2023-04-27
Sollievo Italia: biocarburanti negli aerei Ue
L'Unione europea trova l’accordo sui rifornimenti sostenibili per l’aviazione civile: non sono ammessi solo gli e-fuel, ma è esteso l’uso di quelli di origine biologica. Piccolo successo, ora la battaglia si sposta sul trasporto leggero e sulle vetture non elettriche.L’allarme in uno studio Bankitalia: siamo avanti sui brevetti ma in ritardo nell’industrializzazione.Lo speciale contiene due articoli.L’Unione europea trova l’accordo sull’ultimo capitolo del pacchetto Fit for 55, quello relativo ai carburanti sostenibili per l’aviazione civile (SAF). Dopo una trattativa notturna, i rappresentanti di Consiglio e Parlamento europeo hanno siglato ieri un’intesa sulla base del testo proposto a suo tempo dalla Commissione. Gli aspetti chiave del compromesso sono: 1) Obbligo per i fornitori di carburanti per aereo di garantire che questi contengano quote di Saf crescenti (dal 2% del 2025 al 70% del 2050); 2) Istituzione di un periodo transitorio che consenta ai fornitori di adeguarsi alla normativa; 3) Obblighi di comunicazione, indicazioni sulle autorità competenti a vigilare e sanzioni.Un testo che piace all’Italia per una serie di motivi. Intanto, è stata stabilita una gradualità per arrivare all’obiettivo finale del 70% di combustibili sostenibili presenti negli aeroporti dell’Unione europea al 2050. Dal 2% al 2025 si passerà al 6% nel 2030, 20% nel 2035, 35% nel 2040, 42% nel 2045 e 70% nel 2050. Inoltre, una quota crescente di questi dovrà essere di origine sintetica (e-fuel), dal 1,2% nel 2030 al 35% nel 2050. Non ci sono obiettivi a livello di singoli Stati, cosa che avrebbe messo in difficoltà il nostro Paese. Durante la trattativa si è creato un fronte parlamentare composto da Renew, Identità e Democrazia, Partito Popolare e Conservatori e Riformisti, più pragmatico ed equilibrato, opposto ai massimalisti Verdi e alle sinistre. Relatore del provvedimento era lo spagnolo José Ramón Bauzá Díaz del gruppo Renew. Per i Verdi era presente l’architetto irlandese Ciarán Cuffe, già noto alle cronache per i suoi exploit sulla direttiva riguardante le case green.Nel nuovo regolamento si ammettono i carburanti sintetici cari alla Germania (gli e-fuel di cui tanto si è parlato a proposito di automobili), ma soprattutto vengono approvati quelli di origine biologica. Si tratta di combustibili prodotti da residui agricoli o forestali, alghe, rifiuti organici e carburanti riciclati prodotti da gas di scarico e rifiuti in plastica (sono escluse le colture alimentari e foraggere). Rispetto alla proposta originaria della Commissione, è stato ampliato lo spettro dei biocarburanti ammessi (ora sono compresi quelli già classificati dalla direttiva sulle energie rinnovabili, Red) e la Commissione si è impegnata per questo a redigere un atto delegato sulle colture intermedie. Inoltre, sono stati aggiunti alla definizione di Saf l’idrogeno e i carburanti sintetici prodotti con energia nucleare, prima esclusi: una battaglia tutta francese, con la Germania contraria ma in posizione negoziale debole. Germania e Verdi escono ammaccati dal negoziato sul testo, che avrebbero voluto assai più restrittivo e con una quota obbligatoria di e-fuel molto più alta (più «ambiziosa»). Sino all’ultimo si sono registrate pressioni sui parlamentari perché accogliessero le proposte della Germania e dei Verdi. Dal trilogo esce invece una neutralità tecnologica sostanziale, più aperta rispetto alla posizione tedesca che con grande insistenza puntava quasi tutto sui carburanti sintetici. Il governo italiano può dirsi soddisfatto del risultato. Una vicenda diversa, questa, da quella un po’ meno esaltante di due giorni fa, allorché in Consiglio l’Italia ha votato sì alla riforma Ets che mette in difficoltà imprese e famiglie, dopo che, pochi giorni prima, in Parlamento le forze di maggioranza avevano votato no. Si ha la sensazione che l’efficacia dell’azione politica italiana sui tavoli di Bruxelles dipenda non poco da quale sia il ministero direttamente interessato. L’apertura ai biocarburanti nel settore dell’aviazione civile non significa automaticamente che questa possa essere replicata in eguale misura anche nel settore dei trasporti leggeri, cioè alle automobili non elettriche dopo il 2035. Tuttavia, si crea un precedente importante che potrebbe facilitare la trattativa sotterranea in corso a Bruxelles per far accettare i biocarburanti anche per le automobili dopo il 2035.Marco Campomenosi, l’europarlamentare italiano relatore ombra del gruppo Identità e Democrazia nel trilogo, appare soddisfatto e afferma di aver partecipato al negoziato «ribadendo la posizione dell’Italia sui temi principali e la necessità di un compromesso che ne tenesse conto. Ora gli obiettivi di riduzione delle emissioni di Co2 sono proporzionati alle reali potenzialità dell’industria, un piccolo passo in avanti