2019-09-05
Boccia-Catalfo, in due per demolire il Nord
Il nuovo ministro delle Autonomie è un nemico giurato delle richieste dei governatori settentrionali, un «tentativo di smontare il Paese». E la titolare del Lavoro vuole il salario minimo di 9 euro l'ora: per le imprese sarebbe una stangata da 15 miliardi di euro.Francesco Boccia ministro per le autonomie sarà come l'uragano Dorian sulla Florida: distrugge tutto quello che trova. O come John Dillinger per il direttore dell'Fbi J. Edgar Hoover: il nemico pubblico numero 1. Se M5s e Pd volevano demolire le residue speranze del Nord di ottenere l'autonomia differenziata, hanno pescato l'uomo giusto. Il parlamentare Pd marito di Nunzia De Girolamo è uno dei nemici più agguerriti delle richieste di Veneto, Lombardia, Emilia. Negli ultimi anni si è assegnato la missione di alzare lo sbarramento contro le autonomie regionali e tutto ciò che sa di aiuto al Nord. Milioni di italiani si sono espressi nei referendum, i governatori delle regioni più produttive chiedono maggiori poteri per non perdere il ritmo di crescita economica degli altri distretti industriali europei, ma Boccia è lì, irremovibile, a negare diritti e smentire numeri.Da Bologna in su sarà meglio prepararsi a una lunga guerra di trincea. Per Boccia «Lombardia e Veneto tentano di smontare il Paese». La maggiore autonomia territoriale è «lo scempio finale», l'emblema di «un Paese basato sul portafogli», con ricchi da una parte e poveri dall'altra. Il neoministro considera la riforma costituzionale del 2001, quella fatta dal centrosinistra per inserire alcune forme di federalismo e di sussidiarietà, figlia di un errore clamoroso: «Inseguire la Lega secessionista di Bossi sul terreno della devolution». Attilio Fontana e Luca Zaia (ma dovrebbe aggiungere anche il suo compagno di partito Stefano Bonaccini) sono «presidenti di regione che pensano di essere a capo di un piccolo Stato».Se nel Conte primo l'avanguardia sudista era nelle mani di Barbara Lezzi, nel Conte secondo si è creato un autentico pacchetto di mischia attrezzato per ignorare la questione settentrionale. Nel Nord nessuno si sognava di dover rimpiangere le lezioncine di economia della ministra leccese, le sue litigate televisive che coprivano il vuoto di idee, e soprattutto gli ostacoli che la Lezzi ha seminato sul percorso dell'autonomia regionale.Il timore è che al peggio non ci sia fine. Boccia di autonomia non vuole nemmeno sentire parlare. Per lui il problema è un altro: il Nord che affama il Sud, che drena risorse, che sfrutta i meridionali. Se nel Mezzogiorno non esistono treni veloci e i malati fuggono a Milano e dintorni è colpa del Nord. I referendum votati da milioni di persone sono «tentativi di ignorare la Costituzione da rispedire al mittente», cioè sempre a Nord. La ricetta di Boccia è spostare nel Meridione «60 miliardi per opere, infrastrutture, investimenti, e dopo si potrà parlare dell'autonomia differenziata». Nella crociata sudista, Boccia avrà una spalla adeguata in un'altra Nunzia, che non è sua moglie ma il nuovo ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, catanese, che Luigi Di Maio ha piazzato nel suo vecchio ministero per piantonare il reddito di cittadinanza e fare avanzare il salario minimo. La piattaforma Rousseau ne elenca le benemerenze. Titolo di studio: maturità scientifica. Attività parlamentare: prima firmataria del disegno di legge sul reddito, sul salario e sull'equo indennizzo. Professione: orientatore, selezionatore del personale, tutor. Studi di fattibilità di progetti, protocolli d'intesa, organizzazione di seminari, tirocini per studenti (progetto Eolie sostenibili), implementazione di piattaforme di elearning. Committente: Regione Sicilia. Un'occhiata retrospettiva sul suo profilo Twitter spalanca sorprese: invitava a correre ai gazebo per firmare la proposta di Beppe Grillo di uscire dall'euro e sparava ad alzo zero contro gli 80 euro di «RenziLauro», oggi suo socio di maggioranza.Insomma, la neoministra dell'assistenzialismo pubblico promette bene: limiti alla libertà d'impresa e altolà ai «furbetti delle grandi opere», dalla Tav alle perforazioni petrolifere in Basilicata contro le quali è stata tra le fan più sfegatate di un referendum abrogativo finito nel nulla. La proposta di legge sul salario minimo prevede che il datore di lavoro non possa scendere sotto i 9 euro lordi all'ora, indipendentemente dal settore produttivo in cui opera e soprattutto nonostante un'economia che continua a ristagnare. Una proposta bocciata dall'Ocse e insostenibile per migliaia di piccole imprese, commercianti e artigiani, per i quali Confesercenti ha calcolato una stangata da 15 miliardi di euro. Sono critici perfino i sindacati, che invece difendono i contratti collettivi non soltanto perché li hanno firmati anche loro, ma soprattutto perché temono che molte imprese possano uscire dagli accordi nazionali per limitarsi ad applicare il più conveniente salario minimo targato Catalfo. L'ex sottosegretario leghista Claudio Durigon era riuscito ad arginare la proposta di legge grillina, limitandolo alle aree d'impiego non coperte da un contratto di categoria, come i fattorini e i «rider». Ma il neo ministro non era contenta: dopo il reddito di cittadinanza e il salario minimo, infischiandosene della già scarsa competitività della nostra economia, vorrebbe reintrodurre anche la scala mobile seppellita 35 anni fa dal governo Craxi. Un referendum tentò invano di ripristinarla. In compenso, Nunzia Catalfo un taglio di tasse l'ha già proposto: è quello all'Iva sui profilattici, che dovrebbe scendere dal 22 al 10%. Il preservativo di cittadinanza.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 21 ottobre con Carlo Cambi