2025-04-05
Baruffa al Sinodo della Cei. Un flop degli uomini di Zuppi ma incolpano i conservatori
Matteo Zuppi (Imagoeconomica)
Attribuito a ordini di Ruini il testo per cui hanno protestato i laici. In realtà, è opera di un don bolognese vicino al capo dei vescovi. Perplessi dalla svolta progressista.Da qualche giorno si è tornati a parlare del «Sinodo dei vescovi», sinodo che per volontà di papa Francesco è stato aperto anche ai semplici sacerdoti, ai laici e alle donne. Il motivo per cui il documento finale è saltato, facendone slittare l’approvazione a ottobre e l’assemblea generale da maggio a novembre, sono stati i dissidi su tre aspetti: pastorale Lgbt, leadership delle donne nella Chiesa e corresponsabilità dei laici nella gestione delle parrocchie.Ma come si è arrivati a questo pasticcio, che l’episcopato italiano ha cercato malamente di occultare tirando in ballo il rifiuto del sovranismo, in nome di un sincero spirito democratico, che avrebbe portato i vescovi a prendersi più tempo per venire incontro alle richieste della base? Il punto è che proprio il maquillage populista, passato attraverso la cooptazione dei laici, con un’ovvia sbandata progressista, ha reso la Chiesa vittima di sé stessa. Dimentica, soprattutto, che a essa serve la verità più che la condivisione; che le occorrono pastori più che capipopolo; e che, comunque, a fronte dei quasi 2 miliardi di fedeli sparsi nel mondo, il contributo di qualche centinaio di attivisti offre al massimo la parvenza della democrazia.Il sito di retroscena vaticani, Silere non possum, ha offerto una suggestiva ricostruzione di quanto accaduto. Silere ricorda che la Seconda assemblea sinodale, tenutasi in Vaticano dal 31 marzo al 3 aprile, ha visto appunto la partecipazione di «1.008 delegati». Tra essi «168 vescovi» di cui sette cardinali, «252 sacerdoti, 34 religiosi, 17 diaconi e ben 530 laici». La cospicua presenza di laici e in generale di «non vescovi», assolutamente non prevista da Paolo VI quando ripristinò il Sinodo dei vescovi nel 1965, ha fatto sì che più di un teologo parlasse di «laicizzazione» del Sinodo. Ma qual è stato il motivo delle tensioni e cosa c’entrano i gay e le donne? In effetti il testo di sintesi proposto all’assemblea laico-episcopale (visto che i laici sono più dei vescovi) e «contenente 50 proposizioni» è risultato subito soggetto a «malcontento». Hanno protestato «soprattutto i vescovi e i laici progressisti», i quali «hanno investito tutta la loro esistenza in questo percorso». In tale ottica ostativa, costoro hanno iniziato fin da subito a far interventi «fortemente critici» e «anziché limitarsi a proporre semplici emendamenti come richiesto dalla presidenza», hanno brigato per «riscrivere interamente il testo». La tesi sostenuta da Silere è che il testo che dispiace così tanto alla sinistra ecclesiale porti la firma di monsignor Claudio Giuliodori, a cui la Cei avrebbe affidato l’arduo compito di «elaborare una sintesi» dei 4 anni di lavori fin qui svolti. Giuliodori, ovviamente, non è l’ultimo arrivato. Vescovo emerito, assistente ecclesiastico dell’Università del Sacro Cuore e dell’Azione cattolica, presidente della Commissione Cei per l’educazione cattolica, è anzitutto un teologo formatosi su vita e famiglia al «Pontificio istituto Giovanni Paolo II». Proprio monsignor Giuliodori avrebbe cercato - per fedeltà al Magistero tradizionale della Chiesa - «di arginare la deriva che il Sinodo ha preso» volendo altresì «limitare i danni». Da lì le proteste per il testo troppo «conservatore» o «ratzingeriano», così accese che per la chiusura dell’assemblea, il 3 aprile, monsignor Giuliodori, «ha preferito non presentarsi», annota ancora Silere. Secondo qualcuno, addirittura, dietro il vescovo ci sarebbe la manina del cardinale Camillo Ruini, già capo della Cei e desideroso di «vendetta» nei confronti dell’attuale numero uno dei vescovi, il progressista Matteo Zuppi. Alla Verità risulta che la ricostruzione non sia fondata. Di sicuro, non c’è stato alcun intervento di Ruini. Ma è privo di conferme pure il ruolo di Giuliodori, che non solo non è stato imbeccato da nessuno, ma nemmeno avrebbe redatto il testo della discordia e, anzi, sarebbe furibondo per essere stato tirato in ballo. Se le cose stanno così, quello di attribuire a lui e al cardinale la responsabilità dell’imbarazzante inciampo sembra più un tentativo di trovare, nel fronte conservatore, un capro espiatorio per un pasticcio che è tutto progressista. Tanto che, a occuparsi di emendare un testo che inizialmente era apparso troppo eterodosso, sarebbe stato don Valentino Bulgarelli, segretario del Sinodo, sacerdote bolognese considerato molto vicino proprio al concittadino monsignor Zuppi. Su mandato di chi? Forse, il suo intervento è stato semplicemente frutto dei disaccordi interni a un episcopato tutt’altro che compatto sulla svolta progressista.Il disastro - e su questo Silere, testata di ispirazione tradizionalista, ha ragione - si deve all’improvvido coinvolgimento dei laici, foglia di fico di una gerarchia ecclesiastica presa dalla smania - molto bergogliana - di «avviare processi» di riforma. Maneggiando una bomba innescata che, alla fine, purtroppo rischia di esplodere.
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