2019-01-01
Bolsonaro e Trump si scambiano carezze commerciali in chiave anti Cina
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Prove di intesa tra Stati Uniti e Brasile. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, è pronto ad approfittare del suo imminente viaggio in America Latina per cercare di avviare un'alleanza commerciale con il nuovo presidente brasiliano che si insedierà formalmente il primo gennaio. Un'alleanza commerciale che mirerebbe soprattutto ad arginare la crescente influenza cinese nella regione. Tra le società nel mirino, compare la China Molybdenum, che nel 2016 ha acquistato una miniera di niobio da 1,7 miliardi di dollari.Lo speciale contiene due articoli Esattamente come Donald Trump, anche Bolsonaro – nel corso della campagna elettorale – ha più volte criticato duramente le pratiche commerciali messe in atto da Pechino. E – sempre come l'attuale inquilino della Casa Bianca – ha assicurato di voler prendere provvedimenti contro la Repubblica Popolare. «La Cina non vuole comprare in Brasile, vuole comprarsi il Brasile», ha non a caso tuonato più di una volta. Nella fattispecie, il neo presidente ha sovente accusato il Dragone di volersi appropriare delle industrie strategiche brasiliane, accrescendo così indebitamente la propria influenza economica e politica nel Paese. In questo senso, è chiaro che l'idea di Pompeo sarebbe quella di puntare su questi tratti comuni, per cercare di legare a doppio filo Bolsonaro all'amministrazione Trump, nella sua crociata commerciale contro la Repubblica Popolare. Sul fronte statunitense, questa linea ha del resto un senso ben preciso. Come è noto, l'attuale inquilino della Casa Bianca ha una base elettorale – la classe operaia impoverita della Rust Belt – che da anni vede Pechino come il proverbiale fumo negli occhi. Ed è soprattutto per dare una risposta concreta a questa quota elettorale che Trump ha avviato, dal luglio scorso, una escalation commerciale contro la Repubblica Popolare, alternando l'imposizione di dazi a periodi di relativa distensione. Più difficile è invece capire dove voglia effettivamente arrivare Bolsonaro. La Cina rappresenta infatti il primo partner commerciale del Brasile, ricevendo circa il 21,8% delle sue esportazioni (per un giro d'affari complessivo di 47,5 miliardi di dollari), mentre gli Stati Uniti si collocano al secondo posto con il 12,4%. Inoltre, non bisogna trascurare che la Cina sia al tredicesimo posto tra gli investitori stranieri sovrani in Brasile e che risulti particolarmente attiva nel settore infrastrutturale, in quello minerario e in quello energetico (soprattutto per quanto concerne gas, petrolio ed elettricità): si pensi che, dal 2003 a oggi, Pechino ha investito in Brasile circa 124 miliardi di dollari. Senza infine dimenticare che uno scontro con la Cina potrebbe avere ripercussioni negative sull'agricoltura brasiliana: in particolare, sull'export della soia (cresciuto del 22% negli ultimi dodici mesi). In questo senso, avviare una guerra commerciale con il Dragone potrebbe rivelarsi controproducente per Brasilia che rischierebbe grosso, soprattutto a causa del suo gigantesco deficit. Se dunque Bolsonaro decidesse di mantenere la linea dura anti-cinese, è possibile che la sua idea sia quella di sostituire nel medio termine Pechino con Washington. Una strategia non certo facile da attuare. Da una parte, è evidente che Trump non potrebbe che apprezzare una sponda in Sud America per perseguire la sua politica commerciale anti-cinese. E, d'altronde, che la Casa Bianca nutra un certo interesse per il neo presidente brasiliano è testimoniato anche dal fatto che, lo scorso novembre, il National security advisor, John Bolton, ha avuto un incontro con lo stesso Bolsonaro: un incontro che ha messo al centro proprio tematiche di natura commerciale e che Bolton ha non a caso definito "molto produttivo". Senza poi trascurare che, attraverso il nuovo presidente brasiliano, Trump potrebbe cercare di avviare una nuova politica in America Latina: un'area che, almeno fino ad oggi, non è mai stata tra le priorità dell'amministrazione statunitense, se non per aspetti polemici e negativi (a partire dall'immigrazione clandestina proveniente da Messico e Honduras). Dall'altra parte, è tuttavia altrettanto evidente che un significativo incremento dei rapporti economici tra Brasilia e Washington è molto difficile da realizzare: non dimentichiamo infatti che, dopo le ultime elezioni di metà mandato, il Congresso statunitense si è ritrovato spaccato in due, con la Camera dei Rappresentanti controllata dal Partito democratico. Quel Partito democratico che non ha mai mostrato di apprezzare troppo Bolsonaro e che, proprio per questo, bloccherebbe probabilmente ogni iniziativa parlamentare volta a incrementare le relazioni economiche con il Brasile. Il nuovo presidente si trova quindi costretto a percorrere una via stretta. Ma forse neanche del tutto impraticabile. Nonostante le difficoltà, dispone infatti di qualche carta da giocare. Come ha ravvisato recentemente Reuters, la Cina non può infatti al momento permettersi di restare coinvolta in un'altra guerra commerciale costosa come quella che sta portando avanti con Washington. Un elemento che potrebbe aiutare Bolsonaro ad assumere un atteggiamento pragmaticamente ambivalente, oscillando tra Pechino e la Casa Bianca. Del resto, è evidente che la Repubblica Popolare non sia intenzionata ad uno scontro diretto. Preoccupati dalla retorica della campagna elettorale, lo scorso settembre alcuni diplomatici cinesi hanno incontrato il consigliere economico del neo presidente, Paulo Guedes, per cercare di migliorare i rapporti. Insomma, sia la Cina che gli Stati Uniti guardano con estremo interesse al Brasile. Bolsonaro sarà abbastanza abile per approfittarne? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/bolsonaro-e-trump-si-scambiano-carezze-commerciali-anti-cina-2624803119.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="multiutility-e-niobio-sono-gli-asset-su-cui-ildragone-ha-messo-gli-occhi" data-post-id="2624803119" data-published-at="1762530621" data-use-pagination="False"> Multiutility e niobio sono gli asset su cui ilDragone ha messo gli occhi Giphy Nel corso della campagna elettorale, Jair Bolsonaro ha ripetutamente accusato la Cina di mettere indebitamente le mani sulle aziende strategiche brasiliane. Tra le società nel mirino, compare la China Molybdenum, che nel 2016 ha acquistato una miniera di niobio da 1,7 miliardi di dollari. Il niobio è un metallo usato come additivo per rendere l'acciaio più forte e leggero. In particolare, è utilizzato nella realizzazione di auto, edifici, motori a reazione. Il Brasile controlla circa l'85% delle sue riserve a livello mondiale e Bolsonaro vuole evitare un'espansione della Repubblica Popolare in questo settore. Ma non è tutto: il neo presidente sembra deciso a bloccare la privatizzazione di alcuni asset di utilità nazionale della Eletrobras (la principale società elettrica brasiliana) proprio per paura che la Cina possa aggiudicarsi la gara. In tutto questo, nei mesi scorsi, Bolsonaro ha rinsaldato i propri legami politici con Taiwan: una mossa che molti osservatori hanno interpretato come uno sgarbo diplomatico a Pechino e che ha suscitato le dure reazioni della stessa ambasciata cinese in Brasile.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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