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2019-04-14
Su abusi e ’68 ha ragione
Ratzinger. Ecco i numeri
Ansa
«Sembra esserci un consenso nella letteratura che l'incidenza dell'abuso ha raggiunto il picco negli anni Settanta e Ottanta». Così è scritto a pagina 28 nel report del novembre 2017 redatto dall'organismo di ricerca inglese Indipendent inquiry child sexual abuse, dopo aver scandagliato i vari report nel mondo sulla crisi degli abusi nella chiesa cattolica. Il lavoro è scaricabile dal sito web del centro di ricerca www.iicsa.org.uk. I numeri non sono opinioni e sembrano smentire coloro che in questi giorni hanno attaccato gli «appunti» diffusi da Benedetto XVI a proposito degli abusi nella Chiesa, dove il Papa emerito indica, tra l'altro, l'influenza della cultura della liberazione sessuale sull'esplodere del fenomeno abusi nel clero. «La tesi di Ratzinger che collega la pedofilia del clero al Sessantotto è palesemente infondata», twitta il teologo «cattolico» Vito Mancuso, che per sostenere la sua considerazione tira fuori con signorilità la faccenda del coro di Ratisbona in cui operava il fratello di Joseph Raztinger. I casi di abuso in quel coro, ricorda Mancuso, risalgono al 1945, ergo la tesi dell'influenza della rivoluzione sessuale sugli abusi è «palesemente infondata». Ma la letteratura mondiale è piuttosto cocciuta sui numeri. Se non possono provare un nesso in senso stretto, dimostrano però come i casi di abuso diventano un fenomeno, una piaga dalle proporzioni sempre più vaste, proprio nei decenni in cui viene concepita e poi cresce, e si afferma come modello di costume, la cosiddetta rivoluzione sessuale.
I più rilevanti report sul tema abusi del clero, pubblicati negli Sati Uniti dall'autorevole John Jay College of Criminal Justice, nel 2004 e nel 2011, mostrano, infatti, un grafico che attesta come i casi di abuso siano dilagati nel periodo che va dal 1960 al 1985; sia per quanto riguarda il numero di presunti abusi per ogni anno, sia per quanto riguarda il numero di sacerdoti accusati.
Peraltro, anche la ricerca della Royal commission australiana ha rilevato come l'incidenza della denunce di abuso si riferisca a fatti che per la maggior parte sarebbero avvenuti negli anni Settanta. Allo stesso modo l'organismo inglese National catholic safeguarding commision nel suo rapporto annuale del 2014 indicava che il maggior numero di accuse poste tra il 2002 e il 2012 riguardava abusi (tutte le forme di abuso, non solo gli abusi sessuali) che presumibilmente si sono verificati negli anni Settanta. Il rapporto Deetman sulla Chiesa cattolica olandese (2011) conferma che la stragrande maggioranza degli abusi ha avuto luogo nel periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. Anche il rapporto commissionato dalla Chiesa cattolica tedesca, pubblicato nel settembre 2018, conferma questa tendenza. Tutto ciò in qualche modo conferma quindi che non è possibile derubricare come «palesemente infondata» l'analisi di Ratzinger circa il ruolo che la rivoluzione sessuale di quegl'anni può avere avuto nel trasformare in fenomeno quello che prima poteva essere presente come realtà, ma non con quella vastità.
