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2023-07-03
Bambini scomparsi
Il 10 giugno scorso una bambina è scomparsa in pieno giorno dal palazzo in cui viveva con la madre.
La bambina si chiama Kataleya Alvarez e da quel giorno di lei non si sa più nulla. Ha 5 anni. Ed è stata rapita verso le tre del pomeriggio. L’edificio dove alloggiava è l’ex hotel Astor a Firenze. Alle porte del centro città. Accanto ai capolavori monumentali di Giotto, Brunelleschi, Ghiberti. Accanto alla inverosimile bellezza del Ponte Vecchio e alla struggente meraviglia della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Accanto a questo ensemble di bellezze che ogni anno appaga l’anima di migliaia di visitatori. Come possa una creatura sparire dal cuore di una città tanto viva come Firenze, con il vocio della gente che si propaga nelle strade, sarebbe interessante saperlo.
Ma la realtà è che quella palazzina è un edificio interamente occupato da immigrati che pagavano il pizzo ai gestori del racket. Realtà lasciate allo sbando, volutamente sottaciute, dove tutti vedono ma nessuno parla.
C’è voluto il sequestro di una bimba per portare all’attenzione delle istituzioni una realtà vergognosa che si consuma dentro quelle mura.
Ma ormai i sequestri dei bambini, compiuti o tentati, avvengono sotto gli occhi di tutti. Pieno centro. Pieno giorno. Il padre di Kata ha chiamato i giornalisti da tutto il mondo. Dov’è finita mia figlia? Che fine ha fatto? Domande che rimbombano nella testa dei genitori fino a spaccarla. Bambini che spariscono così nel nulla senza lasciare traccia. Genitori che devono avere non due, ma mille occhi perché basta una frazione di secondo. Il 21 maggio scorso in piazza Gae Aulenti a Milano, una donna marocchina ha tentato di rapire un bimbo di 2 anni. Tutto è accaduto in pochissimi secondi.
Anche qui, pieno giorno, pieno centro, alle sei e mezza del pomeriggio, in una piazza che non è un sobborgo di periferia, con favelas, baraccopoli, baracche e abitazioni precarie; ma è una piazza pedonale, sopraelevata, a forma circolare, circondata da vari edifici come il complesso Unicredit. In più è unita a corso Como, una delle strade più vitali di Milano, con negozi, bar, ristoranti.
Il piccolo si trovava in piazza assieme ai genitori e al fratellino di sette. Con loro c’era anche un’amica di famiglia con un altro bimbo di anni otto. Le due mamme erano in gelateria, il padre era fuori ad attendere, e nel mentre sorvegliava i tre piccoli che erano a pochi metri di distanza, si è accostata una donna.
La ventiduenne di origini nordafricane si è avvicinata ai bimbi, ha detto loro qualcosa, pronunciando «frasi senza sconnesse, senza senso», rivelano fonti della Verità, e poi di scatto ha afferrato il più piccolo dei tre bambini ed è corsa via.
È stata la prontezza di riflessi del padre del bimbo a sventare il peggio. Ma non è il solo caso.
Giusto un mese fa c’è stato un altro episodio. Questa volta a Vercelli in Piemonte. Una donna di 30 anni ha tentato di rapire una neonata di 4 mesi in una chiesa in pieno centro. Anche qui è stata la prontezza dei riflessi della madre a evitare la disgrazia e la donna è stata arrestata e indiziata di tentato sequestro di persona, sottrazione di persone incapaci e violenza privata.
Ma è il 22 aprile scorso quando un uomo di 50 anni a Fiumicino (Roma) ha tentato di rapire un bimbo di 8 anni. Il peggior incubo. Il rapimento del proprio figlio nel proprio giardino di casa.
Secondo quanto raccontato agli investigatori, il bambino stava giocando nel cortile della abitazione dove vive con i genitori, quando uno sconosciuto all’improvviso si è avvicinato. Ha parcheggiato l’auto lungo la strada, è sceso dalla vettura e introdottosi nel giardino ha afferrato il piccolo per un braccio e lo ha trascinato con forza fino alla macchina. È stato il bambino a salvarsi da solo. Il piccolo si è divincolato ed è scappato tornando a casa dove la madre era già in preda al panico.
E andiamo al 4 giugno scorso quando a Ferrara in piazza Castellina, anche qui a due passi dal centro storico, un uomo di 25 anni, indiano, ha cercato di rapire una bimba di 3 strappandola dalle braccia della madre. Solo la nonna coraggio di 43 anni è riuscita a evitare il peggio. La nonna, in gamba per fortuna, ha inseguito l’uomo fin dentro la stazione e lo ha messo con le spalle al muro. L’indiano puntava a salire su un treno per Venezia ma la nonna lo ha bloccato. Ha iniziato a urlare. La gente si è fermata. E alla fine il venticinquenne è stato arrestato dai carabinieri. Ci piacerebbe sapere quanti giorni di galera fanno questi ladri di bambini.
La riforma Cartabia ha introdotto la querela di parte anche per il reato di sequestro di persona, «facendo tuttavia salva la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità». Almeno questo. Alleluia.
Anche a Monza pochi giorni dopo il tentato rapimento del bimbo a Milano in piazza Gae Aulenti, una bimba di 8 anni è finita nel mirino dei manigoldi. A denunciare il fatto sono stati i genitori stessi. La piccola stava passeggiando in strada a Correzzana, un comune di appena tremila anime in provincia di Monza e Brianza, con due amichette dopo una festa di compleanno, quando una donna, a bordo di un’auto, che indossava il velo islamico, avrebbe tentato di trascinarla dentro la vettura. Stando al racconto delle ragazzine in auto c’era anche un uomo. Qui la piccola si è salvata grazie all’intervento delle amiche. E la notizia ha messo tutti in allerta. Anche perché Correzzana, dicono, è un paesino molto tranquillo dove non era mai accaduto niente di simile. Qualche padre e qualche madre preoccupati, hanno lanciato consigli nei gruppi social e nelle chat su whatsapp, «si sta avvicinando la bella stagione e noi tutte, con i nostri figli, passeremo più tempo nei parchetti e all’aperto. Posti molto gettonati per queste cose. Basta davvero un attimo, fate attenzione». Già.
