2023-07-02
Bergoglio chiude l’epoca Ratzinger con un progressista al Sant’Uffizio
Joseph Ratzinger e Papa Francesco (Getty Images)
Il monsignore argentino Victor Manuel Fernández tifa l’abolizione di Roma come sede papale ed è favorevole a unioni civili, cardinalato per le donne e comunione ai divorziati risposati. Ha scritto un best seller sul bacio. «Taccio e obbedisco»: l’ex segretario di Benedetto XVI ha lasciato il Vaticano. Vivrà in un grande alloggio nel seminario di Friburgo. Dove, però, non avrà alcun incarico. Lo speciale contiene due articoli.Con un comunicato della sala stampa vaticana ieri è stato annunciato che «il Santo Padre Francesco ha ringraziato l’eminentissimo signor cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., a conclusione del mandato di Prefetto del dicastero per la Dottrina della fede e di presidente della Pontificia commissione sua eccellenza reverendissima monsingor Víctor Manuel Fernández, finora arcivescovo di La Plata (Argentina). Prenderà possesso degli incarichi a metà settembre 2023». È uno spartiacque. È un colpo deciso e profondo che Francesco ha assestato nel cuore della Chiesa mettendo in sella all’ex Sant’Uffizio il suo amico e già consigliere, qualcuno dice anche ghostwriter prediletto per encicliche ed esortazioni apostoliche. C’è, infatti, il vescovo Fernandez, già rettore dell’Università cattolica di Buenos Aires, nella cabina di regia del doppio Sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015, c’è la sua penna dietro l’esortazione apostolica Amoris laetitia che apre, in certi casi, alla comunione ai divorziati risposati. C’è il contributo di Fernandez dietro l’enciclica Laudato si’, nei documenti del Sinodo straordinario sull’Amazzonia, nell’impianto della chiesa sinodale che sta prendendo forma nel Sinodo «sul sinodo» che ha già acceso i motori per l’ottobre prossimo.E non molti sanno che anche il documento programmatico del papato di Francesco, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, scritta nel 2013, è in gran parte farina del sacco del neo prefetto della Dottrina della fede che, non a caso, nel 2014, intervistato da Paolo Rodari, dava alle stampe un libro con un titolo illuminante: Il progetto di Francesco. Dove vuole portare la Chiesa.Un tempo il dicastero per la Dottrina della fede, quando ancora si chiamava Sant’Uffizio, era considerato «la Suprema», anche per designare il ruolo di faro nella Curia romana e per la Chiesa tutta. Il prefetto dell’ex Sant’Uffizio è stato per quasi 25 anni un certo Joseph Ratzinger, dal 1981 al 2005, e proprio per questo si parlava di lui come il «watchdog» della fede, il «pastore tedesco» pronto a rintuzzare ogni eresia, a promuovere e a spiegare il senso del depositum fidei, la sua coerenza, i suoi insuperabili significati.Nel 1988, parlando ai vescovi della Repubblica Dominicana, Ratzinger disse che la Chiesa ha il compito di custodire e insegnare la verità rivelata da Gesù Cristo e che la difesa dalla dottrina erronea e dalle eresie è una parte essenziale di questo compito. Egli affermò che la fede cristiana non può essere ridotta a una semplice opinione personale, ma deve essere basata sulla verità oggettiva della rivelazione divina.Secondo il neo prefetto, la Chiesa nei secoli «ha sviluppato un’intera filosofia e morale piena di classificazioni, per classificare le persone, per mettere loro delle etichette. Questo è... Questo è così, questo è cosà. Questo può ricevere la comunione, questo non può riceverla. Questo può essere perdonato, questo no. È terribile che questo sia accaduto a noi, nella Chiesa. Grazie a Dio, papa Francesco ci sta aiutando a liberarci da questi schemi». Così ha predicato monsignor Fernandez nella cattedrale di La Plata lo scorso 5 marzo. E così anche Ratzinger potrebbe diventare un rigido «classificatore», un dispensatore di schemi di cui liberarsi.Peraltro, questo cambio di passo si legge in controluce anche nella lettera che Francesco in persona ha scritto a Fernandez per comunicargli l’incarico. «Il dipartimento che presiederai», ha scritto papa Bergoglio al teologo di fiducia, «in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali. Erano tempi in cui, più che promuovere la conoscenza teologica, si perseguitavano eventuali errori dottrinali. Quello che mi aspetto da te è senza dubbio qualcosa di molto diverso».Questo «qualcosa» di diverso, di «molto diverso», dovrebbe arrivare senza «l’imposizione di un unico modo» di esprimere «la comprensione della verità», ma «le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere anche la Chiesa. Questa crescita armoniosa conserverà la dottrina cristiana più efficacemente di qualsiasi meccanismo di controllo».Cosa possa significare, questo, nel concreto resta difficile da dire oggi: il rischio è quello di una variabilità di interpretazioni che, in altro modo, potrebbe chiamarsi relativismo dottrinale.Per Fernandez, come indicato anche in Evangelii gaudium, ci vuole una maggiore responsabilità alle Conferenze episcopali, una devolution che, a molti, sembra una specie di eresia. «Tucho», questo il nomignolo del nuovo prefetto, arrischiò persino a