Quale sia stato effettivamente il ruolo della rivoluzione sessuale nella vita della Chiesa, e quindi anche nel dilagare del fenomeno abusi, è difficile da evidenziare empiricamente, ma «la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma», come ha sottolineato Benedetto XVI nei suoi «appunti» diffusi giovedì, coincideva con un «collasso» della teologia morale che si è riverberato nella «questione della vita sacerdotale e inoltre in quella dei seminari». Secondo il cardinale Gerhard Muller, già prefetto dell'ex Sant'Ufficio, quella di Benedetto XVI è «l'analisi più profonda della genesi della crisi di credibilità della Chiesa in materia di morale sessuale e più intelligente di tutti i messaggi dati in occasione del vertice dei presidenti delle Conferenze episcopali» sugli abusi in Vaticano. Sono parole nette quelle consegnate ieri all'agenzia tedesca kath.net: «Non si può parlare di critica, perché la parola critica significa distinguere le cose intellettualmente esigenti per dare un contributo alla comprensione di questioni importanti. Queste sono persone che non credono e non pensano. Soprattutto, non hanno la minima decenza». Monsignor Charles Chaput, vescovo di Philadelpia, ha dal canto suo scritto un articolo sulla rivista americana First thing. «L'ingenuo desiderio», ha scritto, «di molti progressisti della Chiesa della metà del secolo scorso ad accettare, o almeno accomodare, la licenza sessuale come una forma di liberazione umana, ha guidato il crollo intellettuale di un'intera generazione di teologi morali cattolici». Il punto è che «la sessualità è legata intimamente all'antropologia, all'autocoscienza umana e allo scopo del corpo. Pertanto, affinché la Chiesa rimanga la Chiesa, non può esserci accordo con comportamenti fondamentalmente in disaccordo con la parola di Dio e la comprensione cristiana della persona umana come imago Dei. Tutti questi tentativi portano inevitabilmente a ciò che Ratzinger (ora Benedetto XVI, papa emerito) una volta chiamava apostasia silenziosa».
Il filosofo Augusto Del Noce, in un suo saggio citato da Chaput, osservava che «sarà necessaria un'enorme revisione culturale per lasciarsi alle spalle i processi filosofici che hanno trovato espressione nella rivoluzione sessuale di oggi». E il vescovo di Philadelpia conclude dicendo che «troppi cattolici oggi sembrano non avere la volontà e la capacità di perseguire quel compito. La buona notizia è che alcuni dei nostri leader hanno ancora il coraggio di dire la verità».
La lobby Lgbt passa al contrattacco
La storia strappalacrime sull'adolescente che diventa una ragazza. La campagna contro i retrogradi che si oppongono al farmaco che blocca la pubertà. La descrizione poetica dei giovani che «sfidano la gravità» e, con essa, gli stereotipi di genere. E poi la campagna martellante sull'utero in affitto, con l'aberrante incesto biotecnologico del Nebraska, i giudici veneziani che chiedono la genitorialità omosex in Costituzione... È evidente, in questi ultimi giorni, un'accelerazione mediatca sui temi eticamente sensibili. Come se la trimurti Lgbt (Corriere, Repubblica e Stampa), con il prezioso contributo del Fatto Quotidiano, stia approntando una controffensiva post Forum di Verona.
Ieri, sul giornale fondato da Eugenio Scalfari faceva bella mostra di sé la vicenda di «Luca che diventerà Ludovica», una sorta di grande pubblicità alla triptorelina, il farmaco da poco autorizzato dall'Aifa per interrompere la pubertà nei minori affetti da disforia di genere. Solo qualche giorno fa, peraltro, La Stampa aveva accusato «le sigle della destra cattolica che ripudiano l'aborto e considrano l'omosessualità “opera del demonio"» di aver diffuso fake news su quel medicinale. Secondo il quotidiano torinese, la triptorelina, con il cambio di sesso, «non c'entra proprio nulla». Eppure è noto che questo farmaco, sebbene produca effetti non irreversibili, è di fatto il primo passo verso l'intervento chirurgico. Ma ovviamente, chi osa mettere in dubbio la liceità di simili manipolazioni sulla pelle dei ragazzini, sulla cui pericolosità si sono espressi chiaramente gli ex membri del Gids, la clinica londinese per baby trans, è un «medievale».
Anche ammettendo che chi la pensa come noi della Verità sia un antimoderno, siamo sicuri che questa modernità sia proprio un paradiso? Siamo sicuri, come sembrava argomentare ieri Il Fatto, che la somministrazione della triptorelina agli adolescenti sia cosa buona, giusta e priva di controindicazioni? Siamo sicuri, come ha affermato la Corte europea, che il «diritto dei bimbi ad avere dei genitori» significhi che la «maternità surrogata» va legittimata? E siamo sicuri che chiamarla «maternità surrogata» o «gestazione per altri» basti a occultare la realtà del mercato di donne e neonati? Siamo sicuri che, mentre qualcuno questi bimbi se li va a comprare in California, sia giusto sopprimerli nel grembo con gli aborti, ché tanto il feto è solamente un grumo di cellule e «la vagina è mia quindi decido io»?
