2022-06-29
Berlino disinnesca l’autodistruzione green
Come anticipato dalla Verità, i sette grandi della Terra hanno rinviato di tre anni il termine per lo stop agli investimenti pubblici nelle fonti fossili. Il cancelliere tedesco: la transizione ci sarà, ma ora ci serve il metano. L’Italia ha fatto l’equilibrista.Il Cremlino rintuzza Supermario: «Non decide lui gli invitati al G20». Il capo del governo aveva escluso la presenza di Vladimir Putin a Bali: «Forse ci sarà da remoto».Lo speciale contiene due articoli. La Verità, domenica scorsa, aveva visto giusto, segnalando tempestivamente ai lettori un’eventualità positiva - legata al G7 in Germania che stava per iniziare - che ieri ha effettivamente trovato conferma. Il nostro giornale, tre giorni fa, titolava così: «La Germania archivia le follie verdi per tornare a investire sui fossili». E un eloquente sottotitolo aggiungeva: «Nel G7 al via oggi Olaf Scholz chiederà di abolire il divieto di finanziare il gas imposto dalla Cop 26 solo a novembre. Una mossa che rinforzerà l’asse con gli Usa. L’Italia per il momento prende tempo e resta a guardare».Piccolo passo indietro. Nell’autunno scorso, durante la riunione di Glasgow (il Cop 26, appunto), venti Paesi, in piena ondata gretina e green, si erano impegnati a stoppare praticamente subito, nel giro di un anno, per l’esattezza entro la fine del 2022, sussidi e investimenti pubblici legati alle fonti fossili. Il tutto accompagnato da una martellante narrazione sulla necessità di contenere le emissioni nocive.La cosa - a ben vedere - appariva di per sé ideologica e controproducente, ma, in quel clima, nessuno si era opposto, e si era arrivati a un impegno unanime celebratissimo e retoricissimo: tutti d’accordo, inclusi Usa e Uk, per una volta lontani dal loro sano pragmatismo su questi temi.Tuttavia, le vicende della guerra in Ucraina hanno reso una decisione già rischiosa letteralmente insostenibile. Qualunque sia l’opinione di ciascuno sul conflitto, e qualunque siano le convinzioni ambientali e energetiche di partiti e governi, chiunque abbia mantenuto un minimo di lucidità si rende conto del fatto che la combinazione di sanzioni (da un lato) e impegni green (dall’altro), peraltro con una tempistica ultrastringente, determinerebbe effetti devastanti, ingestibili per le economie occidentali. Si può discutere (e non poco) sia sulle sanzioni sia sugli obiettivi green, nel senso che ognuno dei due interventi porta con sé rischi pesantissimi per le nostre economie: ma è evidente che procedere (e addirittura accelerare) contemporaneamente e in entrambe le direzioni significa letteralmente incaprettarsi.Di qui l’iniziativa tedesca che ieri, nel documento conclusivo del G7, ha colto un indubbio successo. Certo, pagando un prezzo all’ipocrisia, i sette grandi hanno a più riprese confermato il loro commitment, il loro impegno ideale a favore della decarbonizzazione, ma poi sembrano essersi presi almeno tre anni in più. Ecco una delle frasi chiave: «Sottolineiamo che i sussidi per i combustibili fossili non sono coerenti con gli obiettivi degli accordi di Parigi, e riaffermiamo il nostro impegno alla eliminazione dei sussidi inefficienti entro il 2025». E così per un verso si slitta in avanti di tre anni, e per altro verso si evocano non tutti i sussidi ma quelli «inefficienti».In particolare i sette grandi hanno sottolineato la rilevanza del gas naturale liquido per uscire dalla dipendenza dall’energia russa, e hanno «riconosciuto che investire in questo settore è necessario come risposta alla crisi in atto». E ancora: «In queste circostanze eccezionali, investimenti pubblici nel settore del gas possono essere appropriati come risposta temporanea».Proprio il cancelliere tedesco Scholz ha rivendicato la scelta in conferenza stampa. Da un lato ha detto che «il gas non è il futuro», ma poi ha aggiunto che «nel breve periodo il gas sarà necessario e possono esserci investimenti pubblici in questa fase di transizione».Scontata la reazione furente degli ecointegralisti: Laurie van der Burg, dell’associazione Oil Change International, ha accusato il G7 di aver scelto «di metter davanti il riempire le tasche dell’industria dei combustibili fossili rispetto all’esigenza di proteggere le vite delle persone».E l’Italia in tutto ciò? La sensazione è che il governo italiano si sia un po’ barcamenato. In conferenza stampa, Draghi è sembrato preoccupato di non irritare gli ambientalisti: «Alcune persone temono che forse potremmo ritornare indietro nei nostri obiettivi sul clima, ma questo non sta succedendo», ha detto. Ma sempre in conferenza, bilanciando la prima affermazione, Draghi ha pure fatto riferimento a «esigenze di breve termine che richiedono