
L'ex premier rilascia interviste per dire che l'aumento dei tassi ci è già costato 5 miliardi. Ma in realtà si tratta di circa 341 milioni. La soluzione sarebbe semplice: basterebbe che la Bce fissasse un differenziale massimo dello 0,5% fra i debiti dell'Eurozona.Il Partito democratico perde la fiducia degli elettori - due milioni e mezzo di voti in meno in cinque anni - ma si vanta pur sempre di avere quella dei mercati. Il concetto che i dirigenti dem ripetono è semplice, quasi banale: il programma del nuovo governo, unito al suo supposto dilettantismo, non convince e non convincerà gli investitori che vendono e venderanno i nostri titoli di Stato. Il loro prezzo scenderà e il rendimento - dato dal rapporto fra cedola e prezzo - salirà (è del resto notizia recentissima l'andamento non eccellente dell'ultima asta di Btp). Esploderà quindi il costo del debito, cui dovremo far fronte aumentando le imposte o diminuendo la spesa per i servizi: saranno i mercati a punire gli elettori, che così impareranno a punire la forza tranquilla del Nazareno. Peccato che la legge dei mercati non sia fenomeno di natura come l'eruzione di un vulcano o un terremoto contro cui nulla possiamo, ma la semplice e deliberata conseguenza di una stortura tipica solo dell'Eurozona.Prendiamo ad esempio il Giappone con un rapporto debito/Pil pari al 250%. Quanto paga sui propri titoli di Stato a dieci anni? Praticamente lo 0%. Oppure il Regno Unito, reduce da un combattutissimo referendum sulla sua permanenza nell'Ue cui sono seguiti negoziati internazionali e scontri politici interni altrettanto aspri. Quanto paga Londra sui propri Gilt a dieci anni? La metà esatta dei nostri Btp. Il debito enorme da una parte e le tensioni politiche dall'altra - cioè gli incubi persistenti agitati dal pensiero politico dominante di casa nostra - non sembrano scalfire la preoccupazione dei creditori di Tokyo e Londra. La spiegazione è elementare. Giappone e Regno Unito possiedono una «loro» Banca centrale che emette e quindi controlla una «loro» moneta e che, più o meno di concerto con i rispettivi esecutivi, decide quanta parte del «loro» debito acquistare e a quale tasso. L'emissione di titoli di Stato, nei Paesi monetariamente sovrani, non serve tanto a reperire le risorse necessarie a finanziare la spesa o rifinanziare il debito in scadenza, ma a determinare soprattutto il livello dei tassi di interesse cui si adatteranno gli altri segmenti del mercato dei capitali. Un'operazione di politica monetaria più che fiscale, diversamente da quanto invece accade nell'Eurozona dove i governi sono monetariamente castrati e quindi costretti a racimolare sui mercati ogni singolo centesimo loro necessario al pari e anzi in concorrenza con imprese, banche e famiglie.Sarebbe sufficiente che la Bce dichiarasse (notate bene non ho scritto «facesse» ma «dichiarasse») che, per un efficace funzionamento dei canali di trasmissione della propria politica monetaria, non è più disposta a tollerare differenziali di rendimento superiori allo 0,5% fra i vari debiti dell'Eurozona che immediatamente quegli investitori che oggi puniscono l'Italia correrebbero ad acquistare a mani basse anche i nostri Btp facendo salire i prezzi e abbassando il costo del nostro debito, così facendo un ottimo affare e portando il differenziale dei rendimenti a quanto prefissato da Francoforte; nella consapevolezza che una Banca centrale, se solo lo volesse, avrebbe mezzi illimitati per arrivare a quel risultato potendo essa stessa emettere tutta la moneta che desidera. E invece no: dobbiamo sorbirci l'ex premier Paolo Gentiloni che, a distanza di poco più di 20 giorni - dalle colonne prima della Stampa e poi di Repubblica - ci rampogna con la stessa profezia: «In due mesi lo spread è salito di oltre 100 punti. Solo questo ci costa oltre 5 miliardi». Ma sarà vero? Basta consultare il bollettino trimestrale del ministero di Via XX settembre per scoprire, ad esempio, che nei due mesi appena trascorsi sono stati emessi qualcosa come 34 miliardi di Btp. Considerando un aggravio medio dei rendimenti pari all'1% in questo periodo, si può stimare che il costo aggiuntivo per le nostre tasche sia stato di circa 341 milioni. Mentre nei prossimi 12 mesi il governo emetterà circa 140 miliardi di Btp, e in caso si mantenesse lo stesso aumento del costo di finanziamento pari all'1% (ricordiamolo ancora: per una scelta deliberata della Bce) i maggiori interessi ammonterebbero a 1,4 miliardi, e non 5. Circa il 70% in meno della fosca previsione del nostro ex premier. Insomma, se proprio volete appendervi allo spread almeno fatelo coi numeri giusti.
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