
Nonostante il buon fatturato, l'azienda vinicola ha 180 milioni di debiti e con la guida di Mediobanca è in cerca di un socio per il rilancio. In pole position ci sarebbe Alessandro con la sua 21 Investimenti. Il valore della Zonin1821 è di circa 300 milioni. Oggi avere il cognome Zonin nel nome di un'azienda non deve essere facile. Domenico Zonin, figlio di Gianni, l'uomo che ha contribuito al crac della Popolare di Vicenza, in una recente intervista l'aveva detto. «Molte società di comunicazione ci hanno chiesto di cambiare il nome» della Casa vinicola Zonin, nota anche come Zonin1821, «ma noi andiamo avanti lo stesso». Fatto sta che il crac della popolare vicentina ha contribuito ad affossare ancora di più un'azienda che dà lavoro a oltre 1.000 dipendenti e che oggi si trova in serie difficoltà. Per questo i tre fratelli che guidano Zonin1821 Domenico (presidente), Francesco e Michele (vicepresidenti) hanno dato mandato a Mediobanca di trovare un partner in grado di dare ossigeno alla casa produttrice di vino.Secondo quanto riporta il sito Businessinsider, ora un fondo interessato a entrare nel capitale dell'azienda ci sarebbe. Ed è pure qualcuno che Mediobanca la conosce bene (la sua famiglia ne possiede il 2,1%). Si tratta di Alessandro Benetton, anche lui figlio di una nota famiglia di imprenditori del Nordest, che nel 1992 ha fondato il suo fondo di private equity, la 21 Investimenti. Se tutto andrà secondo i piani, Benetton dovrà mettere sul piatto una cifra tra i 50 e i 70 milioni di euro per avere una quota tra il 15 e il 20%. Il problema della casa vinicola della famiglia Zonin è che Gianni, ai tempi in cui era presidente della Popolare di Vicenza, ha fatto crescere l'azienda a colpi di acquisizioni di terreni a debito. In parole povere, il manager - oggi indagato su più fronti - riusciva a farsi prestare buone somme di denaro dall'istituto che presiedeva e con quelle riusciva a comprare grossi appezzamenti di terra.In questo modo la Casa Vinicola Zonin è riuscita a fare acquisti in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Toscana, Puglia, Sicilia e persino a Barboursville, in Virginia. Con i tempi che corrono, questo gioco non poteva andare avanti in eterno. Il gruppo nel 2017 ha realizzato un ottimo fatturato da 200 milioni di euro ma con un debito da 180. Valori difficili da sostenere, soprattutto con un margine operativo lordo di 27 milioni di euro. In parole povere il rapporto tra debito e guadagni era di uno a sei. Per non far finire l'azienda a gambe all'aria serve quindi nuova liquidità che porti il valore a un rapporto di circa uno a tre e mezzo.La situazione non è delle più rosee da tempo. Già ai tempi della crisi della popolare vicentina, Gianni Zonin, come prima mossa, trasferì le sue quote ai figli nella speranza di salvare l'azienda dal vortice giudiziario in cui sarebbe finito. Il passo successivo fu quello di tamponare le richieste di ripianare i debiti in capo alle banche attingendo liquidità da istituti esteri e mettendo a garanzia le filiali estere della casa vinicola.Il problema è che Mediobanca deve capire quanto vale oggi l'azienda della famiglia Zonin. Una volta stimato il valore, si potrà capire quanto dovrà sborsare il nuovo socio. Per ora la cifra stimata si aggira intorno ai 300 milioni. Un valore frutto della differenza tra 480 milioni di attivo a cui bisogna sottrarre il debito. Per ora però, si tratta solo di stime. È probabile che Alessandro Benetton, se andrà avanti con la trattativa cercherà di trattare sul prezzo.A questo bisogna aggiungere che la famiglia Benetton sta facendo ordine nelle sue partecipazioni finanziarie, spostando le quote in Mediobanca e Generali (di cui ha il 3%) dalla holding Edizione alla subholding Schematrentatre. L'idea è quella di inserire in ogni subholding, come fossero scatole, le diverse attività di famiglia che fanno tutte capo a Edizione, che le controlla al 100%. Le infrastrutture, ad esempio, a partire da Autostrade, fanno capo a Sintonia mentre Autogrill è sotto il cappello di Schematrentaquattro. Forse, così facendo, la famiglia Benetton riuscirà anche a capire qual è il suo settore di riferimento.Resta da capire intanto se Alessandro Benetton deciderà di salvare l'azienda degli Zonin. Se non succederà, i figli di Gianni Zonin dovranno sperare di trovare un altro socio che garantisca il futuro degli oltre 1.000 dipendenti. Un po' come è successo alla banca guidata dal padre con il gruppo Intesa Sanpaolo.
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.