dire, in una celebre intervista al Corriere di qualche anno fa, che, in fondo, «il Papa potrebbe pure andare ad abitare fuori Roma, avere un dicastero a Roma e un altro a Bogotá e magari collegarsi per teleconferenza con gli esperti di liturgia che risiedono in Germania».Con Fernandez in sella all’ex Sant’Uffizio si compie forse la principale virata imposta da Francesco alla barca di Pietro, un tango argentino molto caliente che suona una musica assai diversa rispetto alle rigorose polifonie teutoniche espresse da Ratzinger.Più attento ad aprire processi che a definire, Fernandez è stato in prima linea per aprire alla comunione ai divorziati risposati, è favorevole alle leggi per le unioni civili e si è mostrato teoricamente aperto anche al cardinalato per le donne. «Tucho, besame mucho», dicono tra il serio e il faceto in Argentina, a ragione del best seller di Fernandez pubblicato nel 1995 con il titolo di Sáname con tu boca. El arte de besar: «Così, nell’intento di sintetizzare l’immensa ricchezza della vita, sono venute queste pagine a favore del bacio che, spero, ti aiutino a baciare meglio, che ti spingano a liberare in un bacio il meglio del tuo essere».Molta strada è stata fatta da quando i prefetti della Dottrina della fede avevano come best seller titoli come Introduzione al cristianesimo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bergoglio-chiude-lepoca-ratzinger-2662143976.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="padre-georg-e-partito-per-l-esilio" data-post-id="2662143976" data-published-at="1688281539" data-use-pagination="False"> Padre Georg è partito per l’«esilio» Padre Georg Gänswein, lo storico segretario di papa Ratzinger, è in viaggio verso la Germania. Lasciati il monastero Mater Ecclesiae e l’appartamento nella vecchia Santa Marta, torna nella sua Friburgo, città della Foresta Nera in cui ha studiato teologia e dov’è stato destinato a partire da ieri. La decisione, presa da papa Francesco, è stata resa nota in un comunicato della Santa Sede che ha sottolineato come l’arcivescovo tedesco abbia «concluso l’incarico di prefetto della Casa Pontificia in data 28 febbraio 2023», data dopo la quale il Pontefice ha disposto che Gänswein «dal 1° luglio rientri, per il momento, nella sua diocesi di origine».Quel «per il momento» sott’intende che, per ora, il vescovo - che lascia Roma dopo esservi arrivato nel lontano 1995 - non avrà incarichi; anche per questo, il suo rimpatrio viene raccontato come malinconico. Da parte sua, l’interessato ha scelto di non rilasciar commenti. «Taccio e obbedisco», sono infatti state le parole di Gänswein, destinato a far rientro al Collegium Borromaeum di Friburgo dove, appunto, viveva quando entrò in seminario; e proprio nel seminario diocesano accanto la cattedrale cittadina è pronto ad accoglierlo un appartamento di 150 metri quadrati.I camion con le sue cose, partiti a Roma, sono anch’essi in viaggio, anche se l’arcivescovo, in Germania, non arriverà prima della prossima settimana. Ha, infatti, deciso di far tappa qualche giorno in Austria, per la precisione sul lago di Costanza, a Bregenz - a poco meno di 200 chilometri dalla sua destinazione -, dove ieri era atteso per un’ordinazione sacerdotale. La sosta austriaca è stata subito letta come un piccolo sgarbo. Gianpaolo Visetti su Repubblica ha, per esempio, scritto di Gänswein «assente il primo giorno», quasi a Friburgo fossero lì pronti ad accoglierlo con tutti gli onori.Ma pare non sia così. L’ha lasciato intendere, parlando con i media tedeschi, Marc Mudrak, portavoce della diocesi, il quale, pur riconoscendo l’importanza di ospitare una personalità come lo storico segretario di Ratzinger, ha escluso che siano in corso preparativi per celebrare il suo arrivo. Viene così ad assumere un carattere di ulteriore singolarità l’invio nella Foresta Nera di un vescovo di lunga esperienza curiale, peraltro ancora lontano dall’età pensionabile dei 75 anni - monsignor Gänswein ne ha 66, portati ottimamente -, eppure lasciato a riposo. Tanto che il rimpatrio del prelato, di cui si era iniziato a vociferare a inizio del mese scorso, ha spiazzato tutti perfino in Germania. Prova ne siano le parole di Albert Baumeister, sindaco di Riedern am Wald - paese che ha dato i natali all’ex prefetto della Casa pontificia -, che ha dichiarato: «Georg, come diciamo qui, è diventato un “romano”. Nessuno si aspettava che sarebbe tornato».Probabilmente non se lo aspettava neppure lui, benché i rapporti con l’attuale Pontefice fossero freddi da tempo. Gänswein stesso, nel suo libro Nient’altro che la verità (Piemme) scritto insieme al giornalista Saverio Gaeta, ha raccontato d’essere rimasto «scioccato e senza parole», sentendosi un «prefetto dimezzato» da quando papa Francesco, nel 2020, l’aveva «congedato» da capo della prefettura della Casa pontificia. «Molti cardinali oggi sarebbero in sintonia con Angelo Scola come Papa», aveva poi dichiarato a marzo al Corriere della sera. Un’uscita forte, dopo la quale l’«esilio», per Gänswein, era scontato; anche se non si sapeva che sarebbe stato un mesto rimpatrio senza incarichi, «per il momento».