E infatti questi racconti sembrano rievocare tempi andati.
Episodi che parevano essersi fermati e che invece aumentano in modo considerevole, soprattutto negli ultimi mesi. Già anni addietro se ne parlava. Nel 2010 a Bologna un uomo del Bangladesh tentò di rapire un bambino di 3 anni. L’episodio scosse parecchio la città. Il piccolo stava camminando con la madre in via Albertoni accanto al policlinico Sant’Orsola. La donna stava tenendo per mano il figlio quando lo straniero afferrò il bimbo tenendolo per il braccio e tentò di strapparlo a colei che lo aveva messo al mondo. Attimi di terrore e panico, anche perché se i farabutti riescono nell’intento, cosa fai? Chi chiami?
Anche qui furono le grida della madre ad attirare l’attenzione. Ma è proprio nel mentre finiamo di scrivere questo pezzo, che giunge la notizia di un altro tentativo di rapimento a Milano. Uno sconosciuto, il 22 giugno scorso, ha cercato di rapire una bimba di 4 anni mentre era al parco Vergani con la baby sitter. E stata lei a evitare il peggio. L’uomo è scappato.
Sono quasi sempre maschi, molte volte stranieri. L’identikit dei bimbi fantasma
Angela Celentano, Denise Pipitone, Mauro Romano, Sergio Isidori, Mariano Farina e Salvatore Colletta, Alessia e Livia Schepp, Emanuela Orlandi. Sono solo alcuni dei casi più eclatanti di bambini spariti, sospesi nel nulla, alcuni scomparsi alla luce del giorno, inghiottiti nel buio. Bambini che ora sono, sarebbero, uomini, donne, adulti appunto. Per i genitori, per le cronache, rimangono sempre piccoli, anche se crescono.
La vita che avanti, che continua, questi bambini per sempre, finiti chissà dove e quelle famiglie spezzate in cerca di un appiglio per far sì che il punto interrogativo sciolga la sua zavorra e diventi esclamativo. O tragicamente un punto.
Stando al dossier «I bambini invisibili» realizzato da Telefono Azzurro, in Italia ogni giorno vengono denunciate in media circa 47 scomparse di bambini, di cui 36 sono stranieri e 11 sono di origine italiana.
In Europa, pensate, si registrano circa 250.000 casi di bambini scomparsi, uno ogni due minuti.
Dati presenti nel Centro elaborazione dati del ministero dell’Interno, certificano che nel 2021 i minori scomparsi sono stati in totale 12.117 di cui il 3.324 italiani e 8.793 stranieri. Un aumento considerevole rispetto all’anno precedente.
Nel 2020 le persone scomparse, infatti, sono state 13.527 persone, di cui 7.672 minori: di questi, solo il 43% è stato rintracciato (3.322). Chi non viene ritrovato finisce nelle file dello sfruttamento, della tratta degli esseri umani, della violenza.
Sempre secondo Telefono Azzurro l’anno scorso sono state presentate denunce per la scomparsa di 17.130 minori.
E di queste, 14.410 riguardano ragazzi tra i 15 e i 17 anni. L’età dell’adolescenza, quella che ti fa sentire grande, ma sei ancora piccolo.
Degli oltre 17.000 bambini di cui non si ha più notizia, il 75,90% riguarda stranieri e il 24,10% italiani. Di questi il 72,11% viene ritrovato, ma solo il 31,17% riguarda gli stranieri.
Il numero maggiore di denunce per i bambini scomparsi è quello di egiziani e tunisini, ossia il 43,61% di tutti i casi di scomparsa di minori stranieri.
La maggior parte è di sesso maschile (91,33%). Dal 2021 al 2022 l’incremento è stato del 47,86% per i minori stranieri e del 24,18% per i minori italiani.
Se ci concentriamo sui primi quattro mesi del 2023, sempre in Italia, i minori scomparsi sono 5.908. Di questi ne sono stati ritrovati 2.423.
Gli italiani scomparsi da gennaio ad aprile sono 1.319. Di questi, 974 hanno fatto ritorno a casa, ma degli 345 ancora non si sa nulla. Di stranieri ne mancano 3.140, su 4.589 scomparsi. Numeri impressionanti che fanno rabbrividire e i brividi corrono ancora di più se si analizzano i dati dal primo gennaio 1974 fino al 31 dicembre 2020. Il ventiquattresimo report del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, stima che in questo poco meno di mezzo secolo sono sparite in Italia, 258.552 persone (di 62.842 non c’è più traccia anche dopo anni) e circa il 53% di loro è minorenne.
In questo arco temporale, 136.884 sono state le denunce di scomparsa di minori: 43.655 di nazionalità italiana e 93.229 stranieri. Che fine fanno?
Sergio Isidori aveva 5 anni e mezzo quando è scomparso, da Villa Potenza, in provincia di Macerata, dove viveva con la sua famiglia. Era il 23 aprile 1979. Oggi avrebbe 49 anni.
Denise Pipitone è scomparsa misteriosamente da Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, l’1 settembre del 2004, all’età di 4 anni e non è mai stata ritrovata. La mamma della piccola, Piera Maggio, non ha mai smesso di cercarla. Mauro Romano aveva 6 anni quando venne rapito davanti casa dei nonni a Recale, in Salento. Era il 21 giugno 1977.
