2018-12-03
Babbo Renzi attacca il nostro scoop, ma una sentenza dà ragione a noi
Il padre dell'ex premier risponde sui social all'inchiesta sulle sue aziende: «Continuano a diffamarmi». Però gli ispettori Inps e i tribunali hanno già stabilito che i rapporti con i collaboratori erano irregolari.Quando ha letto la prima pagina della Verità di ieri mattina, a Tiziano Renzi deve essere andato il caffè di traverso. «Lavoravo in nero per i Renzi. Alle paghe ci pensava Matteo» era il titolo, e l'articolo conteneva la testimonianza di un ex distributore di giornali al soldo dei Renzi, il quarantunenne fiorentino Andrea Santoni, il quale ci spiegava di aver collaborato per sei mesi presso una delle loro ditte senza nessun tipo di accordo scritto.Sulla notizia sono saltati i 5 stelle con un comunicato: «Siamo curiosi di sapere come adesso il Pd commenterà la vicenda venuta fuori sui lavoratori senza contratto gestiti da Matteo Renzi e suo padre, quando li mandavano a distribuire giornali a nero a Firenze (…) Dall'alto della propria ipocrisia hanno tentato di infangare il nome di Luigi (Di Maio, ndr) per un bidone, una carriola e qualche calcinaccio abbandonati nella proprietà del padre, coprendosi di ridicolo perché Luigi era totalmente estraneo alla vicenda. Al contrario - così come emerge dall'inchiesta della Verità - Matteo Renzi era coinvolto in prima persona negli affari del padre, ne era persino complice».Dopo aver letto il servizio, anche babbo Tiziano ha deciso di intervenire e ha pubblicato su Facebook un commento risentito, accusando di diffamazione il direttore, Maurizio Belpietro, e chi scrive. Per quale motivo? Lo spiega lui stesso: «Basterebbe conoscere le leggi per capire. I ragazzi che distribuivano i quotidiani, infatti, erano pagati cash perché trattenevano il loro compenso da ciò che incassavano con la vendita dei quotidiani ma poi ovviamente l'azienda provvedeva al pagamento delle tasse come previsto dalla legge. Era pagamento in contanti, NON in nero: una semplice differenza che in sede di tribunale sarà facilmente dimostrabile». Il post di Tiziano ha scatenato i bassi istinti della sua claque che, senza conoscere la materia del contendere, ha iniziato a insultare il direttore Belpietro con espressioni, quelle sì, diffamatorie. Il tutto perché babbo Renzi, plurindagato per i reati di bancarotta, false fatturazioni (procedimento per cui è già stato rinviato a giudizio) e traffico di influenze illecite (in questo caso la Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione), ci accusa di non conoscere le leggi.Ma in realtà a non avere dimestichezza con le pandette, secondo il giudice fiorentino Giovanni Bronzini, era lui. Nel 1999 l'Inps fece due accertamenti presso le società di distribuzione di giornali dei coniugi Renzi, per cui lavorava anche il figlio Matteo (il quale, secondo Il Fatto Quotidiano, per un anno prestò servizio senza nessun tipo di contribuzione). Gli ispettori dell'ente previdenziale fecero i controlli sull'utilizzo degli strilloni in due diversi periodi, per un totale di 16 mesi, tra il 1997 e il 1998. La Speedy se la cavò con una multa di 1 milione di lire per il mancato pagamento dei contributi, mentre alla Chil toccò un conto molto più salato: 34.748.500 lire. Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli presentarono ricorso contro i due verbali sostenendo di non essere tenuti «al pagamento della contribuzione» agli «strilloni».Ma il giudice nel 2000 li rimbalzò, spiegando che il lavoro dei suoi venditori ambulanti di giornali era chiaramente una prestazione di tipo coordinato e continuativo come previsto dall'articolo 2, comma 26, della legge 335 dell'8 agosto 1995, norma che introduceva la figura contributiva dei co.co.co, assoggettandoli a un'aliquota del 10 per cento, poi cresciuta negli anni. Così, a decorrere dall'1 gennaio 1996, tali soggetti che esercitavano «per professione abituale, ancorché non esclusiva attività di lavoro autonomo» erano «tenuti a iscriversi in un'apposita gestione separata presso l'Inps e finalizzata all'estensione generale e obbligatoria per l'invalidità la vecchiaia e i superstiti». Tra i nuovi lavoratori autonomi che avrebbero dovuto iscriversi alla gestione separata dell'Inps, c'erano anche i venditori ambulanti di giornali.La toga ribadì, facendo riferimento all'articolo 7 della legge sull'editoria del 1987, che l'«apposita materia della vendita dei quotidiani e delle connesse autorizzazioni amministrative ha delineato la figura del venditore ambulante di giornali e ha stabilito che, qualora egli non sia un dipendente dell'editore, del distributore o dell'edicolante, allora egli deve “considerarsi in ogni caso" un collaboratore coordinato e continuativo ai sensi e per gli effetti dell'Irpef sul reddito delle persone fisiche». Un argomento che i Renzi non dovevano aver compreso.Codice alla mano, il giudice, ricordò ai coniugi Renzi che la nuova «definizione legale e inderogabile» del venditore ambulante di giornali «come lavoratore (quantomeno) “coordinato e continuativo", prima sul piano fiscale e poi su quello previdenziale, appare come una scelta consapevole del legislatore, diretta appunto ad escludere, sotto il profilo giuridico, la stessa reviviscenza della vecchia e inattuale figura dello “strillone"».La sentenza del giudice Bronzini ha retto sino in Cassazione. Insomma Renzi senior, che sostiene di aver pagato le tasse (non specifica quali), secondo gli ispettori dell'Inps e i tribunali, non versava i contributi come invece avrebbe dovuto fare. Durante il processo i genitori di Renzi esibirono un «modulo-contratto» che gli strilloni sottoscrivevano e che secondo il giudice serviva più che altro a farli identificare «con nome, cognome e dati fiscali». Con noi, però, Santoni ha negato di aver firmato alcunché o di aver consegnato ai Renzi il codice fiscale o altro. E ieri, in serata, ha commentato amaro: «Mi hanno detto del post di Tiziano Renzi. Se stava zitto era meglio...». Il padre dell'ex premier può sbraitare quanto vuole. Ma questi sono i fatti. E saremo ben contenti di spiegarli in tribunale.
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