2019-05-25
Bassetti mente sul caso di pedofilia a Milano
Il presidente della Cei ha detto di non sapere nulla dell'abuso su un minore da parte di don Galli, coperto dall'arcivescovo Mario Delpini. Una lettera lo smentisce. Caso archiviato secondo Marco Tarquinio, direttore dell'«Avvenire». Ma il prete accusato è stato condannato.«Chi segue me non camminerà nelle tenebre». È sconfortante che un sacerdote si sia dimenticato del potente insegnamento di Gesù nel Vangelo di Giovanni e spenga la luce davanti alla verità. Lo è ancora di più se non si tratta di un parroco di campagna in un momento di smarrimento personale, ma di Gualtiero Bassetti, cardinale, arcivescovo di Perugia e presidente della Conferenza episcopale italiana, in una conferenza stampa internazionale. Il contesto è l'assemblea generale della Cei, il tema è quello scottante degli abusi dei preti sui minori. E l'effetto è il solito senso di straniamento davanti alla fragilità comunicativa delle tonache e alla loro insopprimibile determinazione a nascondere la polvere sotto il tappeto.Al termine dell'assemblea è consuetudine dei vertici spiegare in un incontro con i giornalisti le linee guida che hanno ispirato l'augusto consesso e le decisioni prese. In questo caso l'occasione è molto importante perché la Cei ha deciso di applicare concretamente il motu proprio di papa Francesco Vos estis lux mundi, che prevede tra l'altro la messa in stato d'accusa degli alti prelati che insabbiano gli atti di pedofilia nelle diocesi. Per dare un perimetro al fenomeno i vescovi italiani hanno introdotto un protocollo che rappresenta (in teoria) una svolta: l'obbligo morale di fare un esposto alle autorità civili. Morale, non giuridico, quindi esiste sempre un margine di discrezionalità nel quale muoversi «secondo coscienza», come se la coscienza di un prete non coincidesse automaticamente con le sensibilità dell'istituzione da difendere. Si sa che la coscienza - come cantava Giorgio Gaber - qualche volta è un salvagente, qualche altra un canotto.In ogni caso, se la denuncia è verosimile dopo l'indagine previa (prevista dal diritto Canonico) e la famiglia del minore non si oppone per ragioni sue, il fascicolo è bene che finisca sulla scrivania dei carabinieri o della polizia. Con trasparenza e rispetto per la verità dei fatti, come accade già in numerosi paesi del mondo ma non in Italia senza prima una modifica del Concordato. «È un passo avanti importante», lo definisce il cardinal Bassetti davanti ai giornalisti. Qualche minuto dopo però lui stesso compie due passi indietro. Accade quando la vaticanista del Messaggero, Franca Giansoldati, prende il microfono e fa una domanda del tutto legittima sul caso di Mario Delpini, l'arcivescovo di Milano accusato dalla famiglia di un ragazzo abusato di avere coperto don Mauro Galli, semplicemente spostandolo da una parrocchia all'altra della stessa diocesi, sempre a contatto con adolescenti. Il quesito riguarda in pieno il tema dibattuto. Chi controlla i controllori?Il presidente della Cei si innervosisce, risponde di non sapere nulla della vicenda, di non essere al corrente e che «di questo caso non si è parlato, non spetta a noi». Tutto questo davanti ad accuse precise e a una richiesta scandita dalla mamma del giovane: «Delpini ha insabbiato, adesso si dimetta». È del tutto inverosimile che il cardinal Bassetti non sia a conoscenza dell'imbarazzante situazione perché i giornali ne hanno parlato (non tutti). Ma anche se fosse stato incline all'ascetica meditazione, egli stesso - su carta intestata della Conferenza episcopale italiana e a sua firma - il 20 febbraio scorso ha risposto al presidente dell'associazione Rete l'abuso, Francesco Zanardi, che per conto della famiglia aveva esposto al suo ufficio la vicenda e altre simili in un j'accuse che facilmente si può leggere sul web. Il carteggio si è sviluppato dopo che i genitori del ragazzo avevano scritto più volte al Vaticano, prima agli uffici della Congregazione per la dottrina della fede, poi alla Segreteria del Papa. Documenti protocollati con risposte in genere evasive ma con benedicenti formule finali. La lettera di Bassetti comincia con una frase che, letta oggi, suona imbarazzante: «La questione degli abusi costituisce un gravissimo reato, che è anche un gravissimo peccato».Però non è al corrente. Gelo in sala alla Cei, con la giornalista che si ritrova avvolta dal silenzio dei colleghi. Tutto ciò in un clima surreale perché è relativamente semplice condannare gli abusi in astratto, meno quando bisogna fare i conti con il volto di un ragazzo distrutto e con alle spalle tentativi di suicidio, di una mamma coraggiosa e di un arcivescovo avvolto dal proprio inattaccabile potere. Alla fine dell'incontro, mentre le telecamere si accalcano attorno al cardinal Bassetti, la giornalista viene affrontata da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire e intellettuale di indubbia sensibilità, che con aria da reprimenda le spiega: «Ti devi informare meglio perché la vicenda è stata archiviata». Così archiviata che don Galli è stato condannato in primo grado per abuso sessuale a 6 anni e 4 mesi di carcere, come ha scritto anche il suo giornale. Purtroppo l'istinto manzoniano del troncare e sopire non passa mai di moda sul pianeta della fede. «Chi segue me non camminerà nelle tenebre». Per qualcun altro, dopo 2.000 anni, serve la pila.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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