2022-07-19
Bakayoko perquisito, caos ridicolo. Chi grida al razzismo va in fuorigioco
Il calciatore del Milan fermato dalla polizia perché corrispondeva alla descrizione di un ricercato. Amnesty parla di «profilazione etnica». Ma i veri razzisti sono quelli convinti che sia stato controllato solo perché nero.Il razzismo immaginario continua, purtroppo, a farsi strada. Ieri ha invaso i social network il video girato da un automobilista che, all’alba dello scorso 3 luglio, aveva immortalato il controllo di polizia condotto a Milano da tre agenti su Tiémoué Bakayoko, giocatore ivoriano del Milan. Nel breve filmato, 42 secondi in tutto, si vedono tre agenti, due uomini e una donna, che sono appena scesi da due auto della Polizia di Stato e hanno bloccato un suv scuro da cui hanno fatto uscire un nero alto, barbuto, che indossa una maglietta verde e ha un cappello da pioggia calcato sugli occhi. L’agente donna impugna la pistola e, senza parlare, la punta a due mani attraverso il finestrino anteriore destro del suv, verso il posto dove si presume sia ancora seduto il conducente. Nel frattempo, quello che s’intuisce sia il capo pattuglia dà le spalle al suv e con la mano sinistra perquisisce l’uomo con la maglietta verde, mentre con la destra appoggiata alla sua spalla lo tiene premuto contro un’auto. Il terzo agente, la Beretta d’ordinanza in mano, gira attorno all’auto bloccata e controlla la situazione da un altro punto di vista. Insomma, siamo in presenza di un serio controllo di Polizia che, però, non ha assolutamente nulla di concitato o di violento, né di aggressivo: i poliziotti sono decisi ma calmi, professionali. La scena, soprattutto, dura pochissimo, una vera manciata di secondi. Perché quasi subito i due agenti ripongono le armi nelle fondine. Uno dei due, forse, ha parlato con il conducente del suv e rivolge poche parole al capo pattuglia, il quale a quel punto fa una faccia stupita, e dal labiale pare dica: «Chi è?!?». Quindi guarda in faccia il fermato, alza gli occhi al cielo, smette di perquisirlo e gli dà una leggera pacca sulla spalla. Fine del video. E inizio di un’indegna bagarre. Perché ieri, su internet, queste poche immagini sono bastate a scatenare il partito degli antirazzisti in servizio permanente, sponda italiana dell’estremismo ideologico alla Black lives matter. Nemmeno avessero assistito a una replica milanese del fermo di George Floyd, il nero morto nel maggio 2020 a Minneapolis per la brutalità di un controllo di polizia, in tanti sui social network si sono messi a gridare alla «discriminazione» e al «razzismo istituzionale». Banalità del tipo: «Se hai la pelle chiara, certe cose non ti succedono», che in realtà denotano solo l’intimo razzismo di chi ha creduto che Bakayoko sia stato fermato solo perché nero. C’è chi ha protestato per il controllo «invasivo». Chi ha criticato «la violenza» degli agenti, mentre altri li hanno accusati al contrario di avere mollato la presa non appena hanno scoperto che il perquisito era un noto calciatore. Il caso ha scomodato perfino Amnesty International, l’organizzazione che a livello globale dovrebbe occuparsi (seriamente) di diritti civili: «Le immagini del fermo di Bakayoko», ha scritto Amnesty in un proclama grondante indignazione, «fanno pensare a una profilazione etnica: una pratica discriminatoria che su una persona non famosa avrebbe potuto avere conseguenze gravi». Profilazione etnica, nientemeno. Pratica discriminatoria, addirittura. In realtà, le cose sono andate in modo del tutto diverso. A Milano, domenica 3 luglio, sono quasi le 6 di mattina e nella zona tra piazza Gae Aulenti e corso Como, tra alcuni spacciatori senegalesi si accende una rissa violenta, pare con tanto di sparatoria. La nota radio della questura è chiara: i testimoni dello scontro indicano concordi «due uomini a bordo di un suv: uno dei due è centrafricano e indossa una maglietta verde». Le volanti accorrono e in via Luigi Sturzo (a poche centinaia di metri dal luogo della rissa) fermano il suv che a bordo ha Bakayoko con il cappello tondo che gli copre il volto e la maglietta verde. E nero è anche il conducente del veicolo.Questa è la banale verità. Eppure, ieri mattina, la violenza del coro di critiche ha costretto la questura di Milano a un comunicato di risposta: «Il controllo effettuato da un equipaggio a carico del calciatore Bakayoko è avvenuto in un contesto operativo che giustificava l’adozione delle più elevate misure di sicurezza, anche in funzione di autotutela, e si è svolto con modalità assolutamente coerenti rispetto al tipo di allarme in atto. Identificata la persona, e chiarita la sua estraneità ai fatti per cui si procedeva, il servizio è ripreso regolarmente, senza alcun tipo di rilievo da parte dell’interessato». A voce, gli agenti aggiungono che il controllo è scattato solo perché Bakayoko e l’altro passeggero del suv «corrispondevano perfettamente alle descrizioni, ed è terminato non appena ci si è resi conto di aver fermato una persona che non c’entrava nulla».Poteva mancare a questa storia assurda l’inutile commento del sindaco, Giuseppe Sala? Certo che no. Al primo cittadino di Milano non è bastata nemmeno la nota della questura: «Ho visto il video, ma non ho parlato con il questore», ha opposto Sala ai giornalisti che lo interrogavano, «e non vorrei dire cose improprie. Sentirò il questore…». Aspettiamo.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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