2023-11-03
Blinken vuole evitare l’escalation
Il segretario di Stato americano Antony Blinken (Ansa)
Secondo tour in Medio Oriente in due settimane per il segretario di Stato americano. Allo studio un «piano Beirut»: immunità per i capi di Hamas in cambio dell’esilio.Gli Stati Uniti non vogliono che la guerra si allarghi. «Sono determinati a scoraggiare qualsiasi escalation», ha detto per l’esattezza Antony Blinken, partito ieri per Tel Aviv, insieme al nuovo ambasciatore in Israele, Jack Lew. È il secondo viaggio in Medio Oriente nel giro di poco più di due settimane per il ministro americano, che era stato già ricevuto da Benjamin Netanyahu. In quell’occasione, il premier gli aveva mostrato le foto dei bimbi trucidati dai jihadisti. Il tour di Blinken durerà una settimana e prevede diverse tappe: dopo Israele, la Giordania, la Turchia, il Giappone, la Corea del Sud, l’India. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha spiegato che il Segretario «ribadirà il sostegno al diritto» di Gerusalemme «di difendersi dal terrorismo», purché «in conformità con il diritto internazionale umanitario». Inoltre, Blinken «discuterà gli sforzi per salvaguardare i cittadini statunitensi in Israele, Cisgiordania e Gaza; lavorerà per garantire l’immediato rilascio degli ostaggi, aumentare il ritmo e il volume degli aiuti umanitari che entrano a Gaza» e, naturalmente, «per prevenire l’espansione del conflitto». Uno scenario non implausibile: vanno avanti le schermaglie con il Libano; oggi è atteso il discorso, potenzialmente dirompente, del numero uno di Hezbollah; e il capo dell’esercito ebraico, Herzi Halevi, ha fatto sapere che le forze armate sono pronte «ad attaccare su altri fronti».Washington considera urgente altresì definire una strategia d’uscita dalla crisi a Gaza. Si starebbero prendendo in considerazione tre ipotesi. La prima: gli Stati della regione controllerebbero la Striscia, coadiuvati da truppe americane, britanniche, tedesche, francesi, saudite ed emiratine. La seconda: si installerebbe un contingente di peacekeeping, alle condizioni dettate dal trattato del 1979 tra Egitto e Israele. La terza: verrebbe nominato un governo provvisorio sotto la guida dell’Onu.Tuttavia, serpeggiano dubbi sulla regia a stelle e strisce. Ieri, su Associated Press, è comparsa un’analisi che rimproverava proprio a Blinken la malriposta fiducia nell’Autorità palestinese, il cui consenso si è eroso. Quel che è certo è che la Casa Bianca intende frenare la reazione israeliana. John Kirby, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, giudica visibili gli sforzi di Gerusalemme per limitare le perdite civili. Dal canto suo, Joe Biden ha invocato di nuovo «una pausa» nelle ostilità, «per avere il tempo di far uscire i prigionieri». Sono pressioni che Netanyahu non può ignorare.E così Ynet, influente testata del Paese mediorientale, ha evocato il «modello Beirut». Si tratterebbe di negoziare una sorta di immunità per i leader militari di Hamas, che verrebbero spediti all’estero, in cambio del rilascio dei prigionieri e della capitolazione a Gaza. Il precedente è quello della prima guerra libanese: nel settembre 1982, dopo la campagna contro il Paese dei cedri, Israele accettò che i vertici dell’Olp, Yasser Arafat anzitutto, si trasferissero in Tunisia. Del compromesso si sarebbe discusso «alla presenza del primo ministro», che avrebbe «mostrato grande interesse». Intanto, al netto dell’esibizione muscolare, Israele starebbe studiando un’operazione a minore intensità e di lungo periodo: raid, eliminazioni mirate, colpi sferrati da una zona di sicurezza, minamento del confine con la Striscia. Lo scopo sarebbe privare gli islamisti della capacità di colpire il territorio dello Stato ebraico.Intanto, proseguono i contatti di Blinken con i sauditi: col ministro della Difesa dell’Arabia, Khalid bin Salman, il Segretario di Stato Usa ha parlato della «priorità condivisa» con Riad, quella di «lavorare per una pace sostenibile», «rafforzando la stabilità e la sicurezza regionale, anche nello Yemen». L’America ha ribadito, inoltre, che è tuttora in corso il dialogo con il Qatar per favorire la liberazione degli ostaggi di Hamas. Ieri, poi, il Papa ha sentito al telefono Abu Mazen.Vuole rimanere protagonista pure Ankara, la quale invoca un cessate il fuoco e prova a tenere aperti più canali. Ieri, a Berlino, il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, ha incontrato l’omologa tedesca, Annalena Baerbock. Il politico turco, dopodomani, riceverà proprio Blinken. Ma dal faccia a faccia con il collega di Teheran, Hossein Amir Abdollahian, sono venute fuori di nuovo le accuse nei confronti di Israele - colpevole di «un massacro» di civili -verso Washington e verso l’Europa, che si starebbero opponendo a una tregua. L’esercito di Recep Erdogan ha annunciato di essere disposto a partecipare alla distribuzione degli aiuti a Gaza e a un’eventuale evacuazione dell’area.Le parti in commedia sono chiare. Però, dietro le quinte, la diplomazia si muove. Gli 007 Usa, ad esempio, ritengono che gli ayatollah preferiscano evitare lo scontro totale con Israele. Il timore è che non siano perfettamente in grado di gestire i loro alleati, su tutti Hezbollah, benché, stando a Kirby, non ci siano indicazioni che le miliezie vogliano entrare in guerra. Gli Usa, comunque, non sono in grado di stabilire se Teheran accetterà di scagliare un’offensiva, in caso di imminente sconfitta dei tagliagole. La polveriera mediorientale rischia in ogni istante di esplodere.
L'area danneggiata in seguito a un attacco aereo condotto dal Pakistan in Afghanistan (Getty Images)
Dopo settimane di tensioni, gli scontri lungo il confine tra esercito pachistano e Talebani hanno causato decine di vittime. Cessate il fuoco fragile e una partita geopolitica che coinvolge Cina, India e Stati Uniti.
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputata della Lega Anna Maria Cisint, dopo la votazione alla commissione sulla pesca a Bruxelles, riguardo la vittoria sulla deroga delle dimensioni delle vongole, importante aspetto per l'impatto sul settore ittico.