2024-05-29
Bini Smaghi tifa Ue per far ingrassare le banche francesi
Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale (Imagoeconomica)
L’italiano è presidente di Société Générale: l’unione dei mercati può favorire le fusioni. Olaf Scholz va da Emmanuel Macron per lanciare Mario Draghi.La moglie Veronica De Romanis era la prima fan dei fondi di Bruxelles: bastava la metà dei 230 miliardi.Lo speciale contiene due articoli.Ci vuole più Europa. Anzi, ci vuole più sovranità europea. La visita in Germania del presidente francese Emmanuel Macron, che ha incontrato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, è l’occasione di rilanciare il progetto europeo con le parole d’ordine che ben conosciamo: competitività, mercato unico (anche dei capitali), unione bancaria, green, digitale, meno burocrazia e più sovranità europea. In un comunicato congiunto pubblicato ieri dal Financial Times, i due leader stendono un vero e proprio programma per la prossima Commissione a base delle ricette di sempre, con una spruzzata di nazionalismo europeo. L’ossimoro è intenzionale: l’uso nel titolo della lettera della parola sovranità, che lo schieramento politico europeista di solito associa al nazionalismo ed al fascismo, non sembra questa volta provocare particolari reazioni negative. Evidentemente, c’è sovranità e sovranità. Quella nazionale è brutta e quella europea è bella, par di capire, se si trascura il fatto che la sovranità nazionale è democratica e quella europea no. Al di là della semantica, la visita di Macron in Germania, che doveva servire a ricucire il rapporto tra i due governi divisi su quasi tutto, è stata soprattutto l’occasione per Macron di fare campagna elettorale all’estero. Nel suo discorso a Dresda, tenuto parzialmente in tedesco al festival europeo della gioventù, Macron, in piena trance europeista, ha proposto di raddoppiare il bilancio dell’Unione, di istituire un «vero» debito comune e di avviare una difesa comune europea. Possiamo immaginare quanto queste proposte piacciano a Scholz (zero), ed infatti nella lettera congiunta al Financial Times tutto questo non c’è. Scopo del discorso di Dresda era soprattutto quello di suscitare nella giovane audience la sensazione di pericolo per l’avanzata della destra politica: «Queste idee si diffondono ovunque. Vengono alimentate dagli estremisti, in particolare dall’estrema destra. E questo vento di autoritarismo tira ovunque in Europa. Per questo motivo dobbiamo svegliarci», ha detto il presidente francese. Il quale in questi giorni ha anche detto che l’Europa ha bisogno di creare campioni paneuropei, spingendo così verso una concentrazione dei vari settori economici, compreso quello bancario.Più che di ricuciture, il rapporto franco-tedesco, che oggi si basa unicamente sulle debolezze dei due paesi, avrebbe bisogno di essere ricondotto ad un ambito meno esaltato. Anche perché il comunicato di ieri è una specie di litania senza nulla di nuovo, con il richiamo ai triti concetti che piacciono tanto a Bruxelles: competitività (sinora ottenuta sulle spalle dei lavoratori, Draghi dixit) e mercato unico (preso a martellate da quattro anni di sospensione del divieto di aiuti di stato).Una sorta di appello a Mario Draghi a scendere in campo, in fondo, per risolvere le questioni che oggi vedono l’Europa in un vicolo cieco. La sensazione è che con la implicita chiamata alle armi di Mario Draghi, che viaggia verso i 77 anni, Macron e Scholz stiano dimostrando soprattutto la propria debolezza, e con loro la debolezza del progetto europeo, che sta crollando sotto il peso delle contraddizioni interne. I due Paesi sono in crisi e i leader non sono in grado di arrestare un declino che appare ineluttabile.Nella loro lettera al quotidiano della City, Scholz e Macron indicano nell’unione dei capitali e nel rafforzamento del mercato unico, tra le altre cose, la strada per uscire dalla crisi, dando così un contentino ad Enrico Letta, che sull’unione bancaria ha speso molto del suo capitale politico. Proprio l’unione dei capitali è nelle mire non solo di Macron (con Scholz più freddo al riguardo) ma anche in quelle delle grandi banche. Prova ne è la coincidente intervista a Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale, una delle tre maggiori banche francesi, uscita ieri sulle colonne del Sole 24 ore. Intervista, dunque, non ad un osservatore terzo, ma ad uno dei giocatori in campo nella grande partita della finanza. Nell’intervista, Bini Smaghi spiega che è «necessario» che le banche europee diventino più grandi per competere con i colossi americani, ma le fusioni bancarie transnazionali oggi non sono possibili. Dunque, dice il presidente della banca francese, nell’Unione europea serve assolutamente l’unione dei mercati dei capitali, senza la quale l’unione bancaria non funziona. Solo così sarà possibile per le banche diventare più grandi, ovvero acquisire di volta in volta quelle più piccole e poi fondersi tra grandi istituti, per arrivare ad una sempre maggiore concentrazione del settore, con pochi enormi soggetti. Bini Smaghi, già nel comitato esecutivo della Bce, con estrema chiarezza delinea un percorso in cui la banca che presiede non sarà una preda: «Per quel che riguarda Société Générale, data la dimensione, la rilevanza delle operazioni, la presenza sulle principali piazze internazionali, non può partecipare ad un eventuale processo di aggregazione che come protagonista». Difficile trovare una più istantanea dimostrazione di cosa è l’Unione europea. Il livello politico franco-tedesco invoca la necessità impellente dell’unione del mercato dei capitali ed immediatamente si capisce il perché: piace alla gente che piace.