Se si va sul sito Gmcn (Global missing children network) una rete internazionale il cui scopo è quello di fornire un aiuto al ritrovamento dei minori scomparsi, e si effettua una ricerca, la maggior parte in Italia riguarda stranieri. Ma c’è anche Pasquale Porfidia, scomparso a 8 anni da Marcianise, in provincia di Caserta. Era la mattina del 7 maggio 1990. Oggi avrebbe 41 anni.
Angela Celentano: 27 anni di incubo
Era il 10 agosto 1996. Tra poco più di un mese saranno passati 27 anni. Quel giorno, alcune persone della comunità evangelica di Vico Equense, città della penisola sorrentina, tra il golfo di Napoli e quello di Salerno, si ritrovarono, come ogni anno, per una gita sul monte Faito.
Tra loro c’è anche una bambina di tre anni. È lì, insieme agli altri bimbi che gioca. I capelli riccioli neri, quegli occhioni grandi come gocce d’inchiostro, la maglietta azzurrina e un paio di pantaloncini rosa. Le ultime immagini che si conservano di lei, la mostrano in quello che doveva essere un sabato pieno di gioia. Ma alle 13 il padre si accorge che la figlioletta non c’è più. La bambina si chiama Angela Celentano e da quel giorno di lei non c’è più nessuna traccia. Sparita. Scomparsa. Volatilizzata nel nulla.
Tutte le persone presenti quel giorno iniziano a cercarla, la zona è molto affollata, ma nessuno sembra averla vista. Che fine ha fatto Angela? Com’è possibile che una bambina nel mezzo di un picnic con tutte quelle persone sparisca così, lasciando ai genitori anni di angoscia e disperazione. Diventa una culla il dolore, dove la speranza è sempre accesa, ma la rassegnazione è sempre lì, pronta, che ti aspetta la sera. Quel giorno arrivano tutti: carabinieri, guardia di finanza, polizia, esercito, unità cinofile, elicotteri, raggi infrarossi, cani volpe, perfino i cavalli per avvistare le persone al buio. Per scongiurare una eventuale caduta della piccola, intervengono anche speleologi e rocciatori. La zona viene setacciata con fare chirurgico. I carabinieri di Vico Equense ascoltano i testimoni, guardano e riguardano quelle ultime immagini di quel filmato girato poco prima che il padre si accorgesse della assenza della figlia, ma niente, Angela non si trova. I giorni seguenti arrivano molte segnalazioni, quasi tutte anonime e alcune case e ville della zona vengono perquisite.
Il 19 agosto arriva una telefonata a casa dei genitori. Si sente solo il pianto disperato di una bambina. È Angela? La speranza in quel frangente si fa più viva, i genitori non sanno che il tunnel durerà anche per gli anni a venire.
Nell’audio si sente la voce di una bambina e in sottofondo forse quella di un uomo.
Il papà di Angela, Catello Celentano, dice: «Pronto, pronto». Lo ripete più volte quel «pronto», come a voler infilare la mano dentro al telefono. Come a voler sentire la figlia, a sentirla ancora una volta. Poi il silenzio. Il telefono viene riagganciato e nessuna richiesta. Nessuna domanda. La voce non è mai stata riconosciuta con chiarezza.
Le indagini proseguono per anni ed è il 2009, quando salta fuori l’ipotesi di una pista turca. Una blogger racconta di aver saputo che la ragazza fosse ancora viva e si trovasse in Turchia. La magistratura italiana tramite una rogatoria internazionale riuscì a interrogare un uomo che avrebbe tenuto Angela segregata, ma le indagini si risolsero con un nulla di fatto. Nel 2010 sul sito angelacelentano.com, il sito realizzato dalla famiglia per raccogliere segnalazioni, arriva una mail di una ragazza messicana Celeste Ruiz che dice di poter essere Angela. Ma si scoprì che dietro la giovane messicana in realtà vi era un uomo. Poi fu la volta della pista francese. Ma anche qui nulla di fatto. E poi l’estate scorsa. Una ragazza venezuelana presenta una spiccata somiglianza con la bambina, compresa quella voglia sulla schiena che ha Angela. Viene eseguito il test del Dna. A febbraio scorso arrivano i risultati. Non è lei. L’11 giugno scorso Angela ha compiuto 30 anni. Il sito tenuto in vita dai genitori segna un tracciato indelebile di questa, ormai donna. «Ti riconosci», c’è scritto accanto alla foto della figlia, «se hai dubbi sulla tua identità e pensi di essere Angela, contattaci». Angela oggi avrebbe i capelli castani, forse lunghi, quel viso ovale, dolce. Quegli occhi ancora neri come gocce d’inchiostro.
Ad oggi il caso non è stato risolto.
