornato a parlare di Brexit dopo aver criticato i negoziati di Theresa May durante la sua visita nel Regno Unito a luglio dell'anno scorso. Allora, rivelò poi il premier britannico, il presidente degli Stati Uniti le aveva suggerito di « fare causa all'Unione europea, non fare negoziati». Ieri, invece, Trump ha prima spiegato su Twitter che la sua amministrazione «non vede l'ora di negoziare un accordo commerciale su larga scala con il Regno Unito», il cui «potenziale è illimitato». Poi, parlando dallo Studio ovale in cui era ospite il primo ministro irlandeseLeo Varadkar, si è detto «sorpreso» di come siano andati male i negoziati sulla Brexit. Tutto perché, ha detto Trump, il premier britannico Theresa May non gli «ha dato retta su come negoziare» l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea.
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