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bini-smaghi-tifa-ue-2668393965.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-la-moglie-europeista-rinsavisce-allitalia-troppi-soldi-dal-recovery" data-post-id="2668393965" data-published-at="1716942680" data-use-pagination="False"> Ma la moglie europeista rinsavisce: «All’Italia troppi soldi dal Recovery» E non c’è niente da fare, c’è una next generation anche per gli economisti. Anzi, nel caso di Veronica De Romanis siamo di fronte a una ri-generation. Dopo i ripensamenti di Roberto Perotti e Tito Boeri sul Pnrr, ecco che arriva anche la consorte di Lorenzo Bini Smaghi a sostenere che «è stato un errore prendere tutti quei soldi». Perché quei 220 miliardi prenotati dall’Italia nel Recovery Fund sono andati a uno Stato che alla fine è sempre schiavo di «mille regolamenti e di una burocrazia inefficiente». Ma come, ci avevano detto che quei soldi erano necessari e andavano presi tutti quanti. Ci avevano rivenduto l’operato dell’allora premier Giuseppe Conte come una grande battaglia. E pur di fronte a ritardi e contraddizioni del Pnrr italiano, le migliori menti economiche della nazione non avevano ritenuto di suonare l’allarme quando a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi. E ora, dopo l’uscita malignetta di Paolo Gentiloni sui fondi del Recovery ripartiti con un algoritmo, parte l’operazione verità? L’europeista De Romanis ha vergato per la Stampa di ieri un’analisi impietosa dello stato dell’arte del Pnrr che somiglia al classico calcio dell’asino. Il titolo è già un programma: «La politica non ha capito il Recovery. Un errore aver voluto tutti i fondi». Il povero Conte adesso ha la colpa di «aver presentato l’assegnazione delle risorse come una vittoria della sua maggioranza», ma la verità è un po’ più stracciona e sarebbe che «il criterio privilegiato è stato quello di favorire le economie più fragili». Poi, De Romanis passa alla stessa idea di Pnrr, dopo aver spiegato che se ne doveva prendere poco più della metà, ovvero non più di 123 miliardi. «Il governo, alla guida di uno Stato dai mille regolamenti e dalla burocrazia inefficiente, si è trovato tra le mani un bottino da oltre 200 miliardi praticamente impossibile da gestire», accusa l’economista. Eh sì, incredibile ma vero: a quattro anni dalla «grande vittoria» del Pnrr miliardario, uno degli economisti più ortodossi e allineati mette nero su bianco che il Pnrr è di fatto ingestibile. Esagerando pure, perché è davvero impossibile negare che l’Italia sia stata comunque capace di spendere almeno una parte dei fondi. De Romanis è stata anticipata nei giorni scorsi dai colleghi Perotti e Boeri, che su Repubblica hanno ammesso con un certo disincanto che fu «irresponsabile» prendere tutti quei soldi, nel luglio del 2020 e che fu probabilmente colpa dei tassi a zero e del «clima di euforia generale di quel periodo». Sarà, ma forse una mano a stare tutti quanti con i piedi per terra potevano darla anche questi economisti del giro giusto. Comunque è innegabile che per almeno un paio di anni il Pnrr è stato una formidabile arma di distrazione di massa, cavalcata egregiamente dal governo Conte-Pd come dal governissimo di Mario Draghi, che nella vulgata dei giornaloni fu «costretto» a prendere il posto dell’Avvocato del Popolo proprio perché lui sì che avrebbe gestito bene i miliardi di Bruxelles. Insomma, questo revisionismo sul Pnrr degli algoritmi, prima «decisivo» e ora «ingestibile», ha anche l’effetto di far passare Conte come uno che prima si è gloriato del nulla e poi è stato fatto fuori per non aver saputo gestire lo stesso nulla. La realtà è che come questo giornale aveva segnalato per tempo, era sbagliata in partenza l’idea che da Bruxelles si decidesse nel 2020 che cosa doveva fare nel 2025 una nazione da 60 milioni di abitanti. Ma fin quando non è arrivato il governo di centrodestra, parlare male del Pnrr era come criticare Giuseppe Garibaldi. La stessa De Romanis diceva in tv che «L’Italia ha già vinto: da contributore netto diventerà beneficiario netto!» (La7 20 luglio 2020). E a un forum del Sole 24 Ore, definiva il Pnrr «un treno che passa ora, una opportunità imperdibile» (30 aprile 2021). Mentre intervistata da Formiche.net proclamava: «Utilizzare le risorse del Recovery Fund è un lavoro di anni, che guarda al 2023 e poi fino al 2026 […] Una cosa è certa: perdere questa occasione è una pazzia».
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)
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Massimo Cacciari (Getty Images)