2022-01-06
Bassetti scandalizza i chiusuristi: «I medici positivi possono lavorare»
Matteo Bassetti (Getty images)
Per la seconda volta in 48 ore l’infettivologo fa un intervento pragmatico e perciò ora è vittima di censura mediatica. «Sono trivaccinati e se asintomatici creano un danno maggiore agli ospedali se non operativi».Curioso destino quello di Matteo Bassetti. Se l’infettivologo del San Martino di Genova si adegua alla liturgia del terrore, finisce regolarmente in prima pagina, oltre che essere portato in processione televisiva praticamente a reti unificate. Se invece - addirittura per due volte in quarantott’ore - sceglie una linea di pragmatismo, di realismo razionale, allora deve fare i conti con il muro della censura mediatica, naturalmente con l’eccezione della Verità. Procediamo con ordine. Il primo colpo di scena si era registrato due sere fa a Controcorrente, il programma di Rete 4 condotto da Veronica Gentili. Lì Bassetti aveva sganciato una bomba di buon senso, dapprima spiegando che la variante Delta «nel vaccinato con doppia dose o tripla provoca una forma influenzale, un raffreddore rinforzato», e poi che «la Omicron addirittura sembra fare lo stesso anche nel non vaccinato». Da questa constatazione clinica Bassetti aveva tratto un giudizio di fondo assai condivisibile: «Non possiamo affrontare l’epidemia del 2022 con le regole che avevamo nel 2020. Un conto era mettere in quarantena un soggetto non vaccinato con carica virale elevatissima», mentre «oggi, di fronte ad una malattia che dura molto di meno, mi sembra che non mettere in quarantena i contatti e magari accorciare anche l’isolamento del positivo asintomatico voglia dire andare nella direzione di un pragmatismo anglosassone». Risultato? A meno di nostri errori e omissioni, sui quotidiani nazionali di ieri la posizione di Bassetti è stata riportata con evidenza soltanto dalla Verità.Ma dopo la prima uscita Bassetti non si è fermato, e per la seconda volta ha scandalizzato i pasdaran chiusuristi. Ospite di Tagadà su La7, il professore genovese ha infatti dichiarato che per i medici e gli operatori sanitari «si deve tornare a marzo/aprile 2020, quando, anche se eri positivo, la quarantena non la faceva nessuno e andavi a lavorare». E ancora: «Sulla quarantena dei sanitari bisogna intervenire in maniera diversa, perché non possiamo rischiare di avere ospedali che non vanno avanti perché c’è qualcuno asintomaticamente positivo dopo tre dosi. E su questo è necessario che intervenga il governo». Conclusione: i medici «devono andare a lavorare con mascherine Ffp2, come dicono i Cdc di Atlanta a cui noi dovremmo rifarci» perché «se fai un lavoro che non può essere sostituito, come nel caso dei medici e degli operatori sanitari, il danno che crei è maggiore se non lavori».Naturalmente, molto si potrebbe discutere in termini di principio. Se - correttamente - si sceglie la linea del pragmatismo per queste professioni, non si vede perché tale opzione debba essere contraddetta in altri ambiti lavorativi, alimentando discriminazioni e trattamenti differenziati tra cittadini che si trovano nelle medesime condizioni. Ma non è certo il caso di far carico a Bassetti di contraddizioni che non sono sue, bensì delle autorità politiche. In questa sede, vanno semmai rimarcate due questioni. La prima ha a che fare con l’atteggiamento dei mainstream media: siamo disposti a scommettere sul fatto che anche questa seconda sortita bassettiana finirà attenuata e attutita, in quanto non funzionale al racconto «ufficiale».La seconda questione riguarda la vita reale degli ospedali, su cui Bassetti coglie indubitabilmente nel segno. È noto ad esempio che alcune strutture, proprio allo scopo di garantire la loro funzionalità sul fronte del Covid, abbiano di fatto sospeso l’attività delle sale operatorie durante le vacanze di Natale (in sostanza, spostando quelli che erano interventi programmati). Non solo: mentre in epoca di lockdown (totale o strisciante) i pronto soccorso dovevano rispondere praticamente solo alle esigenze della pandemia, oggi, con un ritorno alla vita più generalizzato, le esigenze sono anche altre (incidenti, ecc.). Senza dire, come questo giornale scrive dall’inizio, che non si muore solo di Covid: e che dunque non possono essere ulteriormente compresse o sacrificate le attività sanitarie ordinarie, sia di screening sia di terapia.Dunque, non si può rinunciare a cuor leggero al personale medico. E il problema maggiore (in genere si tratta di percentuali piccolissime) non è certo quello dei sospesi in quanto non vaccinati. Né preoccupa più di tanto (si tratta di un turnover tutto sommato gestibile) la quarantena imposta agli ammalati effettivamente sintomatici: bene o male, dopo il tempo necessario, li si recupera. Il grosso guaio riguarda proprio il numero crescente (e dunque sempre meno gestibile) dei positivi asintomatici: e non manca neppure - chiamiamola così - la «furbizia» di chi quasi spera di risultare positivo e asintomatico, potendo così starsene a casa per qualche giorno. A maggior ragione, dunque, buon senso vuole che il positivo asintomatico (con tutte le protezioni del caso, a partire dalla Ffp2) lavori e possa curare i malati. Più in generale, serve un cambio di paradigma, doloroso - lo immaginiamo - per i talebani delle restrizioni: se si va verso una «raffreddorizzazione» del Covid, non ha alcun senso trattare i positivi asintomatici come soggetti da isolare.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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