Eccolo, il paradosso dello Stato liberale. Esso nasce promettendo di rimanere neutrale rispetto alle questioni etiche, ma cresce trasformando l'esercizio del suo potere in esercizio di «biopotere». Lo Stato, o il super Stato liberale (com'è l'Ue) diventa una tentacolare organizzazione per il controllo dell'esistenza biologica dei cittadini. Sente il bisogno di produrre e riprodurre le condizioni di quella «liberazione» che doveva essere concepita, invece, come limitazione delle interferenze della politica nella vita privata.
E questo è anche - visto che il tema è stato riportato in auge dall'intervento di Benedetto XVI sulla pedofilia - il fallimento della filosofia postsessantottina. Quel filone di pensiero voleva smascherare la verità essenziale dell'organizzazione occidentale del potere politico. Voleva rivelare, cioè, che il potere politico è sempre, innanzitutto, potere biopolitico, potere sulla vita (e sulla morte) delle persone. Ma anziché di liberarci da questo pervasivo controllo (lo stesso, per intenderci, che secondo quegli autori era alla base della determinazione dei ruoli di genere), ci ha consegnati a un meccanismo ancora più invadente. Potenziato, in seguito, dall'evoluzione della tecnica, che oramai si avvia verso l'inquietante orizzonte della clonazione umana. Che ad annunciarla (falsamente) siano stati i cinesi non è un caso: dal dirigismo applicato alla demografia, alle fasce per misurare la concentrazione degli alunni a scuola, è proprio Pechino l'avanguardia del Leviatano biopolitico.
Ma almeno, in Cina non hanno bisogno di venderlo alla società inquadrata dal Partito come un eden libertario. Da noi, invece, l'offensiva del biopotere si nutre di toccanti reportage giornalistici e giurisprudenza creativa. Tutto, è ovvio, rigorosamente «al riparo dal processo elettorale». Come disse un certo Mario Monti.
Caos a New York sull’obbligo delle vaccinazioni
Promette di finire in tribunale la vicenda legata all'esplosione dei casi di morbillo in corso negli Stati Uniti. Dall'inizio dell'anno hanno destato scalpore due distinte vicende. L'ultima in ordine di tempo riguarda la città di New York, e in particolare i quartieri di Brooklyn e del Queens, dove si sono registrati 285 casi da ottobre ad aprile. Preoccupato dal rapido peggioramento della situazione, lo scorso 9 aprile il commissario cittadino alla salute Oxiris Barbot, d'accordo con il sindaco Bill De Blasio, ha emesso un ordinanza con la quale dispone l'obbligo di vaccinarsi per tutti i residenti in alcuni codici postali, pena una multa di 1.000 dollari (poco meno di 900 euro). Qualche settimana prima, il 26 marzo, la contea di Rockland (stato di New York) aveva dichiarato lo stato d'emergenza, vietando l'ingresso nei luoghi pubblici a tutti i minorenni non vaccinati. Tutta colpa dei 153 casi registrati nell'ultimo semestre, saliti a 180 nell'ultimo aggiornamento fornito dal dipartimento locale della salute. Al centro delle polemiche, in entrambi i casi, la reticenza da parte delle comunità ebree ortodosse a far vaccinare i propri figli. Nel caso di Rockland, pare, il «paziente zero» sarebbe stato un cittadino tornato da un viaggio in Israele durante il quale avrebbe contratto la malattia.
Dipinte della autorità come assolutamente necessarie nell'interesse della salute pubblica, le drastiche misure adottate potrebbero scatenare una battaglia a colpi di carte bollate. Secondo quanto riporta un editoriale pubblicato sul New York Times, esiste infatti il rischio concreto che sulla testa del primo cittadino De Blasio cadano una pioggia di denunce. Negli Stati uniti, infatti, le questioni legate alla sfera delle libertà individuali sono fortemente sentite, specialmente se riguardano un campo così delicato come quello dei trattamenti sanitari. A prescindere dalla necessità di arginare il proliferare della malattia, limitando quanto più possibile le conseguenze per i più piccoli, la politica e i media si stanno interrogando per comprendere cause, effetti e rimedi di una simile situazione. Non è un caso perciò se lunedì, accogliendo la richiesta di un gruppo di genitori, il giudice Rolf Thorsen abbia impugnato la dichiarazione dello stato d'emergenza firmata da Ed Day, capo della contea di Rockland, rendendo parzialmente nulli gli effetti dell'ordinanza. Nel testo della pronuncia, il togato spiega che i casi di morbillo rappresentano appena lo 0,5% della popolazione e ciò non giustifica che «il livello di epidemia rientri nella definizione di “disastro"» contemplata dalla legge dello Stato. Inoltre, nota Thorsen, l'ordinanza viola il termine di cinque giorni prevista dalla norma. Pur dissentendo, la contea si è ritrovata con le mani legate.
