2025-06-29
Il bluff di Sánchez: fa l’irriducibile solo per tenersi stretta la poltrona
Con la sua maggioranza appesa al voto degli estremisti, il premier spagnolo è costretto ad alzare la voce di continuo. Anche a costo di riportare l’Ue sulla strada del green più talebano e dell’odio per Israele.Vuol far credere alla sinistra e al Pse di essere Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento della reazione razzista, fascista, sicuramente sovranista; peccato che sia solo un (Pedro) Sánchez Panza. Magari a panza piena viste le accuse di corruzione che lo inseguono dal golfo di Guascogna a Malaga, ma sempre e solo un gregario che sta portando la Spagna a essere il più grave elemento d’instabilità in un’Europa che, già per conto suo, sta in equilibrio precario. A dargli una mano in questo compito c’è Teresa Ribera, già suo ministro dell’Ambiente, socialistissima che da vicepresidente della Commissione con delega al Green deal vuol far rimpiangere Frans Timmermans, il fu sommo sacerdote dell’ideologia verde. La Ribera è il braccio armato di Sánchez e del Pse per mettere in difficoltà Ursula von der Leyen che sta rinculando, costretta dall’evidenza dei fatti, sul Green deal. L’ultimo scontro due giorni fa, quando il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto di sospendere i limiti di emissione fissati al 90% nel 2024, convinto dal disastro dell’industria dell’auto, e di valutare il rinvio dello stop ai motori endotermici posto al 2035 considerando anche la «neutralità tecnologica». Significa non andare solo verso l’elettrico, magari sdoganando anche i biocarburanti, una delle priorità italiane. La Ribera lo ha quasi insultato e ha detto: «Il 2 luglio emetto il regolamento: prendere o lasciare». Nei corridoi di Palazzo Berlaymont si racconta che sempre Teresa Ribera aveva attaccato tanto Ursula von der Leyen quanto Raffaele Fitto, pure lui vicepresidente della Commissione, perché la presidente ha deciso di ritirare il regolamento Green claims (vieta, tra l’altro, di etichettare come verdi le zucchine). Il Green deal è il ring su cui i socialisti, che stanno nella maggioranza Ursula, ma sono oggi in secondo piano orfani dei Verdi con una singolare simmetria tra Bruxelles e Berlino, tentano di mettere al tappeto la Commissione. La portavoce del Pse Iratxe Garcia Pérez, socialista basca che per Sánchez Panza fa Ronzinante, è stata dura: «Non possiamo continuare con questa strategia del Ppe che negozia politiche con l’estrema destra e ci chiede di essere responsabili». A darle manforte c’è la segretaria del Pd Elly Schlein che, quasi fosse una scenata di gelosia verso Ursula, una volta la sua preferita, ha tuonato: «I nostri voti non sono garantiti. Il nostro gruppo in questo momento è fortemente critico nei confronti di questa Commissione». Alla Schlein fa venire l’orticaria il rapporto che si è istaurato tra von der Leyen e Giorgia Meloni. Lo ha notato Carlo Fidanza, capo delegazione di Fdi all’Eurocamera: «I cittadini europei hanno votato premiando le forze scettiche nei confronti del Green deal e punendo chi l’aveva promosso: socialisti e Verdi. La sinistra se ne faccia una ragione e ogni tanto si rassegni a sostenere qualche provvedimento di buon senso». Ma la trimurti iberica - Sánchez, Ribera, Pérez - insiste e cerca in ogni modo di condizionare le scelte dell’Ue. Pedro Sánchez lo fa a sprezzo del pericolo e talvolta del ridicolo. Ha provato a forzare il vertice Nato dicendo: la Spagna il 5% del Pil per gli armamenti non lo verserà. La ragione non è umanitaria, ma solo politica: l’estrema sinistra che lo puntella alla Monclea (è il Palazzo Chigi iberico) di riarmo non ne vuole sapere e Sánchez prova a fare la voce grossa con Donald Trump. Poi però il 25 giugno ha dovuto firmare come tutti l’impegno sul 5% - anche se è molto dilazionato - beccandosi anche la minaccia di Trump di raddoppiare i dazi alla Spagna. Il punto più basso Pedro Sánchez lo ha toccato con Israele. Ha spaccato il Consiglio europeo accusando i 27 di non prendere posizione contro Tel Aviv e di avere un doppio standard verso Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu perché alla Russia vengono imposte sanzioni e a Israele no e lui invece le chiede con forza. L’inquilino della Moncloa - il primo a riconoscere la Palestina - vuole azzerare il commercio con Tel Aviv, vuole cacciare Israele dall’Eurovision. Sostiene che Netanyahu ha invaso l’Iran e compie «il genocidio a Gaza» per salvarsi dai processi e tenersi la poltrona di premier. Accusa singolare da chi è inseguito da inchieste di corruzione che riguardano sua moglie, Begona Gómez, il suo partito e in particolare il segretario organizzativo Santos Cerdán, l’ex ministro José Luis Ábalos per un vorticoso giro di mazzette. L’opposizione ha chiesto le sue dimissioni, perfino i vescovi vogliono le elezioni anticipate, gli spagnoli del Ppe dicono che «deve rispondere anche in sede europea della corruzione dilagante che riguarda il Psoe». Lui per restare alla Moncloa è ostaggio dell’estrema sinistra; si è fatto approvare anche l’amnistia per i separatisti catalani che lo sostengono e picchia duro sull’Ue, Israele e fa il super pro Pal. A occhio fa la «guerra» politica per tenersi il posto, ma parla male di Netanyahu. Pedro Sánchez s’ispira a due oscurantisti monarchi spagnoli: Isabella la cattolica di Castiglia e Ferdinando d’Aragona che con il decreto dell’Alhambra cacciarono i sefarditi non marrani, quelli non convertiti a forza. L’antisemitismo spagnolo che Pedro Sánchez alimenta col più duro nazionalismo (e poi si dice della destra) ha radici antiche. Era il 1492; avevano appena scoperto l’America con Cristoforo Colombo e dalla Spagna fuggirono 120.000 ebrei. Anche ora c’è di mezzo l’America e un socialista spagnolo che per proprio tornaconto politico rischia «cacciando» gli ebrei di travolgere l’Europa.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 15 ottobre 2025. Ospite Daniele Ruvinetti. L'argomento di oggi è: "Tutti i dettagli inediti dell'accordo di pace a Gaza".