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Ogni giorno, in Italia, 47 minori svaniscono nel nulla. In alcuni casi, l’allarme rientra dopo poche ore, in altri non se ne sa più niente. E negli ultimi tempi stanno aumentando i casi di tentativi di rapimento casuali, in pieno giorno: piccoli strappati dalle mani dei genitori da sbandati animati dalle peggiori intenzioni.Dal 1974 fino al 2020 si sono perse le tracce di 258.552 persone. E circa il 53% di loro è minorenne. In tutta Europa ne manca all’appello uno ogni due minuti.La sparizione di Angela Celentano risale al 1996, durante una scampagnata sul monte Faito con la famiglia. Da allora vagliate molte piste, tutte senza esiti. Però la speranza è rimasta viva.Lo speciale contiene tre articoli.Il 10 giugno scorso una bambina è scomparsa in pieno giorno dal palazzo in cui viveva con la madre.La bambina si chiama Kataleya Alvarez e da quel giorno di lei non si sa più nulla. Ha 5 anni. Ed è stata rapita verso le tre del pomeriggio. L’edificio dove alloggiava è l’ex hotel Astor a Firenze. Alle porte del centro città. Accanto ai capolavori monumentali di Giotto, Brunelleschi, Ghiberti. Accanto alla inverosimile bellezza del Ponte Vecchio e alla struggente meraviglia della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Accanto a questo ensemble di bellezze che ogni anno appaga l’anima di migliaia di visitatori. Come possa una creatura sparire dal cuore di una città tanto viva come Firenze, con il vocio della gente che si propaga nelle strade, sarebbe interessante saperlo.Ma la realtà è che quella palazzina è un edificio interamente occupato da immigrati che pagavano il pizzo ai gestori del racket. Realtà lasciate allo sbando, volutamente sottaciute, dove tutti vedono ma nessuno parla.C’è voluto il sequestro di una bimba per portare all’attenzione delle istituzioni una realtà vergognosa che si consuma dentro quelle mura. Ma ormai i sequestri dei bambini, compiuti o tentati, avvengono sotto gli occhi di tutti. Pieno centro. Pieno giorno. Il padre di Kata ha chiamato i giornalisti da tutto il mondo. Dov’è finita mia figlia? Che fine ha fatto? Domande che rimbombano nella testa dei genitori fino a spaccarla. Bambini che spariscono così nel nulla senza lasciare traccia. Genitori che devono avere non due, ma mille occhi perché basta una frazione di secondo. Il 21 maggio scorso in piazza Gae Aulenti a Milano, una donna marocchina ha tentato di rapire un bimbo di 2 anni. Tutto è accaduto in pochissimi secondi. Anche qui, pieno giorno, pieno centro, alle sei e mezza del pomeriggio, in una piazza che non è un sobborgo di periferia, con favelas, baraccopoli, baracche e abitazioni precarie; ma è una piazza pedonale, sopraelevata, a forma circolare, circondata da vari edifici come il complesso Unicredit. In più è unita a corso Como, una delle strade più vitali di Milano, con negozi, bar, ristoranti.Il piccolo si trovava in piazza assieme ai genitori e al fratellino di sette. Con loro c’era anche un’amica di famiglia con un altro bimbo di anni otto. Le due mamme erano in gelateria, il padre era fuori ad attendere, e nel mentre sorvegliava i tre piccoli che erano a pochi metri di distanza, si è accostata una donna.La ventiduenne di origini nordafricane si è avvicinata ai bimbi, ha detto loro qualcosa, pronunciando «frasi senza sconnesse, senza senso», rivelano fonti della Verità, e poi di scatto ha afferrato il più piccolo dei tre bambini ed è corsa via.È stata la prontezza di riflessi del padre del bimbo a sventare il peggio. Ma non è il solo caso.Giusto un mese fa c’è stato un altro episodio. Questa volta a Vercelli in Piemonte. Una donna di 30 anni ha tentato di rapire una neonata di 4 mesi in una chiesa in pieno centro. Anche qui è stata la prontezza dei riflessi della madre a evitare la disgrazia e la donna è stata arrestata e indiziata di tentato sequestro di persona, sottrazione di persone incapaci e violenza privata.Ma è il 22 aprile scorso quando un uomo di 50 anni a Fiumicino (Roma) ha tentato di rapire un bimbo di 8 anni. Il peggior incubo. Il rapimento del proprio figlio nel proprio giardino di casa.Secondo quanto raccontato agli investigatori, il bambino stava giocando nel cortile della abitazione dove vive con i genitori, quando uno sconosciuto all’improvviso si è avvicinato. Ha parcheggiato l’auto lungo la strada, è sceso dalla vettura e introdottosi nel giardino ha afferrato il piccolo per un braccio e lo ha trascinato con forza fino alla macchina. È stato il bambino a salvarsi da solo. Il piccolo si è divincolato ed è scappato tornando a casa dove la madre era già in preda al panico. E andiamo al 4 giugno scorso quando a Ferrara in piazza Castellina, anche qui a due passi dal centro storico, un uomo di 25 anni, indiano, ha cercato di rapire una bimba di 3 strappandola dalle braccia della madre. Solo la nonna coraggio di 43 anni è riuscita a evitare il peggio. La nonna, in gamba per fortuna, ha inseguito l’uomo fin dentro la stazione e lo ha messo con le spalle al muro. L’indiano puntava a salire su un treno per Venezia ma la nonna lo ha bloccato. Ha iniziato a urlare. La gente si è fermata. E alla fine il venticinquenne è stato arrestato dai carabinieri. Ci piacerebbe sapere quanti giorni di galera fanno questi ladri di bambini.La riforma Cartabia ha introdotto la querela di parte anche per il reato di sequestro di persona, «facendo tuttavia salva la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità». Almeno questo. Alleluia. Anche a Monza pochi giorni dopo il tentato rapimento del bimbo a Milano in piazza Gae Aulenti, una bimba di 8 anni è finita nel mirino dei manigoldi. A denunciare il fatto sono stati i genitori stessi. La piccola stava passeggiando in strada a Correzzana, un comune di appena tremila anime in provincia di Monza e Brianza, con due amichette dopo una festa di compleanno, quando una donna, a bordo di un’auto, che indossava il velo islamico, avrebbe