Successivamente, Day ha diffuso due distinti comunicati stampa, nei quali ribadisce il «forte disaccordo» con la decisione del giudice e annuncia che la contea è al lavoro per studiare nuovi soluzioni in grado di bypassare gli ostacoli giuridici. Tornando sulle rive dell'Hudson, colpisce che anche un quotidiano come il New York Times scelga di usare toni morbidi per tracciare i contorni della questione. La via di fuga legale, almeno secondo alcuni, va rintracciata in una sentenza risalente al 1905 (Jacobson contro il Massachussets), nella quale la Corte suprema stabiliva l'autorità della legge locale a imporre l'obbligo vaccinale in caso di epidemia anche contro la volontà del cittadino. Tuttavia, gli esperti dubitano che un precedente così lontano nel tempo e in circostanze così diverse possa reggere l'urto di una eventuale class action.
Nell'occhio del ciclone il sistema vaccinale degli Stati Uniti, da molti giudicato eccessivamente permissivo. Sebbene a livello federale non esista un obbligo, tutti gli Stati prevedono la necessità di vaccinare bambini e ragazzi ai fini dell'ammissione scolastica. Un passaggio facilmente aggirabile grazie alla presenza di tre tipologie di esenzioni: mediche (tutti gli Stati), religiose (47 Stati) e sia religiose che filosofiche (19). Cambiare questo assetto è in realtà tutt'altro che facile. Secondo quanto dichiarato questa settimana da Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York, una proposta di legge in tal senso rischierebbe infatti di violare il primo emendamento della costituzione americana, quello che garantisce la libertà di culto.
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Il legame tra pedofilia e rivoluzione sessuale, messo in luce da Ratzinger, viene negato dai corifei di Francesco. Ma molti studi confermano la tesi del Papa emerito.La lobby Lgbt passa al contrattacco. Da Repubblica alla Stampa e al Fatto, sono numerosi gli articoli che esaltano la transessualità infantile e l'utero in affitto. La biopolitica è il nuovo terreno di scontro.Caos a New York sull'obbligo delle vaccinazioni. Scelta la linea dura dopo i casi di morbillo, ma si teme una pioggia di denunce No vax.Lo speciale comprende tre articoli.«Sembra esserci un consenso nella letteratura che l'incidenza dell'abuso ha raggiunto il picco negli anni Settanta e Ottanta». Così è scritto a pagina 28 nel report del novembre 2017 redatto dall'organismo di ricerca inglese Indipendent inquiry child sexual abuse, dopo aver scandagliato i vari report nel mondo sulla crisi degli abusi nella chiesa cattolica. Il lavoro è scaricabile dal sito web del centro di ricerca www.iicsa.org.uk. I numeri non sono opinioni e sembrano smentire coloro che in questi giorni hanno attaccato gli «appunti» diffusi da Benedetto XVI a proposito degli abusi nella Chiesa, dove il Papa emerito indica, tra l'altro, l'influenza della cultura della liberazione sessuale sull'esplodere del fenomeno abusi nel clero. «La tesi di Ratzinger che collega la pedofilia del clero al Sessantotto è palesemente infondata», twitta il teologo «cattolico» Vito Mancuso, che per sostenere la sua considerazione tira fuori con signorilità la faccenda del coro di Ratisbona in cui operava il fratello di Joseph Raztinger. I casi di abuso in quel coro, ricorda Mancuso, risalgono al 1945, ergo la tesi dell'influenza della rivoluzione sessuale sugli abusi è «palesemente infondata». Ma la letteratura mondiale è piuttosto cocciuta sui numeri. Se non possono provare un nesso in senso stretto, dimostrano però come i casi di abuso diventano un fenomeno, una piaga dalle proporzioni sempre più vaste, proprio nei decenni in cui viene concepita e poi cresce, e si afferma come modello di costume, la cosiddetta rivoluzione sessuale. I più rilevanti report sul tema abusi del clero, pubblicati negli Sati Uniti dall'autorevole John Jay College of Criminal Justice, nel 2004 e nel 2011, mostrano, infatti, un grafico che attesta come i casi di abuso siano dilagati nel periodo che va dal 1960 al 1985; sia per quanto riguarda il numero di presunti abusi per ogni anno, sia per quanto riguarda il numero di