2021-02-04
Bonafede e Arcuri pagano 2,5 milioni per 1.600 braccialetti elettronici
Alfonso Bonafede (S.zucchi/Getty Images)
Oltre 1.500 euro l'uno. C'era già un contratto valido ma ne è stato attivato pure un altro.I 1.600 braccialetti elettronici per il controllo a distanza dei detenuti che il commissario straordinario all'emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha acquistato da Fastweb nell'aprile 2020 sono costati 2.510.000 euro. Ognuno di quei dispositivi, insomma, ha un prezzo complessivo di 1.562,50 euro. Non sono pochi, per appena 50 grammi di plastica anallergica, una batteria e un chip che garantisca la geoindividuazione. Il problema, però, non è tanto il costo dell'operazione, che pure va ad aggiungersi ai 200 milioni già spesi dallo Stato italiano nella ventennale, indecorosa vicenda dei braccialetti elettronici. Il problema è che lo Stato con Fastweb aveva già firmato un contratto triennale, con una durata compresa tra il dicembre 2018 e il dicembre 2021. E quel contratto avrebbe dovuto garantire l'attivazione, se richiesta, di 1.000/1.200 braccialetti al mese, riconoscendo in cambio all'azienda «un massimo di spesa fino a 7,7 milioni l'anno, in proporzione al numero di dispositivi attivati e monitorati». Insomma, al 31 dicembre 2020, cioè alla fine dei primi due dei tre anni del contratto con Fastweb, i braccialetti disponibili avrebbero potuto e dovuto essere più di 24.000, e a gentile richiesta avrebbero potuto arrivare addirittura a 28.800. Invece il viceministro grillino dell'Interno Vito Crimi, rispondendo lo scorso 15 gennaio a un'interrogazione presentata alla Camera da Roberto Giachetti, ha riconosciuto ufficialmente che alla fine del 2020 i braccialetti di cui i magistrati fino a quella data hanno richiesto l'attivazione sono stati meno della metà: 10.155 in tutto. Crimi ha poi aggiunto che 5.940 erano stati poi disattivati, e quindi quelli funzionanti sono appena 4.215.Ma come s'è arrivati alla necessità di un ulteriore acquisto d'urgenza da parte di Arcuri? Quando nella primavera del 2020 era esplosa la pandemia di Covid, e s'era cominciato a temere che il contagio potesse estendersi alle carceri, il ministro grillino della Giustizia Alfonso Bonafede ha stabilito per decreto che un certo numero di detenuti potesse essere trasferito da una cella alla reclusione domiciliare utilizzando i braccialetti elettronici. Qualcuno allora aveva forse pensato di chiedere a Fastweb di accelerare la produzione dei dispositivi? La risposta, a quanto pare, è no. È stato così che il 10 aprile 2020 Arcuri, in quanto commissario straordinario all'emergenza Covid, s'è mosso su richiesta e per conto del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, cioè il braccio operativo del ministero della Giustizia di Bonafede nella gestione dei penitenziari, e ha affidato direttamente a Fastweb la fornitura urgente di altri 1.600 braccialetti. Al costo aggiuntivo di 1.400.000 euro per i dispositivi, più 431.000 euro per la loro manutenzione, più altri 669.000 euro per non meglio identificati «servizi di outsourcing». Insomma, pare di capire che, per ottenere questi benedetti 1.600 dispositivi in più, il governo uscente stia pagando due volte. Ed è più che evidente, insomma, che anche in questo ultimo capitolo della lunga e vergognosa storia dei braccialetti elettronici per controllare i detenuti qualcosa non abbia funzionato, probabilmente già a partire dall'ultimo contratto di fornitura, molto mal congegnato. Che cosa dirà la Corte dei conti, che già nel 2012 rimproverava una «spesa elevatissima, a fronte dei veramente pochi dispositivi utilizzati» a tutti i governi che a partire dal 2001 hanno avviato la sperimentazione sui braccialetti? Nel 2012, peraltro, quella «spesa elevatissima» si fermava a 106 milioni di euro: meno della metà del valore cui è arrivata otto anni dopo. E già allora c'era chi sosteneva che, se il ministero dell'Interno si fosse rivolto alle gioiellerie Bulgari, avrebbe speso molto meno. Oggi altro che Bulgari… Ci sarà, alla fine, un magistrato che apre un'inchiestina?