2023-03-03
Basta veleni, non è stata tragedia di Stato
La stampa di sinistra insiste sulla tesi dei migranti lasciati morire. Ma è sufficiente confrontare segnalazioni, orari e distanze per capire che non ci sono state mancanze da parte di Guardia costiera e finanzieri. Chi dice il contrario strumentalizza i morti.Da giorni gli indignati speciali insistono: «Li hanno lasciati morire». Lo ha scritto Repubblica, lo ha ribadito La Stampa, l’ha confermato Avvenire. Per i quotidiani cattocomunisti non ci sono dubbi: il naufragio è di Stato. Per questo i giornali di casa Agnelli hanno deciso di processare la Guardia costiera. Obbiettivo, come ha chiarito Domani, foglio di casa De Benedetti, cioè sempre ramo industrial-radical chic, accusare Matteo Salvini, ministro da cui dipende l’autorità marittima. In realtà, sebbene i toni si siano alzati, nulla avvalora la tesi che a testate unificate si vorrebbe accreditare, e cioè che la strage in cui domenica sono morte 65 persone e altre 30 sono disperse in mare sia colpa dello Stato e dunque di chi è al governo.Per capirlo basta fare il resoconto di ciò che è successo. Un barcone partito da Smirne carico di migranti arrivati dal Pakistan e dall’Afghanistan, ma anche dalla Tunisia. Gente disperata, che a caro prezzo si affida a tre o forse quattro scafisti. La traversata con destinazione Italia non risulta delle più facili, perché prima il peschereccio su cui sono stipati i profughi si guasta, costringendo uomini, donne e bambini a salire su una bagnarola forse anche meno sicura della precedente. Chi è al timone tuttavia, pare dimostrare una certa esperienza. Infatti, nonostante il mare non sia proprio tranquillo, non fa rotta verso porti più vicini, in Grecia o in Puglia, ma punta diritto verso la costa ionica della Calabria, dove spesso approdano le barche con il loro carico di disperati. La sera del 25 febbraio, dopo che una stazione radio aveva ricevuto un allarme, un aereo Frontex avvista un’imbarcazione sospetta a circa 40 miglia a Sud Est di Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese. Il rapporto dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere marittime non parla di una barca in avaria, ma segnala che il natante ha una buona galleggiabilità, non ci sono persone in acqua e, a parte una, non si intravedono altre figure sul ponte. Forse sono sotto coperta, ma a giudicare dal messaggio dopo la ricognizione, quella avvistata non è una nave in avaria, semmai un barcone che cerca di approdare sulle spiagge calabresi, come capita spesso. Così, sulla base di quella segnalazione, partono una motovedetta e un pattugliatore della Guardia di Finanza per cercare di intercettare l’imbarcazione. Il mare è forza 4, dunque le condizioni non sono proibitive. Sono le ore 2.30 del mattino, ma dopo un’ora di navigazione le unità marine delle Fiamme gialle sono costrette a rientrare in porto senza aver agganciato il caicco partito dalla Turchia. Si può anche supporre che il barcone non avesse nessuna intenzione di farsi agganciare, perché essendo carichi di clandestini, gli scafisti che lo conducevano è possibile che abbiano fatto qualsiasi cosa per sottrarsi ai controlli. È la regola dei trafficanti di uomini fuggire alla polizia per evitare di essere arrestati. Una volta in porto, motovedetta e pattugliatore della Gdf fanno rapporto. E alle 3.40 la centrale operativa della Finanza comunica all’autorità marittima di Reggio Calabria che le unità navali delle Fiamme gialle sono rientrate per le condizioni avverse e chiedono un intervento della Guardia costiera, nonostante ancora non ci sia alcuna segnalazione di allarme. Perché la Gdf passa la palla alla Guardia costiera? Perché a differenza dei finanzieri, il corpo delle capitanerie dispone di natanti che possono affrontare anche un mare forza 8. Alle ore 3.50 la sala operativa delle Fiamme gialle, mediante la postazione della rete radar costiera, riesce a identificare la posizione del caicco segnalato da Frontex, ma alle 3.55, contattati dalla sala operativa delle Fiamme gialle, i carabinieri di Crotone comunicano di aver ricevuto una chiamata da un’utenza satellitare che segnala la presenza di un’imbarcazione in difficoltà a poca distanza dalla costa, in località Steccato di Cutro, e dunque gli equipaggi delle imbarcazioni appena rientrati in porto partono verso la località segnalata. Ecco, a quell’ora la tragedia era già avvenuta. Il barcone partito dalla Turchia probabilmente era già finito su una secca e affondato senza che la Gdf né la Guardia costiera potessero fare nulla per impedirlo. Non avevano alcuna richiesta di aiuto, non avevano la posizione esatta del natante e nonostante gli sforzi non sono riusciti ad agganciare il caicco prima che naufragasse. Gli indignati speciali si attaccano al lasso di tempo in cui la Finanza torna in porto e chiede all’autorità marittima un intervento. Ma fosse anche uscita con tempestività, la Guardia costiera non avrebbe potuto impedire la tragedia. Dal porto di Crotone alla località Steccato sono 23 miglia marine, che con un mare forza 7 non si percorrono in un quarto d’ora. La barca dei migranti, quando venne segnalata, era a quattro miglia dalla costa, dunque le unità della Capitaneria non sarebbero mai riuscite ad arrivare prima che l’imbarcazione finisse affondata, tanto è vero che le pattuglie della Gdf, una volta allertate dai carabinieri, impiegano quasi un’ora a raggiungere la zona del naufragio. Altro che strage di Stato e nessuno ha voluto salvarli: nessuno ha lasciato morire i migranti e sfruttare la morte di uomini, donne e bambini è solo un uso strumentale e cinico di una tragedia. Un’ultima osservazione: secondo alcuni, il naufragio non sarebbe la conseguenza delle condizioni del mare, ma di un tentativo di sottrarsi ai controlli. In prossimità della spiaggia gli scafisti, nel tentativo di cambiare rotta, avrebbero eseguito una manovra spericolata. Sarà la magistratura a stabilire se quest’ipotesi sia fondata. Di certo non lo possono dire Repubblica, La Stampa, Avvenire e Domani. Per il semplice motivo che a loro non interessa ciò che è accaduto, ma solo poter attaccare il governo dei cattivi.
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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