sacerdoti accusati. Peraltro, anche la ricerca della Royal commission australiana ha rilevato come l'incidenza della denunce di abuso si riferisca a fatti che per la maggior parte sarebbero avvenuti negli anni Settanta. Allo stesso modo l'organismo inglese National catholic safeguarding commision nel suo rapporto annuale del 2014 indicava che il maggior numero di accuse poste tra il 2002 e il 2012 riguardava abusi (tutte le forme di abuso, non solo gli abusi sessuali) che presumibilmente si sono verificati negli anni Settanta. Il rapporto Deetman sulla Chiesa cattolica olandese (2011) conferma che la stragrande maggioranza degli abusi ha avuto luogo nel periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. Anche il rapporto commissionato dalla Chiesa cattolica tedesca, pubblicato nel settembre 2018, conferma questa tendenza. Tutto ciò in qualche modo conferma quindi che non è possibile derubricare come «palesemente infondata» l'analisi di Ratzinger circa il ruolo che la rivoluzione sessuale di quegl'anni può avere avuto nel trasformare in fenomeno quello che prima poteva essere presente come realtà, ma non con quella vastità. Quale sia stato effettivamente il ruolo della rivoluzione sessuale nella vita della Chiesa, e quindi anche nel dilagare del fenomeno abusi, è difficile da evidenziare empiricamente, ma «la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma», come ha sottolineato Benedetto XVI nei suoi «appunti» diffusi giovedì, coincideva con un «collasso» della teologia morale che si è riverberato nella «questione della vita sacerdotale e inoltre in quella dei seminari». Secondo il cardinale Gerhard Muller, già prefetto dell'ex Sant'Ufficio, quella di Benedetto XVI è «l'analisi più profonda della genesi della crisi di credibilità della Chiesa in materia di morale sessuale e più intelligente di tutti i messaggi dati in occasione del vertice dei presidenti delle Conferenze episcopali» sugli abusi in Vaticano. Sono parole nette quelle consegnate ieri all'agenzia tedesca kath.net: «Non si può parlare di critica, perché la parola critica significa distinguere le cose intellettualmente esigenti per dare un contributo alla comprensione di questioni importanti. Queste sono persone che non credono e non pensano. Soprattutto, non hanno la minima decenza». Monsignor Charles Chaput, vescovo di Philadelpia, ha dal canto suo scritto un articolo sulla rivista americana First thing. «L'ingenuo desiderio», ha scritto, «di molti progressisti della Chiesa della metà del secolo scorso ad accettare, o almeno accomodare, la licenza sessuale come una forma di liberazione umana, ha guidato il crollo intellettuale di un'intera generazione di teologi morali cattolici». Il punto è che «la sessualità è legata intimamente all'antropologia, all'autocoscienza umana e allo scopo del corpo. Pertanto, affinché la Chiesa rimanga la Chiesa, non può esserci accordo con comportamenti fondamentalmente in disaccordo con la parola di Dio e la comprensione cristiana della persona umana come imago Dei. Tutti questi tentativi portano inevitabilmente a ciò che Ratzinger (ora Benedetto XVI, papa emerito) una volta chiamava apostasia silenziosa». Il filosofo Augusto Del Noce, in un suo saggio citato da Chaput, osservava che «sarà necessaria un'enorme revisione culturale per lasciarsi alle spalle i processi filosofici che hanno trovato espressione nella rivoluzione sessuale di oggi». E il vescovo di Philadelpia conclude dicendo che «troppi cattolici oggi sembrano non avere la volontà e la capacità di perseguire quel compito. 