contro le eccessive derive ideologiche dell’Ue». Il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha dichiarato: «Siamo sulla strada giusta, finalmente! La delibera sul trasporto aereo spero consenta presto analoga decisione nel settore delle auto». Dal ministero per le infrastrutture e i Trasporti in un commento si afferma che «l’accordo Ue che apre ai biofuel per gli aerei è un piccolo passo in avanti: ora serve più coraggio per prevedere la stessa cosa anche per le auto».L’accordo politico chiuso ieri dovrà essere ora approvato formalmente sia dal Parlamento che dal Consiglio. Per quest’ultimo, la presidenza di turno svedese conta di inserire la questione all’ordine del giorno di uno dei Coreper che si terranno nei prossimi giorni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biocarburanti-aerei-ue-2659918655.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="anche-bankitalia-inizia-a-criticare-la-transizione-spinta-dellauto-green" data-post-id="2659918655" data-published-at="1682589671" data-use-pagination="False"> Anche Bankitalia inizia a criticare la transizione spinta dell’auto green Anche Banca d’Italia comincia a sollevare qualche dubbio sugli effetti della transizione forzata al green nel settore dell’automotive che in Italia è all’avanguardia nei brevetti ma non nell’industrializzazione. In un “paper” firmato da Andrea Orame e da Daniele Pianeselli sono state analizzate le strategie di transizione verso il motore elettrico da parte delle imprese automobilistiche italiane mettendole a confronto con quelle delle altre aziende europee nel periodo compreso tra il 2013 e il 2018, sulla base del numero di brevetti collegati con tecnologie a basso impatto ambientale e l’attività di fusione e acquisizione delle imprese. Ebbene, il lavoro dei ricercatori di via Nazionale dimostra che il comparto italiano dell'auto rischia di rimanere indietro nella transizione verso il motore elettrico, rispetto alle rivali europee, per il minor numero di fusioni e acquisizioni realizzati, non compensato dalla crescita interna di ricerca e sviluppo. Per questo le misure pubbliche di aiuto dovrebbero incentivare le attività di fusione e acquisizione delle aziende e non l’acquisto di auto a bassa emissione da parte dei consumatori, cui si avvantaggerebbero i produttori di altri paesi più avanti in questo comparto. Nel documento si ricorda «lo shock tecnologico del 2015» innescato dallo scandalo Dieselgate della Volkswagen e dall’accordo di Parigi e la successiva reazione delle diverse aziende europee ed italiane. In particolare, l’analisi della Banca d'Italia riconosce come le imprese italiane abbiano fortemente aumentato il numero di brevetti relativi a tecnologie a basso impatto ambientale rispetto alla media europea. «Tuttavia, solo recentemente stanno sviluppando le competenze necessarie per la produzione di motori elettrici, soprattutto attraverso l’attività innovativa interna», spiegano i ricercatori. «Le aziende europee, invece, stanno consolidando un processo già intrapreso in precedenza, intensificando le operazioni di fusioni e acquisizioni. Queste diverse strategie potrebbero determinare un ritardo del settore dell’auto italiano rispetto a quello europeo e avere ripercussioni sulle quote di mercato delle imprese nazionali», si legge. E sulle misure pubbliche i ricercatori sottolineano come i programmi destinati a incentivare l’acquisto di veicoli a bassa emissione probabilmente beneficeranno le aziende che sono più avanti nella transizione verde. Anche per questo, colmare il ritardo per le imprese italiane è necessario se vogliono cogliere i benefici delle politiche nazionali ed europee. Anche i provvedimenti fiscali che incentivano la ricerca potrebbero non essere efficaci visto che lo sviluppo di tecnologia verde può essere complesso e richiedere tempo. La strada di incentivi a fusioni e acquisizioni è quella più rapida ed efficace. «Rispetto ai loro concorrenti europei, le case automobilistiche italiane hanno aumentato significativamente gli sforzi innovativi come reazione allo shock verde, ma non sono stati in grado di accelerare la transizione tecnologica attraverso l’acquisizione di competenze e tecnologie esistenti sul mercato», viene sottolineato nelle conclusioni. Aggiungendo che «questi risultati sollevano dubbi sull’efficacia del settore automobilistico italiano nel gestire il rapido passaggio alle auto a basse emissioni richiesto dalle normative europee». L’analisi si conclude spiegando che, in generale, ad ostacolare una veloce transizione sostenibile possono essere diversi fattori come un numero limitato di imprese high-tech nazionali operanti nei principali settori verdi, la prevalenza di imprese a conduzione familiare (solitamente restie alle operazioni di finanza straordinaria) e, infine, l’accesso limitato ai mercati obbligazionari internazionali.
Jose Mourinho (Getty Images)