2023-01-26
«L’Italia è il Paese che amo»: 29 anni fa Berlusconi «scendeva in campo»
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Silvio Berlusconi (Getty Images)
Con il videodiscorso del 26 gennaio 1994, l’imprenditore entrava nell’agone politico sfidando il cartello delle sinistre. Iniziava una nuova era per la politica italiana. «L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà».Era il 26 gennaio 1994 – 29 anni fa esatti - e Silvio Berlusconi «scendeva in campo», secondo la metafora calcistica che l'allora imprenditore utilizzò per indicare il suo arrivo tempestivo e tempestoso nel mondo della politica. Lo fece con un video e con un discorso in cui prometteva «un nuovo miracolo italiano».Così Concita De Gregorio raccontava l'atmosfera ritratta nel video di debutto sulle colonne di quel giornale che sarebbe diventato l’arcinemico del Cavaliere, Repubblica: «Fondo rosa scuro, libreria e scrivania di legno biondo, libri rilegati di pelle rosso ciliegia. Rassicurante, tranquillizzante. Contorni del viso e spigoli delle pareti sfumati da un vecchio trucco, una calza da donna sull'obiettivo, buona anche per cancellare le rughe. Luce d'ambiente, tagliacarte d'argento in primo piano, alle spalle i libri un po' in disordine perché sia chiaro che si usano, non sono lì per arredare. Due cornici d'argento con le foto dei figli piccoli: al mare, tutti nell' acqua, in campagna, sulle spalle di papà». L'utilizzo magistrale e certo un po' cinico di questi stratagemmi di marketing, in cui Berlusconi è stato per anni maestro, infastidirono sin da subito la sinistra colta o sedicente tale che ruotava attorno al quotidiano di Eugenio Scalfari. Lo schieramento progressista era all'epoca guidato da Achille Occhetto, segretario del Pds, che avrebbe conosciuto qualche vezzo modaiolo solo dopo la sua uscita dalla politica ma che all'epoca si presentava con il look grigio e depressivo del perfetto burocrate comunista.O, meglio, ex comunista, sia pur da pochi anni. Nascevano sin da subito due mondi, due stili, due retoriche, due forme di comunicazione reciprocamente ostili, anche se va detto che il marketing politico berlusconiano farà spesso storcere il naso, negli anni, anche alla destra post fascista e missina, che con Silvio si alleerà.All'epoca, Berlusconi era già da qualche anno un volto familiare per gli italiani: aveva fondato un impero sulle tv commerciali, sfidando il monopolio Rai e importando un modo diverso, più americano, di fare televisione. Era anche sbarcato nel calcio, con un successo dirompente e anche lì con modi del tutto nuovi: le sue visite a Milanello in elicottero erano una novità per un mondo abituato ai presidenti strapaesani di provincia o allo stile paludato e istituzionale degli Agnelli. Le vittorie del Milan di Arrigo Sacchi, ottenute con spettacolo, dinamismo e attitudini tecnico-tattiche completamente diverse da quelle sino ad allora in auge in Italia, sembravano quasi uno specchio di ciò che Berlusconi prometteva per l’Italia, con il suo messaggio di speranza e ottimismo dopo gli anni un po’ truci di Tangentopoli.Secondo quanto ricostruito da Indro Montanelli e Mario Cervi nel loro libro sull'Italia berlusconiana, l'idea del partito sarebbe venuta in mente al professor Giuliano Urbani, che del resto diventerà subito ministro. Il politologo riteneva che «se i moderati si mettevano d’impegno, il successo delle sinistre non era scontato per niente. Il 22 giugno 1993 Urbani espose la sua tesi a Gianni Agnelli, che ascoltò come sempre con attenzione, e come sempre non si sbilanciò, limitandosi a domandargli: “Ne ha parlato con Berlusconi?”. L’occasione di seguire il consiglio implicito venne prima che giugno finisse. Il 30 del mese Urbani si trattenne alcune ore a villa San Martino ad Arcore. Le idee che espose erano di sicuro, almeno in parte, idee che il Cavaliere già rimuginava. Sta di fatto che a distanza d’un paio di giorni Berlusconi, il cui dinamismo sconfina nella frenesia, convocò Gianni Pilo, non ancora quarantenne direttore del marketing editoriale in casa Fininvest. Pilo doveva accertare al più presto quali fossero i “sogni” degli italiani: il che fu fatto tramite due istituti specializzati in sondaggi d’opinione. Le conclusioni cui la ricerca approdò furono queste: gli italiani avevano sfiducia nel quadro politico; desideravano un voto anticipato; preferivano che la classe dirigente fosse composta da persone non coinvolte in precedenza nella vita pubblica; non sapevano bene quali fossero le conseguenze della nuova legge elettorale». Uno dei primi passi del Berlusconi «politicizzato» fu il clamoroso endorsement per Gianfranco Fini, candidato dell'allora Msi a sindaco di Roma contro Francesco Rutelli. All'Euromercato di Casalecchio di Reno, il 23 novembre 1993, Berlusconi si sentì fare questa domanda da un giornalista, a margine del taglio del nastro per l'inaugurazione dell'ipermercato: «Cavaliere, se lei votasse a Roma chi sceglierebbe tra Rutelli e Fini?». Risposta: «Io credo che la risposta lei la conosca già. Certamente Gianfranco Fini». Un fatto dirompente: anche se l'Msi non era già quello di Almirante e l'ostracismo antifascista non era più quello degli anni Settanta, un appoggio così plateale per un candidato missino da parte di un uomo così in vista era un fatto inedito. Fini non divenne sindaco di Roma, ma gli 844.030 voti presi al secondo turno, pari al 46,89%, avevano lo stesso valore politico di una vittoria. Contando anche la Lega che da tempo era sulla breccia e stava introducendo categorie nuove nella politica, ecco la nascita della Seconda repubblica.Le elezioni si tennero domenica 27 e lunedì 28 marzo 1994. Il polo delle Libertà e del Buon governo (in realtà due alleanze distinte: con la Lega al Nord e con l'Msi al Sud) sfiorerà il 43% sia alla Camera che al Senato, battendo nettamente l'Alleanza dei progressisti, ovvero il cartello delle sinistre guidate dal Pds. Iniziava un nuovo capitolo della storia italiana.
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