vasti investimenti in infrastrutture per il gas in Paesi in via di sviluppo e altrove». Poi, rioscillando verso gli ambientalisti, il premier ha accennato al fatto che tali infrastrutture dovrebbero poter essere in futuro riconvertite, «conciliando le esigenze di breve termine con le necessità climatiche di lungo periodo».Comunque, nella discussione interna al G7, il premier avrebbe sostenuto la nuova formulazione del documento conclusivo. E a margine dei lavori Draghi ha anche incontrato il presidente argentino Alberto Fernandez proprio per discutere la possibilità che l’Italia «partecipi a progetti già esistenti in Argentina per installare impianti di liquefazione di gas» poi destinato a essere trasportato verso altri paesi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/berlino-disinnesca-lautodistruzione-green-2657577080.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-cremlino-rintuzza-supermario-non-decide-lui-gli-invitati-al-g20" data-post-id="2657577080" data-published-at="1656444856" data-use-pagination="False"> Il Cremlino rintuzza Supermario: «Non decide lui gli invitati al G20» Anche in occasione della conferenza stampa al termine del G7 Mario Draghi trova il modo per rendersi protagonista di un significativo incidente diplomatico con la Russia. A chi gli chiede della partecipazione di Vladimir Putin al G20 in programma a novembre a Bali, Draghi risponde così: «Il presidente dell’Indonesia Widodo lo esclude, è stato categorico: Putin non verrà, potrà succedere che ci sarà un intervento da remoto». Passa un’oretta e il Cremlino bacchetta duramente il nostro presidente del Consiglio: «Non spetta a Mario Draghi», dice ai giornalisti un funzionario del Cremlino, Yury Ushakov, «deciderlo. Ha probabilmente dimenticato che non è più il presidente del G20. L’invito a partecipare è stato ricevuto e accettato», aggiunge Ushakov, che suggerisce di aspettare la visita del leader indonesiano Joko Widodo, presidente di turno del G20, atteso giovedì a Mosca. Sullo sblocco del grano nei porti ucraini, Draghi spiega che «sono arrivate buone notizie. La Russia ha accettato che Ucraina, Turchia e Nazioni Unite possano avere un ruolo di primo piano, ora si aspetta il sì definitivo di Mosca. Molti di noi pensavano che occorresse sminare i porti. Ci sono, invece», aggiunge Draghi, «dei corridoi sicuri per far passare le navi. Siamo ormai vicini al momento della verità per capire se Russia e Ucraina sottoscriveranno l’accordo, servono tempi rapidi». Sul rischio di una crisi energetica, Draghi commenta: «Noi andiamo avanti cercando di prepararci, aumentando gli stock e gli investimenti nelle rinnovabili e anche gli investimenti di lungo periodo nei paesi in via di sviluppo». Il premier si concentra poi sull’andamento della guerra: «Ieri, intervenendo in collegamento», sottolinea Draghi, «il presidente Volodymyr Zelensky ha parlato di 3.800 missili lanciati dalla Russia dall’inizio del conflitto. Non c’è pace se l’Ucraina non riesce a difendersi e le sanzioni sono essenziali per portare la Russia al tavolo dei negoziati. Ci troviamo con una Ue più unita, una Nato più unita e più grande, tutti i Paesi limitrofi della Russia che cercano protezione, le cose non sono andate come voleva Putin». «In questi giorni», ammette Draghi, «c’è stato un progresso dei russi costante, una delle cose che ha detto Zelensky è che dovrà partire il contrattacco ed è fiducioso che possa riuscire. Nessuno pensava a inizio conflitto che l’Ucraina avrebbe saputo difendersi nel modo in cui l’ha fatto, con efficacia e coraggio. Nelle ultime due settimane c’è stato un costante progresso delle forze russe, tutti guardiamo quello che avviene sul campo e ci poniamo domande, ma questo non significa assolutamente che il sostegno all’Ucraina non continui o non continui in maniera adeguata: i momenti della guerra», sottolinea il presidente del Consiglio, «cambiano ma quello che non cambia è il sostegno del G7». «Al momento», nota inoltre Draghi, «l’economia dell’Eurozona sta rallentando ma non prevediamo una recessione: l’economa italiana sta andando meglio di quanto ci aspettavamo qualche mese fa». Sulle sessioni con 5 Paesi ospiti (Argentina, India, Indonesia, Sudafrica e Senegal), dice Draghi, «mi viene sempre in mente un proverbio africano che veniva citato a metà degli anni ‘80 quando ero alla banca mondiale. Diceva: quando gli elefanti lottano è l’erba che soffre. Dal confronto con loro, è emerso che questi Paesi che hanno un atteggiamento abbastanza neutrale tra Russia e Ucraina finora non sono stati avvicinati, nella discussione che c’è stata si è visto subito come ci fosse desiderio di essere coinvolti».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)