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È evidente, in questi ultimi giorni, un'accelerazione mediatca sui temi eticamente sensibili. Come se la trimurti Lgbt (Corriere, Repubblica e Stampa), con il prezioso contributo del Fatto Quotidiano, stia approntando una controffensiva post Forum di Verona. Ieri, sul giornale fondato da Eugenio Scalfari faceva bella mostra di sé la vicenda di «Luca che diventerà Ludovica», una sorta di grande pubblicità alla triptorelina, il farmaco da poco autorizzato dall'Aifa per interrompere la pubertà nei minori affetti da disforia di genere. Solo qualche giorno fa, peraltro, La Stampa aveva accusato «le sigle della destra cattolica che ripudiano l'aborto e considrano l'omosessualità “opera del demonio"» di aver diffuso fake news su quel medicinale. Secondo il quotidiano torinese, la triptorelina, con il cambio di sesso, «non c'entra proprio nulla». Eppure è noto che questo farmaco, sebbene produca effetti non irreversibili, è di fatto il primo passo verso l'intervento chirurgico. Ma ovviamente, chi osa mettere in dubbio la liceità di simili manipolazioni sulla pelle dei ragazzini, sulla cui pericolosità si sono espressi chiaramente gli ex membri del Gids, la clinica londinese per baby trans, è un «medievale». Anche ammettendo che chi la pensa come noi della Verità sia un antimoderno, siamo sicuri che questa modernità sia proprio un paradiso? Siamo sicuri, come sembrava argomentare ieri Il Fatto, che la somministrazione della triptorelina agli adolescenti sia cosa buona, giusta e priva di controindicazioni? Siamo sicuri, come ha affermato la Corte europea, che il «diritto dei bimbi ad avere dei genitori» significhi che la «maternità surrogata» va legittimata? E siamo sicuri che chiamarla «maternità surrogata» o «gestazione per altri» basti a occultare la realtà del mercato di donne e neonati? Siamo sicuri che, mentre qualcuno questi bimbi se li va a comprare in California, sia giusto sopprimerli nel grembo con gli aborti, ché tanto il feto è solamente un grumo di cellule e «la vagina è mia quindi decido io»? Eccolo, il paradosso dello Stato liberale. Esso nasce promettendo di rimanere neutrale rispetto alle questioni etiche, ma cresce trasformando l'esercizio del suo potere in esercizio di «biopotere». Lo Stato, o il super Stato liberale (com'è l'Ue) diventa una tentacolare organizzazione per il controllo dell'esistenza biologica dei cittadini. Sente il bisogno di produrre e riprodurre le condizioni di quella «liberazione» che doveva essere concepita, invece, come limitazione delle interferenze della politica nella vita privata. E questo è anche - visto che il tema è stato riportato in auge dall'intervento di Benedetto XVI sulla pedofilia - il fallimento della filosofia postsessantottina. Quel filone di pensiero voleva smascherare la verità essenziale dell'organizzazione occidentale del potere politico. Voleva rivelare, cioè, che il potere politico è sempre, innanzitutto, potere biopolitico, potere sulla vita (e sulla morte) delle persone. Ma anziché di liberarci da questo pervasivo controllo (lo stesso, per intenderci, che secondo quegli autori era alla base della determinazione dei ruoli di genere), ci ha consegnati a un meccanismo ancora più invadente. Potenziato, in seguito, dall'evoluzione della tecnica, che oramai si avvia verso l'inquietante orizzonte della clonazione umana. Che ad annunciarla (falsamente) siano stati i cinesi non è un caso: dal dirigismo applicato alla demografia, alle fasce per misurare la concentrazione degli alunni a scuola, è proprio Pechino l'avanguardia del Leviatano biopolitico. Ma almeno, in Cina non hanno bisogno di venderlo alla società inquadrata dal Partito come un eden libertario. Da noi, invece, l'offensiva del biopotere si nutre di toccanti reportage giornalistici e giurisprudenza creativa. Tutto, è ovvio, rigorosamente «al riparo dal processo elettorale». Come disse un certo Mario Monti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/benedetto-xvi-ha-ragione-e-i-dati-lo-dimostrano-picco-di-abusi-dopo-il-1968-2634544967.