tentato di trascinarla dentro la vettura. Stando al racconto delle ragazzine in auto c’era anche un uomo. Qui la piccola si è salvata grazie all’intervento delle amiche. E la notizia ha messo tutti in allerta. Anche perché Correzzana, dicono, è un paesino molto tranquillo dove non era mai accaduto niente di simile. Qualche padre e qualche madre preoccupati, hanno lanciato consigli nei gruppi social e nelle chat su whatsapp, «si sta avvicinando la bella stagione e noi tutte, con i nostri figli, passeremo più tempo nei parchetti e all’aperto. Posti molto gettonati per queste cose. Basta davvero un attimo, fate attenzione». Già.E infatti questi racconti sembrano rievocare tempi andati. Episodi che parevano essersi fermati e che invece aumentano in modo considerevole, soprattutto negli ultimi mesi. Già anni addietro se ne parlava. Nel 2010 a Bologna un uomo del Bangladesh tentò di rapire un bambino di 3 anni. L’episodio scosse parecchio la città. Il piccolo stava camminando con la madre in via Albertoni accanto al policlinico Sant’Orsola. La donna stava tenendo per mano il figlio quando lo straniero afferrò il bimbo tenendolo per il braccio e tentò di strapparlo a colei che lo aveva messo al mondo. Attimi di terrore e panico, anche perché se i farabutti riescono nell’intento, cosa fai? Chi chiami?Anche qui furono le grida della madre ad attirare l’attenzione. Ma è proprio nel mentre finiamo di scrivere questo pezzo, che giunge la notizia di un altro tentativo di rapimento a Milano. Uno sconosciuto, il 22 giugno scorso, ha cercato di rapire una bimba di 4 anni mentre era al parco Vergani con la baby sitter. E stata lei a evitare il peggio. L’uomo è scappato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bambini-scomparsi-2662217185.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sono-quasi-sempre-maschi-molte-volte-stranieri-lidentikit-dei-bimbi-fantasma" data-post-id="2662217185" data-published-at="1688388168" data-use-pagination="False"> Sono quasi sempre maschi, molte volte stranieri. L’identikit dei bimbi fantasma Angela Celentano, Denise Pipitone, Mauro Romano, Sergio Isidori, Mariano Farina e Salvatore Colletta, Alessia e Livia Schepp, Emanuela Orlandi. Sono solo alcuni dei casi più eclatanti di bambini spariti, sospesi nel nulla, alcuni scomparsi alla luce del giorno, inghiottiti nel buio. Bambini che ora sono, sarebbero, uomini, donne, adulti appunto. Per i genitori, per le cronache, rimangono sempre piccoli, anche se crescono. La vita che avanti, che continua, questi bambini per sempre, finiti chissà dove e quelle famiglie spezzate in cerca di un appiglio per far sì che il punto interrogativo sciolga la sua zavorra e diventi esclamativo. O tragicamente un punto. Stando al dossier «I bambini invisibili» realizzato da Telefono Azzurro, in Italia ogni giorno vengono denunciate in media circa 47 scomparse di bambini, di cui 36 sono stranieri e 11 sono di origine italiana. In Europa, pensate, si registrano circa 250.000 casi di bambini scomparsi, uno ogni due minuti. Dati presenti nel Centro elaborazione dati del ministero dell’Interno, certificano che nel 2021 i minori scomparsi sono stati in totale 12.117 di cui il 3.324 italiani e 8.793 stranieri. Un aumento considerevole rispetto all’anno precedente. Nel 2020 le persone scomparse, infatti, sono state 13.527 persone, di cui 7.672 minori: di questi, solo il 43% è stato rintracciato (3.322). Chi non viene ritrovato finisce nelle file dello sfruttamento, della tratta degli esseri umani, della violenza. Sempre secondo Telefono Azzurro l’anno scorso sono state presentate denunce per la scomparsa di 17.130 minori. E di queste, 14.410 riguardano ragazzi tra i 15 e i 17 anni. L’età dell’adolescenza, quella che ti fa sentire grande, ma sei ancora piccolo. Degli oltre 17.000 bambini di cui non si ha più notizia, il 75,90% riguarda stranieri e il 24,10% italiani. Di questi il 72,11% viene ritrovato, ma solo il 31,17% riguarda gli stranieri. Il numero maggiore di denunce per i bambini scomparsi è quello di egiziani e tunisini, ossia il 43,61% di tutti i casi di scomparsa di minori stranieri. La maggior parte è di sesso maschile (91,33%). Dal 2021 al 2022 l’incremento è stato del 47,86% per i minori stranieri e del 24,18% per i minori italiani. Se ci concentriamo sui primi quattro mesi del 2023, sempre in Italia, i minori scomparsi sono 5.908. Di questi ne sono stati ritrovati 2.423. Gli italiani scomparsi da gennaio ad aprile sono 1.319. Di questi, 974 hanno fatto ritorno a casa, ma degli 345 ancora non si sa nulla. Di stranieri ne mancano 3.140, su 4.589 scomparsi. Numeri impressionanti che fanno rabbrividire e i brividi corrono ancora di più se si analizzano i dati dal primo gennaio 1974 fino al 31 dicembre 2020. Il ventiquattresimo report del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, stima che in questo poco meno di mezzo secolo sono sparite in Italia, 258.552 persone (di 62.842 non c’è più traccia anche dopo anni) e circa il 53% di loro è minorenne. In questo arco temporale, 136.884 sono state le denunce di scomparsa di minori: 43.655 di nazionalità italiana e 93.229 stranieri. Che fine fanno? Sergio Isidori aveva 5 anni e mezzo quando è scomparso, da Villa Potenza, in provincia di Macerata, dove viveva con la sua famiglia. Era il 23 aprile 1979. Oggi avrebbe 49 anni. Denise Pipitone è scomparsa misteriosamente da Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, l’1 settembre del 2004, all’età di 4 anni e non è mai stata ritrovata. La mamma della piccola, Piera Maggio, non ha mai smesso di cercarla. Mauro Romano aveva 6 anni quando venne rapito davanti casa dei nonni a Recale, in Salento. Era il 21 giugno 1977. Se si va sul sito Gmcn (Global missing children network) una rete internazionale il cui scopo è quello di fornire un aiuto al ritrovamento dei minori scomparsi, e si effettua una ricerca, la maggior parte in Italia riguarda stranieri. Ma c’è anche Pasquale Porfidia, scomparso a 8 anni da Marcianise, in provincia di Caserta. Era la mattina del 7 maggio 1990. 