2022-03-18
Bce solidale con i profughi ma solo a parole
Gli ucraini scappati all’estero non possono convertire la loro moneta in euro o in altre valute: così restano in balia degli usurai. Dal 2 marzo sul tavolo di Christine Lagarde giace inascoltato l’appello di 22 europarlamentari. Francoforte vuole garanzie per dare l’ok.«Chiacchiere e tabacchere ’e ligno, ’o banco ’e napule nun se ’mpegna». Dobbiamo fare ricorso a questo famoso proverbio napoletano per spiegare l’imbarazzante comportamento della Bce di fronte alle richieste dei profughi ucraini sfollati nei Paesi confinanti, dove gli viene impedito di convertire le loro banconote denominate in hryvnia. La Bce, come il Banco di Napoli dei tempi andati, per aiutare i profughi ucraini non accetta chiacchiere e nemmeno le tabacchiere di legno, scatole di insignificante valore usate dai popolani per trasportare il tabacco. Anzi, è prodiga di solidarietà a parole, ma vuole invece garanzie concrete per accettare le hryvnia. Come riferito a più riprese dal Financial Times (da ultimo proprio ieri) e dalla Reuters il presidente Christine Lagarde ha sul suo tavolo dal 2 marzo scorso una lettera, di cui siamo venuti in possesso, firmata da 22 europarlamentari prevalentemente rumeni, polacchi e bulgari. Essi denunciano che i profughi sfollati nei rispettivi Paesi non riescono a cambiare le banconote ucraine per ottenere euro e potersi così procurarsi almeno i beni di prima necessità. Prima di fuggire dal loro Paese, poiché la Banca centrale ucraina aveva vietato il prelievo di valuta straniera, essi hanno fatto lunghe code ai Bancomat per ritirare hryvnia, in pratica l’unica fonte di liquidità a loro disposizione prima di fuggire dalle bombe.Ma all’arrivo nei Paesi confinanti, è arrivata l’amara sorpresa: nessuna banca commerciale accetta il cambio e l’unica possibilità saltuariamente concessa nei Paesi di arrivo è quella di accettare carte emesse da banche ucraine. I profughi sono così finiti nelle mani del mercato nero e di soggetti senza scrupoli che accettano di cambiare hryvnia in euro a quotazioni da usurai.Ma cosa c’entra la Bce? Per poter comprare hryvnia e vendere euro, le banche commerciali devono essere sicure di poterle rivendere alla Bce. A sua volta, la Bce per fornire euro in contropartita della valuta ucraina, deve avere in piedi una linea di credito speciale con la Banca centrale ucraina (currency swap agreement), assistita da adeguate garanzie che proteggano la Bce da perdite su attivi così rischiosi come le banconote ucraine, di cui è difficile determinare perfino il cambio.Kiev purtroppo non ha garanzie da fornire e quindi, a cascata, niente linea di liquidità a suo favore, e nessuna possibilità di cambiare hryvnia in euro da parte dei circa 3 milioni di rifugiati.Va sottolineato che non risulta che la Banca centrale ucraina abbia chiesto ufficialmente l’apertura di questa linea di liquidità, ma fonti della Bce hanno dichiarato che le regole sono chiare e non è possibile violarle. L’impegno della Bce, da oltre due settimane, è quello di trovare una soluzione tecnicamente praticabile all’interno delle regole attuali, ma, fino a ieri, era ancora tutto bloccato, nonostante giovedì 10 la Lagarde avesse assicurato che la soluzione fosse ormai imminente. L’unica Banca centrale che ha avuto il coraggio di aprire una linea di credito con Kiev è quella polacca, consentendo ai circa 1,4 milioni di rifugiati accolti in quel Paese, il cambio di hryvnia in zloty. Ma gli altri Paesi confinanti non l’hanno seguita, aspettando evidentemente un cenno risolutivo dall’Eurotower.«La Bce può adottare dei provvedimenti, a prescindere dal fatto che formalmente rientrino nel suo mandato» ha dichiarato al Financial Times il primo firmatario della lettera, il romeno Alin Mituta.Le soluzioni allo studio sono diverse e tutte rivelano l’inconsistenza delle istituzioni europee quando si tratta di passare dalle parole dei Palazzi illuminati di gialloblù ai fatti dell’apertura del portafoglio. Nell’Eurogruppo di lunedì si è parlato di una lettera di garanzia degli Stati dell’Eurozona a favore della Bce per tenerla indenne da eventuali perdite sulle hryvnia comprate. Un’altra soluzione prospettata sarebbe quella che la Ue emetta una garanzia a favore della Bce, facendo leva sul proprio bilancio.Una situazione paradossale: una Banca centrale - per definizione prestatore di ultima istanza, e l’unica banca al mondo che può operare con patrimonio netto negativo - che ha bisogno di garanzie come l’ultima banchetta commerciale di provincia.Nel frattempo che tra Bruxelles e Francoforte trovino il codicillo idoneo a trasformare la solidarietà a parole in fatti concreti, ogni ora passata in condizioni disumane da oltre tre milioni di profughi suona come una stridente contraddizione rispetto all’«orrore» dichiarato da madame Lagarde al momento dell’invasione e alla promessa di solidarietà.Stupisce come, in pochi giorni dopo il 24 febbraio, sia stato possibile varare alla velocità della luce ben quattro tornate di sanzioni contro la Russia e decidere di inviare armi e supporto logistico e, dopo ben due settimane da un esplicito appello di 22 europarlamentari, si arranchi ancora alla ricerca di una soluzione per consentire ai rifugiati ucraini di poter cambiare i propri soldi e non aggiungere anche la fame alla tragedia che stanno vivendo.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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