2023-05-22
«Quando incontrate una donna incinta dovete applaudirla»
Gian Carlo Blangiardo (Imagoeconomica)
Il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo : «Chi partorisce investe sul nostro futuro. Se non faremo figli non potremo più essere un grande Paese».Molto rumore per l’orsa Jj4 e i suoi cuccioli, ma in letargo sembrano esserci e ormai da troppo tempo le culle italiane: non ci sono bambini. Nel 2022 si è toccato il record negativo di natalità, meno di 393.000 neonati, e anche la fertilità delle ragazze immigrate appare in calo. Affrontando il tema della denatalità sono sorte polemiche: difendere l’etnia italiana pare sia un delitto di leso politically correct o peggio ancora pare un pensiero ispirato a nostalgie del ventennio. Per capire serve il parere del massimo esperto: il professor Gian Carlo Blangiardo demografo per scienza e passione, l’uomo che attraverso l’Istat è in grado di disegnare con i numeri il profilo dell’Italia. Dice subito: «Bisognerebbe che quando si vede una donna in dolce attesa la si applaudisse, dobbiamo dire bravi ai genitori che fanno figli, dobbiamo manifestare loro la nostra gratitudine. Non solo o non tanto perché i bambini sono tutti belli, ma perché loro stanno investendo con i loro figli sul nostro futuro». Professor Blangiardo gli italiani rischiano di scomparire?«Siamo onesti: i termini non sono questi. Non rischiamo di scomparire, però vediamo fortemente compromessa la possibilità di continuare a essere un grande Paese. Non basta avere un’estensione di superficie immensa per diventare un grande Paese: contano i numeri della popolazione. E l’Italia, che pure occupa una porzione limitata del mondo, storicamente è sempre stata una grande nazione, ma se arriviamo come ci dicono le proiezioni a poco meno di 48 milioni di abitanti da qui al 2070 la dimensione del nostro Paese si riduce drasticamente. Anche economicamente. Oggi siamo circa 59 milioni, se spariscono 11 milioni di italiani il contraccolpo sarà severo. La Svezia ha un territorio enorme, ma con meno di 10 milioni non è mai stata considerata un grande Paese».Vediamo in meno di mezzo secolo cancellata la Lombardia e le Marche?«Più o meno stiamo ragionando di quella grandezza. Con conseguenze che non sono soltanto nel numero di abitanti, ma l’impossibilità d’ invertire la tendenza».Perderemo la capacità di fare figli?«Non ci bada quasi nessuno, ma è una conseguenza ovvia. Abbiamo all’incirca 12 milioni di donne in età fertile, se si scende sotto gli 8 milioni è evidente che manca la base per generare nuovi italiani».È una tendenza recente?«No, si è affacciata almeno da una quarantina d’anni. Dal 1977 siamo scesi sotto la soglia di ricambio generazionale, i famosi 2 figli per coppia, e piano piano questo indice si è andato deteriorando. Oggi siamo a 1,24 anche se il desiderio è molto più alto e aspettative di maternità ci sono. Se interroghiamo gli italiani si vede che vorrebbero sicuramente più di due figli. Poi si sta al di sotto, troppo al di sotto, perché ci si inizia a scontrare con le difficoltà, perché spesso subentra quel fenomeno che potremmo chiamare di maternità differita e il desiderio della genitorialità viene frustrato». Professor Blangiardo non c’è una relazione tra benessere acquisito e diminuzione delle nascite? Noi stiamo dicendo che in Italia non si fanno figli per le difficoltà, ma ci sono Paesi molto più poveri che fanno molti figli…«Sul fatto che i Paesi in via di sviluppo facciano ancora molti figli non dobbiamo costruire una certezza assoluta: quello è un dato in transizione. Oggi siamo a cinque ma tendono a tre. Per esempio la Cina va verso una drastica diminuzione di popolazione. Oggi sono 1,4 miliardi - sorpassati dall’India che è in pieno sviluppo - ma si prevede che nel 2100 saranno meno di 700 milioni e avranno seri problemi di forza lavoro oltreché d’invecchiamento. Loro hanno sbagliato tutto: con la politica del figlio unico e ora faticano a recuperare. Incide più questo errore culturale che non il fatto che i cinesi stanno meglio. Se ci fosse una relazione tra benessere e diminuzione delle nascite non si capirebbe perché in Francia si continuano a fare figli. Non c’è una relazione tra livello di benessere e di ricchezza e fertilità. C’è invece una relazione tra lavoro e nascite, tra assistenza e nascite. Noi per esempio ora con l’assegno unico abbiamo cominciato a copiare il modello francese, ma siamo ancora lontani. E per contro cito la provincia di Bolzano che non ha avuto una caduta di fecondità dove si vive bene, ma soprattutto viene conciliato meglio il lavoro con la maternità».Dunque è vero che se le donne lavorano fanno più figli?