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="caos-a-new-york-sullobbligo-delle-vaccinazioni" data-post-id="2634544967" data-published-at="1765403593" data-use-pagination="False"> Caos a New York sull’obbligo delle vaccinazioni Promette di finire in tribunale la vicenda legata all'esplosione dei casi di morbillo in corso negli Stati Uniti. Dall'inizio dell'anno hanno destato scalpore due distinte vicende. L'ultima in ordine di tempo riguarda la città di New York, e in particolare i quartieri di Brooklyn e del Queens, dove si sono registrati 285 casi da ottobre ad aprile. Preoccupato dal rapido peggioramento della situazione, lo scorso 9 aprile il commissario cittadino alla salute Oxiris Barbot, d'accordo con il sindaco Bill De Blasio, ha emesso un ordinanza con la quale dispone l'obbligo di vaccinarsi per tutti i residenti in alcuni codici postali, pena una multa di 1.000 dollari (poco meno di 900 euro). Qualche settimana prima, il 26 marzo, la contea di Rockland (stato di New York) aveva dichiarato lo stato d'emergenza, vietando l'ingresso nei luoghi pubblici a tutti i minorenni non vaccinati. Tutta colpa dei 153 casi registrati nell'ultimo semestre, saliti a 180 nell'ultimo aggiornamento fornito dal dipartimento locale della salute. Al centro delle polemiche, in entrambi i casi, la reticenza da parte delle comunità ebree ortodosse a far vaccinare i propri figli. Nel caso di Rockland, pare, il «paziente zero» sarebbe stato un cittadino tornato da un viaggio in Israele durante il quale avrebbe contratto la malattia. Dipinte della autorità come assolutamente necessarie nell'interesse della salute pubblica, le drastiche misure adottate potrebbero scatenare una battaglia a colpi di carte bollate. Secondo quanto riporta un editoriale pubblicato sul New York Times, esiste infatti il rischio concreto che sulla testa del primo cittadino De Blasio cadano una pioggia di denunce. Negli Stati uniti, infatti, le questioni legate alla sfera delle libertà individuali sono fortemente sentite, specialmente se riguardano un campo così delicato come quello dei trattamenti sanitari. A prescindere dalla necessità di arginare il proliferare della malattia, limitando quanto più possibile le conseguenze per i più piccoli, la politica e i media si stanno interrogando per comprendere cause, effetti e rimedi di una simile situazione. Non è un caso perciò se lunedì, accogliendo la richiesta di un gruppo di genitori, il giudice Rolf Thorsen abbia impugnato la dichiarazione dello stato d'emergenza firmata da Ed Day, capo della contea di Rockland, rendendo parzialmente nulli gli effetti dell'ordinanza. Nel testo della pronuncia, il togato spiega che i casi di morbillo rappresentano appena lo 0,5% della popolazione e ciò non giustifica che «il livello di epidemia rientri nella definizione di “disastro"» contemplata dalla legge dello Stato. Inoltre, nota Thorsen, l'ordinanza viola il termine di cinque giorni prevista dalla norma. Pur dissentendo, la contea si è ritrovata con le mani legate. Successivamente, Day ha diffuso due distinti comunicati stampa, nei quali ribadisce il «forte disaccordo» con la decisione del giudice e annuncia che la contea è al lavoro per studiare nuovi soluzioni in grado di bypassare gli ostacoli giuridici. Tornando sulle rive dell'Hudson, colpisce che anche un quotidiano come il New York Times scelga di usare toni morbidi per tracciare i contorni della questione. La via di fuga legale, almeno secondo alcuni, va rintracciata in una sentenza risalente al 1905 (Jacobson contro il Massachussets), nella quale la Corte suprema stabiliva l'autorità della legge locale a imporre l'obbligo vaccinale in caso di epidemia anche contro la volontà del cittadino. Tuttavia, gli esperti dubitano che un precedente così lontano nel tempo e in circostanze così diverse possa reggere l'urto di una eventuale class action. Nell'occhio del ciclone il sistema vaccinale degli Stati Uniti, da molti giudicato eccessivamente permissivo. Sebbene a livello federale non esista un obbligo, tutti gli Stati prevedono la necessità di vaccinare bambini e ragazzi ai fini dell'ammissione scolastica. Un passaggio facilmente aggirabile grazie alla presenza di tre tipologie di esenzioni: mediche (tutti gli Stati), religiose (47 Stati) e sia religiose che filosofiche (19). Cambiare questo assetto è in realtà tutt'altro che facile. Secondo quanto dichiarato questa settimana da Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York, una proposta di legge in tal senso rischierebbe infatti di violare il primo emendamento della costituzione americana, quello che garantisce la libertà di culto.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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