2025-08-27
Pressing sulle banche. Dagli anticipi fiscali gli aiuti al ceto medio
Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Governo al lavoro per ottenere un contributo dagli istituti di credito per il taglio dell’Irpef ai redditi fino a 60.000 euro.La prossima legge di Bilancio deve trovare risorse per tagli fiscali e spese sociali senza aumentare il deficit. Le due ipotesi discusse più importanti in merito sono il contributo «straordinario» delle banche basato sulle imposte differite attive (Dta) e la riduzione dell’Irpef per i redditi medi portando l’aliquota intermedia dal 35% al 33% con l’obiettivo di ampliare lo scaglione fino a chi porta a casa 60.000 euro l’anno.Per quanto riguarda gli istituti di credito, il governo valuta di anticipare o sospendere per alcuni anni le deduzioni fiscali legate alle Dta bancarie, recuperando subito gettito che sarebbe altrimenti posticipato. Per questo, Palazzo Chigi avrebbe già aperto un tavolo con l’Abi su questo tema. In sostanza, si chiederebbe alle banche di «pagare prima» tasse che avrebbero pagato in futuro tramite le imposte differite attive.In dettaglio, le Dta sono crediti fiscali che un’azienda – in particolare una banca – accumula quando dichiara in bilancio costi o perdite dedotti fiscalmente solo in parte o in esercizi futuri. In pratica, sono «crediti fiscali accumulati dalle aziende per compensare future imposte». Nel bilancio bancario le Dta derivano tipicamente da svalutazioni di crediti o avviamenti dedotti progressivamente. Di conseguenza, le banche maturano nel tempo quote di risparmio fiscale che diventano un’attività patrimoniale, recuperabile solo se si realizzano utili sufficienti nei periodi successivi.Il governo intende sfruttare queste imposte come fonte di gettito straordinario. La Legge di Bilancio 2025 approvata a fine 2024 ha già previsto un «posticipo delle deduzioni fiscali» legate alle Dta per il 2025 e 2026, con un gettito stimato di circa 3,5 miliardi di euro. In pratica, anziché disporre subito di grosse deduzioni fiscali in quei due anni, le banche le recupereranno gradualmente solo a partire dal 2027. Ora, dunque, si sta valutando un ulteriore intervento sulle Dta, dopo quello della scorsa legge di bilancio. Tutto questo, va detto, non ha nulla a che vedere con la tassa sugli extraprofitti bancari, gabella che l’esecutivo non intende riproporre. Ad ogni modo, sul contributo delle banche alla manovra di quest’anno non ci sono dettagli ufficiali, ma l’idea sarebbe simile a quella del 2024: sospendere o anticipare deduzioni fiscali già maturate. Le risorse recuperate verrebbero dedicate in parte al taglio delle tasse sul lavoro (ad esempio una flat tax su straordinari e festivi), e in parte a finanziare altre spese chiave (pensioni minime, bonus figli, ecc.).Si cerca, dunque, di coprire il fabbisogno della manovra senza aumentare il prelievo fiscale sugli altri settori e senza superare i vincoli Ue. L’obiettivo del dl programmatico di bilancio punta a ridurre il deficit/Pil al 3,3% nel 2025 (e 2,8% nel 2026). C’è, però, chi fa notare che si tratta di un semplice rinvio delle tasse già dovute (non un prelievo sulle riserve di capitale), e che nel medio periodo tutto tornerà alle banche. C’è poi la misura legata alla rimodulazione dell’Irpef per i redditi fini a 60.000 euro. Qui l’obiettivo è alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, finora poco interessato dai precedenti interventi. Negli ultimi anni, infatti, la riduzione del cuneo fiscale e la riforma degli scaglioni avevano generato risparmi fino a 1.000 euro annui per i redditi fino a 40.000 euro, senza effetti significativi per i contribuenti delle fasce superiori. L’ipotesi ora allo studio prevede la riduzione dell’aliquota intermedia dall’attuale 35% al 33%. Contestualmente, si valutano modifiche all’ampiezza dello scaglione: oggi il 35% si applica ai redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro, ma il governo intende estendere la soglia massima a 60.000 euro, così da ricomprendere una platea più ampia di lavoratori dipendenti e autonomi. Il costo complessivo dell’operazione è stimato intorno ai 4 miliardi di euro. Tuttavia, qualora l’estensione venisse limitata ai redditi fino a 50.000 euro – mantenendo quindi invariata la fascia oltre tale soglia – l’impatto finanziario si ridurrebbe sensibilmente.Le simulazioni preliminari quantificano i benefici attesi in funzione del reddito lordo complessivo. Con un’aliquota al 33% applicata fino a 60.000 euro, un contribuente con reddito di 30.000 euro avrebbe un risparmio contenuto, nell’ordine di 40 euro annui. Via via che aumenta il reddito, il vantaggio cresce progressivamente: si stima un beneficio massimo intorno a 1.440 euro l’anno per chi dichiara 60.000 euro, poiché l’intera fascia imponibile tra 28.000 e 60.000 euro verrebbe tassata al 33% anziché al 35%. Inoltre, dal punto di vista tecnico, la misura non modifica né la no tax area né gli scaglioni inferiori (23% fino a 28.000 euro), ma interviene esclusivamente sulla seconda fascia. Infine, una proposta del ministro Matteo Salvini punterebbe a eliminare la prima casa dal calcolo dell’Isee, un’altra norma pensata per il ceto medio. Così facendo, l’Isee si abbasserebbe e il ceto medio avrebbe più possibilità di ottenere benefici non previsti per chi ha un indicatore della situazione economica troppo elevato.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)