2024-06-09
La mortalità dell’aviaria è ridicola. Ma le virostar tornano a spaventare
Ilaria Capua (Imagoeconomica)
La psicosi per le notizie false diffuse pure dall’Oms è sfruttata dagli orfani della pandemia per riprendersi la scena. Eppure i dati dimostrano che dove ci sono standard igienici alti (Ue e Usa) la letalità è pari a zero.Due giorni fa, il portavoce dell’Organizzazione mondiale della sanità, Christian Lindmeier, è stato costretto a rettificare la dichiarazione sulla «prima morte per aviaria» di un paziente in un ospedale del Messico. Non è attribuibile all’influenza H5N2, ma a cause «multifattoriali» dovute ad altri disturbi e malattie, ha precisato.Dopo l’annuncio che era stato dato mercoledì dall’agenzia delle Nazioni Unite, il ministro messicano della Sanità, Jorge Alcocer Varela, aveva vivacemente protestato per l’inopportuna causa di decesso attribuita dall’Oms. L’uomo, 59 anni, soffriva di molteplici patologie come una malattia renale cronica, diabete di tipo 2 e ipertensione arteriosa sistemica di lunga durata. Nelle ultime settimane si era aggravato ed è morto nello stesso giorno in cui era stato ricoverato in ospedale «per complicazioni».Dal test risultò positivo all’influenza aviaria A a bassa patogenicità (H5N2), un sottotipo diverso dal ceppo H5N1 del virus che ha causato un’epidemia tra il bestiame negli Stati Uniti e ha infettato tre lavoratori delle aziende lattiero-casearie. «Posso sottolineare che la dichiarazione Oms è pessima, poiché fin dall’inizio si parla di un caso mortale, cosa che non è avvenuta: l’uomo è morto per altra causa e senza che fosse stata emessa una diagnosi e solo marginalmente l’agenzia dice che il rischio in questo caso è basso», ha tuonato in conferenza stampa il ministro della Salute del Messico.Tanta foga dell’Oms nel dare conclusioni non verificate riporta alla condizione di terrore che ci hanno imposto durante la pandemia, quanto nella classificazione «morti per Covid» erano conteggiati un numero altissimo (però mai precisato) di decessi per diverse patologie, che diventavano irrilevanti se un semplice tampone mostrava la positività al virus del malcapitato.E pensare che l’Oms, negli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale (Ihr) approvati la scorsa settimana a Ginevra e che abbiamo solo dieci mesi per rigettare, considera la lotta alla disinformazione una delle misure di controllo per prevenire la diffusione nazionale e internazionale di un evento pandemico. Per adesso ci rifila allarmi grossolani ai quali abboccano i cosiddetti esperti dell’allarme senza fine.Christopher Dye, professore di epidemiologia del dipartimento di biologia all’Università di Oxford e Wendy S. Barclay, virologo presso l’Imperial College di Londra, in un editoriale del 4 giugno sulla rivista medica The British Medical Journal (Bmj) scrivono: «Il pericolo e il rischio di una grave epidemia di H5N1 sono ampi, plausibili e imminenti, quindi dobbiamo mettere in atto ora piani per la prevenzione, la preparazione e la risposta alla pandemia». Insistono sulla validità di un piano pandemico internazionale.L’infettivologo Matteo Bassetti il 6 giugno postava su Facebook: «Mi pare che i segnali di un avvicinamento all’uomo siano sempre più forti, per chi li sa e li vuole ascoltare...». Pier Luigi Lopalco, docente di igiene all’Università del Salento va ripetendo che «la stessa attenzione», mostrata dalle autorità sanitarie statunitense nei confronti dei casi di aviaria tra bovini da latte e i tre casi segnalatati quest’anno di congiuntivite in chi era venuto a contatto con bestiame, «sarebbe necessaria anche in Europa, per identificare i primi segnali di arrivo del virus».La virologa Ilaria Capua già a febbraio alzava l’asticella del pericolo dalle pagine del Corriere della Sera: «Credo che la priorità assoluta sia investire urgentemente e massicciamente in vaccini per l’uomo e per gli animali che possano arrestare o addirittura prevenire le conseguenze di questa nuova sciagura. È una corsa contro il tempo e bisogna agire. Adesso».Eppure gli statunitensi del Centers for disease control and prevention (Cdc), nell’aggiornamento del 7 giugno, affermano che «si prevedono ulteriori infezioni umane sporadiche nei lavoratori degli allevamenti», ma che «nonostante l’ampia diffusione mondiale dei virus HPAI A (H5N1) negli uccelli selvatici e nel pollame negli ultimi anni, dal 2022 è stato segnalato solo un piccolo numero di infezioni umane sporadiche […] e non è stato identificato alcun caso di trasmissione da uomo a uomo».I report dell’Oms segnalano 254 casi di infezione umana da H5N1 in Vietnam, Cina, Cambogia e Laos tra il 1 gennaio 2003 e il 28 marzo 2024, dei quali 141 risultarono fatali. Il che porterebbe a un tasso di mortalità del 56%, definita «elevata». Anche in questo caso, però, le morti furono decontestualizzate come osserva Alastair Ward, professore associato di biodiversità e gestione degli ecosistemi presso l’Università di Leeds, nel Regno Unito.«I casi umani passati si sono verificati quasi esclusivamente tra coloro che vivevano e/o lavoravano a stretto contatto con il pollame e di solito in situazioni in cui gli standard igienici erano sostanzialmente diversi da quelli degli Stati Uniti e dell’Europa», ha dichiarato a Newsweek. Infatti, in 21 anni ci sono state zero morti in Europa e negli States e pochissime infezioni umane: due in Spagna, cinque nel Regno Unito, quattro negli Usa.