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Le ultime immagini che si conservano di lei, la mostrano in quello che doveva essere un sabato pieno di gioia. Ma alle 13 il padre si accorge che la figlioletta non c’è più. La bambina si chiama Angela Celentano e da quel giorno di lei non c’è più nessuna traccia. Sparita. Scomparsa. Volatilizzata nel nulla. Tutte le persone presenti quel giorno iniziano a cercarla, la zona è molto affollata, ma nessuno sembra averla vista. Che fine ha fatto Angela? Com’è possibile che una bambina nel mezzo di un picnic con tutte quelle persone sparisca così, lasciando ai genitori anni di angoscia e disperazione. Diventa una culla il dolore, dove la speranza è sempre accesa, ma la rassegnazione è sempre lì, pronta, che ti aspetta la sera. Quel giorno arrivano tutti: carabinieri, guardia di finanza, polizia, esercito, unità cinofile, elicotteri, raggi infrarossi, cani volpe, perfino i cavalli per avvistare le persone al buio. Per scongiurare una eventuale caduta della piccola, intervengono anche speleologi e rocciatori. La zona viene setacciata con fare chirurgico. I carabinieri di Vico Equense ascoltano i testimoni, guardano e riguardano quelle ultime immagini di quel filmato girato poco prima che il padre si accorgesse della assenza della figlia, ma niente, Angela non si trova. I giorni seguenti arrivano molte segnalazioni, quasi tutte anonime e alcune case e ville della zona vengono perquisite. Il 19 agosto arriva una telefonata a casa dei genitori. Si sente solo il pianto disperato di una bambina. È Angela? La speranza in quel frangente si fa più viva, i genitori non sanno che il tunnel durerà anche per gli anni a venire. Nell’audio si sente la voce di una bambina e in sottofondo forse quella di un uomo. Il papà di Angela, Catello Celentano, dice: «Pronto, pronto». Lo ripete più volte quel «pronto», come a voler infilare la mano dentro al telefono. Come a voler sentire la figlia, a sentirla ancora una volta. Poi il silenzio. Il telefono viene riagganciato e nessuna richiesta. Nessuna domanda. La voce non è mai stata riconosciuta con chiarezza. Le indagini proseguono per anni ed è il 2009, quando salta fuori l’ipotesi di una pista turca. Una blogger racconta di aver saputo che la ragazza fosse ancora viva e si trovasse in Turchia. La magistratura italiana tramite una rogatoria internazionale riuscì a interrogare un uomo che avrebbe tenuto Angela segregata, ma le indagini si risolsero con un nulla di fatto. Nel 2010 sul sito angelacelentano.com, il sito realizzato dalla famiglia per raccogliere segnalazioni, arriva una mail di una ragazza messicana Celeste Ruiz che dice di poter essere Angela. Ma si scoprì che dietro la giovane messicana in realtà vi era un uomo. Poi fu la volta della pista francese. Ma anche qui nulla di fatto. E poi l’estate scorsa. Una ragazza venezuelana presenta una spiccata somiglianza con la bambina, compresa quella voglia sulla schiena che ha Angela. Viene eseguito il test del Dna. A febbraio scorso arrivano i risultati. Non è lei. L’11 giugno scorso Angela ha compiuto 30 anni. Il sito tenuto in vita dai genitori segna un tracciato indelebile di questa, ormai donna. «Ti riconosci», c’è scritto accanto alla foto della figlia, «se hai dubbi sulla tua identità e pensi di essere Angela, contattaci». Angela oggi avrebbe i capelli castani, forse lunghi, quel viso ovale, dolce. Quegli occhi ancora neri come gocce d’inchiostro. Ad oggi il caso non è stato risolto.
i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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Getty Images
Nel 2025 la pirateria torna a imporsi come una minaccia fluida, che si adatta ad ogni situazione, capace di sfruttare ogni varco lasciato aperto nel fragile equilibrio della sicurezza marittima globale. Due aree, più di altre, raccontano questa nuova stagione di attacchi: il Golfo di Guinea e l’Oceano Indiano. Non si tratta più di fenomeni isolati come mostrano i report di Praesidium, società che si occupa di intelligence marittima, né di improvvise fiammate criminali. È un ecosistema in movimento, che segue logiche precise, approfitta delle lacune statali, cavalca il maltempo o il suo contrario, e ridisegna continuamente la mappa del rischio.
Nel Golfo di Guinea, l’andamento dell’anno ha mostrato un susseguirsi di incursioni che sembrano quasi seguire una traiettoria invisibile. All’inizio la pressione è stata particolarmente intensa nel settore orientale, tra Gabon, Guinea Equatoriale e São Tomé e Príncipe. L’attacco del 31 gennaio al peschereccio Amerger VII ha inaugurato la stagione. Tre membri dell’equipaggio sono finiti nelle mani dei pirati a poche miglia da Owendo, un episodio che ha posto subito il tema dell’audacia dei gruppi criminali e della loro capacità di muoversi vicino alle acque territoriali. Interessante notare che la stessa imbarcazione era già stata attaccata nella stessa area nel 2020.
Pochi giorni dopo, l’abbordaggio della Jsp Vento, nella Zona economica esclusiva (Zee) della Repubblica della Guinea Equatoriale, ha mostrato un altro tratto distintivo della pirateria del 2025: attacchi rapidi e condotti contro navi senza scorta, dove gli equipaggi sono spesso lasciati a loro stessi visti i lunghi tempi di reazione delle autorità locali. In questo caso i pirati hanno abbandonato la nave dopo essere stati avvistati dall’equipaggio. A marzo l’escalation si è fatta più chiara. L’incursione alla petroliera Bitu River, al largo di São Tomé, è durata ore e ha incluso la violazione della cittadella, con i pirati che sono riusciti a prendere in ostaggio diversi membri dell’equipaggio e a fuggire. Il trasferimento degli ostaggi in Nigeria e il loro rilascio settimane dopo suggeriscono canali consolidati, territori di appoggio e una filiera criminale ben riconoscibile.
