2023-02-09
Biden si rifugia in demagogia e bugie Intanto prepara la ricandidatura
Il discorso sullo stato dell’Unione mostra un presidente Usa in difficoltà: prima blandisce i repubblicani e poi li attacca, promette riforme sociali che non realizzerà e rivendica posti di lavoro non creati da lui.La vicenda della presunta sonda spia cinese abbattuta dagli statunitensi agita i rapporti già tesi con Pechino. Che alza i toni: «Non è responsabile diffamarci».Lo speciale contiene due articoli.Ha promesso tanto. E, forse, ha rivendicato ancora di più. Fatto che sta, a ben vedere, l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato martedì sera da Joe Biden, sembra mostrare un presidente politicamente in affanno. Nel corso dell’intervento, sono emersi infatti tutti i principali problemi che affliggono l’attuale inquilino della Casa Bianca. A partire dalla sua difficoltà nel trovare numeri parlamentari solidi, essendo costantemente costretto a gestire l’ala più a sinistra del suo stesso partito. E qui sono nati i cortocircuiti. Biden ha cominciato blandendo i repubblicani, auspicando collaborazione e unità. Parole bizzarre da uno che, fino a poco tempo fa, tacciava il Gop di estremismo. Ma tant’è: il presidente deve fare i conti con una Camera ormai a maggioranza repubblicana. Eppure, poco dopo la carota, Biden ha sfoderato improvvisamente il bastone, accusando l’elefantino di voler tagliare la previdenza sociale. Un attacco che ha innescato la dura reazione dei repubblicani, che hanno fischiato il presidente, gridandogli: «Bugiardo!». Insomma, prima le lusinghe e poi gli schiaffi. Una stramberia fondamentalmente dovuta al fatto che, pur avendo bisogno dei voti repubblicani, Biden sa che una collaborazione col «nemico» non gli verrebbe mai perdonata da una sinistra dem tutta dedita al fanatismo duro e puro. E infatti, proprio per accattivarsi tale frangia, il presidente se n’è uscito con una serie di proposte demagogiche: dalla minimum tax per i miliardari all’idea di quadruplicare la tassa sul riacquisto di azioni proprie, senza trascurare l’elogio del capitalismo «equo» e gli strali contro i «profitti record» di Big pharma (dimenticando forse che Pfizer, alle elezioni del 2020 e del 2022, ha dato la maggior parte dei propri finanziamenti al Partito democratico). Tutti specchietti per le allodole: se queste proposte non sono passate quando i dem avevano la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, figuriamoci ora che la Camera è in mano ai repubblicani! Anche sui successi rivendicati ci sarebbe qualcosa da dire. Biden ha detto di aver creato ben 12 milioni di posti di lavoro. Peccato che sia stato smentito da Fox News la quale, citando il Bureau of Labor Statistics, ha riferito come si tratti in gran parte di posti di lavoro recuperati dopo la pandemia: in realtà, gli impieghi effettivamente creati da Biden sarebbero solo 2,7 milioni. Ma questo è nulla rispetto ai presunti successi rivendicati in politica estera. «Negli ultimi due anni le democrazie sono diventate più forti, non più deboli. Le autocrazie sono diventate più deboli, non più forti», ha dichiarato il presidente. Ebbene, le cose non stanno esattamente così. Da quando Biden è alla Casa Bianca, gli Usa hanno perso influenza su America Latina e Medio Oriente a vantaggio di Cina e Russia. Non solo. Biden ha rivendicato il sostegno all’Ucraina: uno dei pochi momenti in cui si sono registrati applausi bipartisan. Tuttavia ha omesso di dire che, cercando di ripristinare l’accordo sul nucleare con l’Iran, la sua amministrazione ha rafforzato il regime di Teheran, che - oltre a minacciare l’esistenza di Israele - sta fornendo oggi droni militari alla Russia contro Kiev. Biden ha inoltre omesso di ricordare che ha revocato le restrizioni a Cuba e allentato le sanzioni al Venezuela: due regimi non esattamente liberaldemocratici, che stanno spalleggiando Mosca contro l’Ucraina. A proposito: neanche una parola è stata spesa sul dossier afgano l’altro ieri. Venendo poi alla Cina, l’unico passaggio apprezzabile del discorso è stato forse l’elogio del Chips Act: una legge bipartisan che prende effettivamente di petto la minaccia cinese nel settore dei semiconduttori. Per il resto, Biden si è tenuto piuttosto sul vago. Ha parlato di «concorrenza» con Pechino, auspicando di «modernizzare le [...] forze armate per salvaguardare la stabilità e scoraggiare l’aggressione». Il che in teoria sarebbe anche giusto, se non fosse che il presidente ha lasciato scorrazzare indisturbato per quattro giorni un pallone cinese nei cieli americani prima di procedere con l’abbattimento. Un’irresolutezza che ha messo a repentaglio la sicurezza nazionale e compromesso la deterrenza americana nei confronti di Pechino. E questo nonostante, nel discorso di martedì, Biden abbia detto di aver difeso la sovranità