«Se le donne lavorassero di più, ci fossero più donne occupate, questo non impedirebbe assolutamente di fare figli. Servono gli asili nido, serve più assistenza, serve il tempo per far crescere e accudire i figli. Ci sono Paesi che hanno tassi di occupazione femminile e di fecondità assai più alti del nostro. E poi c’è un fattore che non costa nulla, ma che è fondamentale. Lo dicevo in premessa: dare gratificazione a chi fa la scelta di avere figli. Bisogna esser loro grati e far loro sentire questa gratitudine perché si caricano sulle spalle un compito che va a beneficio di tutta la società. Poi certo pensando agli asili nido dobbiamo investire nel capitale umano per i servizi alla maternità». È la sua affermazione che da qui al 2070 perderemo oltre 500 miliardi di Pil?«È un ragionamento statistico. Se oggi abbiamo un Pil di 1.909 miliardi e siamo circa 59 milioni, al diminuire della popolazione scende il Pil. Mi spiego con un esempio. È evidente che i residenti del principato di Monaco sono individualmente molto ricchi, ma tra il Pil di Monaco e quello italiano non c’è confronto. Il Pil è il risultato di tante attività e per determinarne la dimensione e la crescita si deve tenere conto del numero di abitanti, della percentuale di quelli che lavorano, la percentuale di quelli che sono produttivi, la produttività: mettendo insieme tutto questo si arriva ai nostri 1.909 miliardi. Ma è chiaro che se si riduce la base di chi produce si riduce anche il Pil. E va considerato anche un altro fattore: viviamo in un mondo che invecchia. Nel 2070 avremo 2,2 milioni di ultranovantenni. Ci vorranno tante risorse per la sanità per assicurare una buona vita a queste persone e avremo bisogno di qualcuno che produce la ricchezza. Se la popolazione diminuisce diminuiscono gli attivi: ecco da cosa nasce la decurtazione del Pil e per un Paese che si confronta con un debito come il nostro il letargo demografico e pericolosissimo, rischiamo di raddoppiare la povertà».Professore però sembra che il non fare figli sia stato un atteggiamento difensivo delle famiglie che hanno visto erodere il potere di acquisto…«Non c’è dubbio che ci sia stato questo effetto soprattutto negli ultimi anni. Le coppie si sono difese di fronte all’insorgere di difficoltà che prima non erano presenti. L’atteggiamento è stato di spostare più in là l’arrivo dei figli, questa dilazione è diventata rinunzia. E qui diventano decisive le politiche per la famiglia.»Lei ha detto che l’idea di Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia, di non far pagare le tasse a chi ha più di due figli è ottima. Serve davvero?«Sì e per due ragioni: la prima è che si aiutano concretamente le famiglie e abbiamo visto che un sostegno è necessario. Ma ce n’è una seconda che è ancora più importante: è il valore etico di una misura come questa. Mi spiego con un esempio. Prendiamo due coppie: una che non fa figli e una che ha due figli. Quella che non fa figli con la fiscalità attuale si può permettere le vacanze, quella che ha due figli fa fatica ad andare una settimana a Rimini. Ma quando i quattro genitori saranno vecchi chi produrrà la ricchezza necessaria ad assisterli? I due figli della seconda coppia. Mi pare sacrosanto che la collettività dia da subito una mano a questi due benedetti figli. E farlo per via fiscale a me sembra una strada snella e positiva».Quanto ha inciso sapere che si può ricorrere alla fecondazione assistita, che si ha l’illusione di costruirsi una carriera per poi pensare ai figli?«Sicuramente questa speranza d maternità differita può essere percepita in maniera distorta. Tutti sappiamo che esiste l’orologio biologico e sappiamo anche che con l’avanzare dell’età diminuisce la fertilità. Il messaggio per cui dopo i 40 anni si può fare il secondo o addirittura il primo figlio può condizionare le scelte».E l’essere passati da una società contadina dove si facevano tanti figli a una post-industriale?«Questo ha inciso sicuramente molto. I figli nella società contadina erano la pensione: erano braccia che lavoravano in futuro la terra per conto dei genitori. Oggi abbiamo carriere distinte, redditi distinti, livelli di formazione diversi nello stesso nucleo familiare che non pongono più l’esigenza del figlio come futuro. Ma è per questo che bisogna fare un investimento sulla famiglia».A proposito di futuro; vista con i suoi dati l’Italia come sta?«Sono per natura ottimista, ma guardandole attraverso i dati Istat nonostante le lamentele e le criticità le cose non sono così male. Abbiamo superato e meglio di altri il Covid, abbiamo risollevato la testa, il Pil cresce, abbiamo segnali positivi dal mercato del lavoro con tassi di occupazione che hanno valori tra i più alti, l’export funziona e al netto delle criticità che sono le sacche di povertà e l’allarme demografico nel complesso la qualità della vita è buona. Certo è migliorabile. Facendo una diagnosi si può dire che l’Italia ha degli acciacchi, ma di certo non è moribonda».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.