La traiettoria della minaccia è poi scivolata verso ovest, raggiungendo il Ghana, dove a fine marzo il peschereccio Meng Xin 1 è stato assaltato e tre marittimi sono stati rapiti e trasportati nel Delta del Niger, cuore storico delle milizie locali. In quest’area, simili episodi ai danni di pescherecci sono stati in passato ricondotti a dispute locali o ad azioni di ritorsione. Tuttavia, il fatto che gli assalitori comunicassero in pidgin english nigeriano richiama il modus operandi tipico dei sequestri a scopo di riscatto riconducibili alla pirateria nigeriana, lasciando aperta l’ipotesi di un’evoluzione dell’evento in tale contesto.
Il vero punto di svolta è arrivato il 21 aprile, quando la Sea Panther è stata abbordata a oltre 130 miglia da Brass. L’episodio ha segnato il ritorno ufficiale della pirateria all’interno della Zee nigeriana, un territorio che non registrava attacchi confermati dal 2021. Per gli analisti si è trattato della prova definitiva che la pressione militare degli anni precedenti si è attenuata, lasciando di nuovo spazio a cellule in grado di spingersi in acque profonde. Poche settimane dopo, a fine maggio, l’assalto alla Orange Frost nella zona di sviluppo congiunto tra Nigeria e São Tomé ha completato il quadro, mostrando come i gruppi criminali siano capaci di colpire anche aree formalmente pattugliate da due Stati.
L’estate ha portato una calma apparente, dissoltasi con l’arrivo di nuovi episodi a partire da agosto, quando il tentativo di sequestro della Endo Ponente è stato sventato dalla pronta ritirata nella cittadella da parte dell’equipaggio, che è rimasto all’interno fino all’intervento delle forze navali avvenuto comunque ore dopo l’attacco. Un altro tentato attacco è stato registrato nella regione occidentale del Golfo in ottobre contro la Alfred Temile 10 al largo del Benin. A novembre la minaccia è tornata a concentrarsi a est, dove la Ual Africa è stata presa di mira al confine tra la Zee di São Tomé e Principe e quella della Guinea Equatoriale: l’equipaggio ha resistito chiudendosi in un’area blindata all’interno della nave - un locale protetto, sigillato e dotato di comunicazioni indipendenti - progettata per consentire all’equipaggio di mettersi al sicuro durante un attacco. Non riuscendo a fare breccia nelle difese, i pirati hanno devastato ponte e alloggi prima di ritirarsi.
Se il Golfo di Guinea racconta una pirateria che cambia posizione ma non perde incisività, l’Oceano Indiano nel 2025 ha dato vita a uno scenario ancora più inquietante. La regione somala è tornata teatro di sequestri e attacchi con una frequenza che ricorda i periodi più bui della pirateria del decennio precedente. La stagione è iniziata a febbraio con una serie di dirottamenti per mezzo di dhow yemeniti, piccole imbarcazioni utilizzate dai pirati come piattaforme mobili per proiettarsi molto a largo. Il sequestro dell’Al Najma N.481 ha rivelato un modus operandi ormai consueto: catturare un peschereccio, impossessarsi delle piccole imbarcazioni, rifornirsi a bordo e ripartire verso obiettivi più remunerativi. Anche gli altri casi registrati tra il 15 febbraio e il 16 marzo mostrano lo stesso schema, con dhow impiegati come basi avanzate e poi abbandonati dopo l’intervento delle forze navali internazionali o a seguito del pagamento di riscatti.
Il periodo dei monsoni, tra maggio e settembre, ha rallentato l’attività, ma non l’ha soppressa. Appena il mare è tornato praticabile, gli avvistamenti sospetti sono ripresi con un’intensità che ha sorpreso perfino le missioni navali. Tra ottobre e novembre si è assistito a un ritorno deciso dei gruppi somali in acque profonde, con tentativi di abbordaggio a centinaia di miglia dalla costa, un dettaglio che ricorda i livelli operativi raggiunti nel 2011-2012. Il primo attacco avvenuto nel 2025 contro una nave commerciale è stato registrato il 3 novembre alla petroliera Stolt Sagaland, a oltre 332 miglia nautiche da Mogadiscio: quattro uomini armati hanno aperto il fuoco prima di ritirarsi, segno di una rinnovata audacia. Pochi giorni dopo, la Hellas Aphrodite è stata addirittura abbordata a più di 700 miglia nautiche dalla Somalia, un dato che conferma l’utilizzo di «navi madre» capaci di sostenere missioni lunghe e complesse. Proprio in questo contesto si inserisce il misterioso dhow iraniano Issamamohamadi, sequestrato a fine ottobre e ritrovato abbandonato l’11 novembre: secondo gli investigatori è molto probabile che sia stato utilizzato come base per gli attacchi alla Stolt Sagaland e alla Hellas Aphrodite.
Il mese di novembre ha proposto un crescendo di avvicinamenti sospetti, scafi non identificati che si accostano a mercantili per poi allontanarsi all’improvviso, petroliere che segnalano la presenza di droni in aree dove solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile. Le due regioni – Golfo di Guinea e Oceano Indiano – raccontano, seppure con dinamiche diverse, una stessa verità: la pirateria non è affatto un fenomeno residuale. È una minaccia che continua a mutare, sfrutta gli spazi lasciati liberi dalla sicurezza internazionale e approfitta delle fragilità degli Stati costieri. Nel 2025, il mare torna a parlare il linguaggio inquieto delle rotte clandestine, dei sequestri silenziosi e dei gruppi armati che conoscono perfettamente le pieghe della geografia nautica e delle debolezze politiche di intere regioni. Una minaccia che non chiede di essere osservata: semplicemente, ritorna.
«La lotta agli Huthi ha sottratto risorse. Contro i sequestri i mezzi sono limitati»
Stefano Ràkos, è manager del dipartimento di intelligence e responsabile del progetto M.a.r.e. di Praesidium.
In che modo la pirateria nel Golfo di Guinea nel 2025 dimostra una crescente capacità organizzativa rispetto agli anni precedenti?
«La crescente capacità organizzativa emerge soprattutto dall’elevata adattabilità dei pirati al contesto di sicurezza. I gruppi dimostrano di monitorare costantemente l’evoluzione delle misure di protezione, inclusa l’estensione progressiva delle aree coperte da scorte armate o navi militari, e di raccogliere informazioni attraverso canali aperti e circuiti informali. Le aree di attacco vengono quindi selezionate in modo sempre più mirato, privilegiando i settori dove le scorte armate non sono consentite per motivi legali o di scarsa presenza di asset militari. Gli assalti risultano basati su informazioni preventive sui movimenti delle navi e non più su opportunità casuali, indicando un livello di pianificazione e coordinamento superiore rispetto al passato».
Quali fattori hanno consentito ai gruppi criminali dell’Oceano Indiano di tornare a operare a distanze così elevate dalla costa somala, arrivando a colpire navi a oltre 700 miglia?
«A partire dalla fine del 2023, il ritorno delle attività pirata a distanze superiori alle 700 miglia dalla costa somala è stato favorito dallo spostamento dell’attenzione navale internazionale verso il Mar Rosso e il Golfo di Aden a seguito della crisi legata agli Huthi, con una conseguente riduzione della pressione di controllo nell’Oceano Indiano. La fine del monsone ha ripristinato condizioni meteomarine favorevoli alle operazioni offshore. Sul piano operativo, si è registrata una persistente limitata capacità di interdizione effettiva da parte degli assetti navali internazionali. Nel caso del dirottamento della Ruen nel dicembre 2023, così come in un più recente episodio con dinamiche analoghe, le forze presenti si sono limitate ad attività di monitoraggio a distanza, senza procedere a un’azione diretta di interruzione prima del rientro delle unità verso le coste somale. Questo approccio ha di fatto confermato ai gruppi criminali l’esistenza di ampi margini di manovra operativa, rafforzando la percezione di un basso livello di rischio nelle fasi successive al sequestro».
Che ruolo ha giocato la cooperazione regionale degli Stati dell’Africa occidentale nella gestione dei sequestri e nella risposta agli attacchi, e quali limiti emergono da questi interventi?
«Nella pratica, la cooperazione regionale tra gli Stati dell’Africa occidentale ha inciso in modo molto limitato sulla gestione dei sequestri e sulla risposta agli attacchi. I principali quadri di riferimento, tra cui Ecowas e l’Architettura di Yaoundé con i relativi centri di coordinamento regionali, hanno prodotto soprattutto meccanismi formali di cooperazione e scambio informativo. Tuttavia, tali strutture non si sono tradotte in una capacità operativa realmente integrata. Le risposte restano nazionali, frammentate e spesso tardive, con forti disomogeneità tra le marine locali».
In che misura l’utilizzo di dhow come «navi madre» rappresenta un salto qualitativo nelle operazioni dei pirati somali, e quali rischi introduce per le rotte commerciali globali?
«L’impiego dei dhow come navi madre non rappresenta una tattica nuova, ma una strategia già utilizzata dai pirati somali in passato e oggi tornata pienamente operativa. Questo schema consente di superare i limiti degli skiff, che per autonomia di carburante e condizioni del mare non possono spingersi troppo lontano dalla costa. L’uso di un’imbarcazione più grande permette invece di operare a grande distanza, trasportando uomini, carburante e mezzi d’assalto in aree di mare molto più estese. Una volta avvicinato il bersaglio, vengono poi impiegati gli skiff, più rapidi e adatti alla fase di abbordaggio. Ne deriva un ampliamento diretto dell’area di rischio e una maggiore esposizione delle rotte commerciali globali, anche in settori che in passato erano considerati marginali rispetto alla minaccia pirata. Negli anni d’oro della pirateria somala il loro raggio operativo raggiungeva addirittura le Maldive».
Quali segnali osservabili indicano che nel 2025 la pirateria non è un fenomeno residuale ma un ecosistema in evoluzione che sfrutta lacune statali e vuoti di sicurezza internazionale?
«Nel contesto dell’Oceano Indiano, l’assenza di un controllo statale effettivo su ampie porzioni del territorio somalo continua a costituire un fattore strutturale di instabilità, che facilita la riorganizzazione delle reti criminali. Le missioni navali internazionali, tra cui le componenti europee e le task force multinazionali, non esercitano più il livello di deterrenza raggiunto negli anni precedenti. La Marina indiana mantiene una presenza attiva nella regione, ma gli interventi risultano spesso legati alla presenza di cittadini indiani a bordo delle unità coinvolte. Nel Golfo di Guinea, il quadro appare ancora più critico. I gruppi criminali nigeriani operano con crescente frequenza al di fuori della zona economica esclusiva della Nigeria, spesso in aree dove l’impiego di scorte armate non è consentito. I tempi di risposta delle marine locali risultano generalmente elevati e frammentati, in assenza di un dispositivo internazionale strutturato analogo a quello attivo in Oceano Indiano».
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(Ansa/Arma dei Carabinieri)
Si tratta in particolare di truffatori che ricorrevano al trucco del «finto carabiniere» per sottrarre denaro soprattutto a persone anziane. Tra gli indagati, uno era già detenuto per altra causa; sei sono stati portati in carcere, nove agli arresti domiciliari e cinque sottoposti all’obbligo di dimora.
Il provvedimento nasce da un’indagine convenzionalmente denominata «Altro Mondo», condotta dal Nucleo investigativo di Milano e avviata a partire dal 2023, come risposta alla recrudescenza di furti, rapine e truffe commessi prevalentemente in danno di soggetti vulnerabili, mediante la tecnica del «finto carabiniere».
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