Milano svetta ai Giochi dell’illegalità. Sigilli ad altri due palazzi in centro

A Milano, nel cuore di Brera, un’area venduta per 20,9 milioni di euro è diventata un affare capace di sfiorare i 50 milioni di ricavi. Il progetto «Unico-Brera» dei costruttori Carlo Rusconi e Stefano Rusconi si reggeva su permessi comunali concessi come ristrutturazione e non come nuova costruzione. Una classificazione che ha aperto la strada a risparmi sugli oneri, tempi più rapidi e un aumento del margine operativo.
Ieri la Guardia di finanza ha sequestrato i due edifici di via Anfiteatro 7: la torre di 11 piani e il corpo di 4, per 27 appartamenti. Il gip Mattia Fiorentini ha accolto la richiesta dei pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, con l’aggiunto Tiziana Siciliano. Per l’accusa, dietro quella Scia c’era un edificio nuovo. E mancavano perfino le verifiche antincendio. Sono 27 gli indagati per le ipotesi di lottizzazione abusiva, abuso edilizio e falso ideologico, tra progettisti, tecnici comunali, membri della commissione Paesaggio e i costruttori Rusconi.
Brera è uno dei mercati immobiliari più cari d’Italia e le nuove costruzioni possono raggiungere i 10/15.000 euro al metro quadro. «Unico-Brera» poteva valere oltre 42 milioni. Decisivo lo sconto sugli oneri: 800.000 euro pagati con la Scia contro i circa due milioni dovuti per una nuova costruzione.
L’ex vicesindaco Riccardo De Corato ha attaccato il sindaco Giuseppe Sala, chiedendo che si assuma la responsabilità politica di un sistema che continua a produrre «casi disastrosi». La storia del lotto è segnata da continui cambi di rotta. Negli anni Ottanta era destinato a ospitare nove alloggi popolari. Nel 2006 i ruderi settecenteschi vengono demoliti d’urgenza. Nel 2007 e nel 2008 risultano ancora «complessi edilizi con valore storico testimoniale». Nel 2010 passa a Bnp Paribas per 20,9 milioni di euro. Nel 2018 arriva ai Rusconi.
I residenti protestano da anni. Alberto Villa, che vive accanto al cantiere, ha perso i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato e oggi denuncia balconi a pochi metri, una lamiera davanti alle finestre e un appartamento che non riesce più ad affittare. Per il gip la ristrutturazione è solo una formula. La Scia non basta. La natura di nuova costruzione era «talmente ovvia» che nei progetti scompaiono i metri cubi e resta solo la superficie lorda di pavimento. Marco Emilio Maria Cerri, allora nella commissione Paesaggio, aveva spiegato agli inquirenti che «a Milano si usa così». Il gip definisce quella giustificazione uno «stravolgimento del significato letterale», ricordando che il progettista precedente calcolava regolarmente i volumi.
Le intercettazioni aggravano il quadro. Il 26 settembre 2024 Cerri ammette all’architetto Andrea Beretti: «Anche la pratica di Anfiteatro l’ho categorizzata come ristrutturazione». Pochi giorni prima, parlando con Giovanni Oggioni, ex vicepresidente della commissione Paesaggio già arrestato a marzo, teme guai imminenti: «Prima o poi arriverà anche Anfiteatro».
Secondo la Procura, l’area era in zona B2, dove sono ammessi solo restauri e risanamenti conservativi. Le stesse regole sarebbero state confermate nei Pgt 2012 e 2020, ma la Guardia di finanza non le trova più negli uffici comunali e le recupera solo nella Cittadella degli Archivi. Per il gip non esiste buona fede: costruttori, progettisti e tecnici comunali «non erano sprovveduti». Un piano attuativo avrebbe certamente bocciato il progetto. L’avvocato Michele Bencini, legale di Rusconi, ricorda che Tar e Consiglio di Stato nel 2021 e 2022 avevano giudicato regolare il percorso amministrativo e definito «infondata» la lettura urbanistica ora adottata dalla Procura. Annuncia ricorso contro il sequestro.
Il caso di via Anfiteatro si intreccia con quello di viale Papiniano 48. Lì il gip Sonia Mancini ha dissequestrato un cantiere riconoscendo la buona fede dei costruttori e del progettista Mauro Colombo. La Procura ha impugnato il provvedimento. I pm Giovanna Cavalleri e Luisa Baima Bollone sostengono che un imprenditore esperto non possa invocare incertezza delle norme quando trae «vantaggi economici lucrabili». Richiamano la giurisprudenza che impone cautela: in caso di dubbio, i lavori devono fermarsi. Un principio che ritorna anche in via Anfiteatro.
Sullo sfondo, la questione abitativa della città. Mentre operazioni milionarie su aree pubbliche dismesse inseguono la massima rendita, l’edilizia sociale rallenta. Ieri il Consorzio cooperative lavoratori ha presentato il catalogo dei suoi 50 anni: 15.800 abitazioni costruite, 8.041 solo a Milano, 135.000 metri quadrati di spazi pubblici restituiti ai quartieri. Il presidente Alessandro Maggioni ha ricordato che «la cooperazione è un soggetto di mercato con finalità sociali, capace di generare valore e redistribuzione». Poi ha puntato il dito sul presente: 390 alloggi sono pronti, ma fermi in attesa di atti comunali. Un paradosso che pesa.
A Milano chi rispetta le regole frena, chi le piega invece accelera. Almeno finché un cantiere non si ritrova i sigilli della Guardia di finanza.