degli Usa in quell’occasione. In realtà non sembra proprio. La spiegazione che l’abbattimento sia stato effettuato così tardi per evitare la caduta dei rottami sul suolo statunitense fa infatti abbastanza acqua. Il punto è che, come su tanti altri dossier, anche sulla Cina l’amministrazione Biden è fondamentalmente spaccata al suo interno tra chi vuole severità e chi distensione (a partire da John Kerry). Non è un mistero che il presidente abbia utilizzato questo discorso come trampolino per un’imminente ricandidatura («finiremo il lavoro», ha detto). Il punto è che la situazione per lui è tutt’altro che rosea. I sondaggi lo danno messo molto male, mentre i cortocircuiti emersi martedì sono evidenti. A peggiorare il quadro sta la totale assenza di trasparenza sia sulla questione del pallone sia sullo scandalo dei documenti classificati: scandalo che l’altro ieri non è stato minimamente menzionato. Il futuro per Biden, insomma, non sembra essere esattamente in discesa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-rifugia-demagogia-bugie-2659393398.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-relazioni-con-xi-finite-nel-pallone" data-post-id="2659393398" data-published-at="1675945350" data-use-pagination="False"> Le relazioni con Xi finite nel pallone Non si placano le tensioni tra Stati Uniti e Cina. Ieri, Pechino ha reagito duramente al discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato martedì sera da Joe Biden. «Siamo contrari a definire le relazioni Cina-Usa interamente sulla base della concorrenza. Non è prassi di un Paese responsabile diffamare un Paese o limitare i legittimi diritti di sviluppo del Paese con la scusa della concorrenza, anche a costo di interrompere la catena industriale e di approvvigionamento globale», ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning. «Gli Stati Uniti devono vedere la Cina in una luce obiettiva e razionale, seguire una politica cinese positiva e pratica e lavorare con la Cina per riportare le relazioni Cina-Usa sul binario di uno sviluppo solido e costante», ha aggiunto. Nel suo discorso, Biden aveva detto di aver «chiarito con il presidente Xi che cerchiamo competizione, non conflitto». «Non mi scuserò per il fatto che stiamo investendo per rendere forte l’America: investendo nell’innovazione americana, nelle industrie che definiranno il futuro e che il governo cinese intende dominare», aveva proseguito, per poi fare un rapido cenno alla crisi del pallone aerostatico. «Come abbiamo chiarito la scorsa settimana, se la Cina minaccia la nostra sovranità, agiremo per proteggere il nostro Paese. E lo abbiamo fatto», aveva affermato. Il presidente americano aveva anche sottolineato l’approvazione del Chips Act: legge bipartisan, volta a contrastare Pechino proprio sul delicatissimo fronte dei semiconduttori. Un fronte che, ricordiamolo, contribuisce ad incrementare la tensione su Taiwan. Nel frattempo, il Pentagono ha reso noto che Pechino ha rifiutato di organizzare una telefonata tra il ministro della Difesa americano, Lloyd Austin, e l’omologo cinese, Wei Fenghe. «Sfortunatamente, la Repubblica popolare cinese ha rifiutato la nostra richiesta. Il nostro impegno per aprire linee di comunicazione continuerà», ha affermato il portavoce del Pentagono, Pat Ryder. La fibrillazione resta d’altronde alta proprio a causa della questione del pallone abbattuto sabato scorso: pallone, i cui rottami sono in fase di recupero da parte della Marina americana. Rottami che dovrebbero essere successivamente analizzati da funzionari di intelligence e agenti dell’Fbi. Frattanto, proprio citando fonti dell’intelligence americana, il Washington Post ha riferito che il pallone cinese rientrerebbe all’interno di una più vasta operazione di spionaggio condotta dal Dragone. In particolare, sembra che questi oggetti volanti possano provenire da Hainan: un’isola della Cina meridionale che ospita una base militare navale. Al momento, Pechino continua a dire che il pallone avrebbe avuto delle finalità di ricerca scientifica e che sarebbe finito nei cieli statunitensi a causa del forte vento. Non solo: il governo cinese ha anche affermato che i resti dell’oggetto dovrebbero essergli riconsegnati. Una pretesa che sembra tuttavia essere stata respinta da Washington. Del resto, se la versione di Pechino rispondesse al vero, ci sarebbe da chiedersi per quale ragione le autorità cinesi abbiano reagito tanto aggressivamente all’abbattimento del pallone. Infine, oltre alle questioni di spionaggio, sicurezza e commercio, Washington e Pechino si stanno dividendo anche su Damasco. Ieri, il ministero degli Esteri cinese ha infatti chiesto agli Usa di «revocare immediatamente le sanzioni unilaterali alla Siria, per aprire le porte agli aiuti umanitari alla Siria».
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi