2025-05-31
Bankitalia fa rosicare la sinistra: giusto puntare sulla remigrazione
Il governatore di Banca d'Italia, Fabio Panetta (Ansa)
Fabio Panetta lancia un appello per il rimpatrio dei 700.000 cervelli italiani che nell’ultimo decennio sono andati via. Altro che accoglienza indiscriminata, gli arrivi in base al curriculum si possono fare e aiutano l’economia.Tornate tutti in Italia, cervelli e non cervelli. Ok, ma chi esce? Il governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, lancia un appello per il rimpatrio dei 700.000 italiani che nell’ultimo decennio se ne sono andati per cercare un lavoro e una vita migliori. Lo scopo è rafforzare l’economia del Paese «e i suoi centri d’eccellenza». Se ne ricava che allora è lecito «scegliere» i cittadini sulla base dei curriculum e delle diverse capacità lavorative, come accade in svariate democrazie del mondo occidentale (Canada e Australia su tutte), senza che nessuno gridi al razzismo. E visto che, livello dei servizi pubblici alla mano, è evidente che in Italia non c’è posto per 700.000 persone in più, qualcuno dovrebbe essere rimpatriato, forse. Il governatore ha approfittato del suo miglior palco scenico annuale, ovvero l’assemblea della Banca d’Italia con annessa platea di banchieri, per entrare nel dibattito sulla cosiddetta fuga dei cervelli con una proposta non banale. Ma in un dibattito purtroppo banale. «Per ampliare stabilmente la forza lavoro, è necessario creare opportunità di occupazione attrattive per i numerosi italiani che lasciano il Paese alla ricerca di migliori prospettive», ha affermato l’economista romano, aggiungendo che «negli ultimi dieci anni sono emigrati 700.000 italiani, un quinto dei quali giovani laureati». Il governatore, ed ex consigliere della Bce di Francoforte, ha poi indicato anche una mezza ricetta: «Un incremento dei fondi che rafforzi i centri di eccellenza renderebbe il sistema universitario più attrattivo per i ricercatori italiani e stranieri che oggi scelgono atenei esteri. Politiche mirate di attrazione dei talenti potrebbero anche intercettare studiosi in uscita da altri paesi». Il tema è serio, specie in un Paese che tutela solo gli anziani, ma viene usato da tempo in modo strumentale sia nel dibattito politico che sui giornali. Da un lato si predica sempre (anche ai figli) la globalizzazione, l’internazionalizzazione, la libera circolazione di studenti, ricercatori e lavoratori di livello medio alto. E quando un italiano fa carriera all’estero, specie nelle università o negli ospedali, diventa subito una celebrità con un provincialismo tutto italiano. Due esempi per tutti: l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino, chirurgo palermitano espatriato negli Usa, e l’infettivologa e divulgatrice Ilaria Capua, che dopo aver fatto carriera in Regno Unito e Florida è rientrata in Italia ed è diventata una viro-star grazie al Covid. Entrambi hanno fatto carriera politica. Dall’altro lato, i partiti di opposizione accusano ciclicamente chi è al governo di non far nulla per trattenere i «giovani migliori», di tagliare i fondi, gli stipendi e di far scappare i laureati con l’incubo della precarietà. Il governatore di Bankitalia, però, non è entrato in questo tema in modo strumentale e il problema di che cosa possa offrire la Repubblica italiana ai giovani esiste davvero, da sempre. La cifra che ha fornito Via Nazionale è impressionante e politicamente trasversale, nel senso che in questi dieci anni in cui sono «spariti» 700.000 giovani di belle speranze abbiamo avuto al governo la sinistra, con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, i gialloverdi con il Conte I e i giallorossi del Conte II, un osannato predecessore di Panetta come Mario Draghi e infine il centrodestra. Chi se ne va, di solito, non è che ce l’ha con il governo di turno. È che fa dei paragoni tra «sistemi paese», dove contano gli studi, gli sbocchi lavorativi, la facilità di metter su famiglia, gli stipendi, i servizi. Come Bankitalia sa meglio di tutti, perché denuncia il problema da oltre dieci anni, in Italia ci sono salari non competitivi. E Panetta l’ha ripetuto anche ieri: «Abbiamo stipendi troppo bassi». Le banche lo vedono tutti i giorni e lo segnalano dai tempi dell’adesione all’euro, mentre il centrodestra, alle elezioni del 2022, ha fatto campagna sulla riduzione del cuneo fiscale, nonostante sia una misura che spaventa i banchieri centrali. L’appello di Panetta, però, se preso alla lettera potrebbe creare dei problemi all’intera economia italiana. Secondo il Cnel (dati 2024), in Italia ci sono 5 milioni e 300.000 stranieri e il 70% di essi ha cittadinanza extracomunitaria. In totale, i cittadini stranieri costituiscono il 9% della popolazione e bisogna tenere presente che il 30% di comunitari hanno pieno diritto di circolazione e stabilimento. Nell’ultimo decreto Flussi, c’è scritto che quest’anno possono entrare nella Penisola non più di 450.000 persone (legalmente, precisazione purtroppo doverosa). Con questi numeri, se per assurdo si facesse una grande campagna di rientro (a suon di incentivi) sui 700.000 expat di cui parla Panetta, si scatenerebbe il caos. L’impostazione scelta dal banchiere centrale, però, è molto stimolante. Panetta ha sottolineato che c’è un interesse nazionale a far rientrare italiani laureati o comunque con un bel curriculum. Verissimo. Ma allora perché, nel dibattito pubblico italiano, non si può dire che anche quando si deve scegliere chi far entrare in Italia sarebbe il caso di scegliere i profili più adatti e utili alle esigenze collettive? L’italiano che fa il pizzaiolo se ne resti all’estero, ma l’egiziano che fa il pizzaiolo (in nero) da noi va accolto (e tesserato). Qualcosa non torna, cervelli a parte.