Un baco dell’app di Tesla ha impedito a molti clienti nel mondo di salire a bordo. La scomparsa della chiave e la gestione opaca dei dati aprono scenari inediti. In cui chi compra non è più il proprietario ma il sorvegliato.
Un baco dell’app di Tesla ha impedito a molti clienti nel mondo di salire a bordo. La scomparsa della chiave e la gestione opaca dei dati aprono scenari inediti. In cui chi compra non è più il proprietario ma il sorvegliato.C’era una volta la chiave, la inserivi dentro la serratura, aprivi la portiera e poi un giro al motorino di avviamento. Di solito funzionava. Una volta, perché Tesla, la casa leader nell’osare e applicare innovazioni tecnologiche all’auto ha fatto discutere a cavallo dell’ultimo weekend media e social network con clienti che si lamentavano di non poterla usare. Dal Canada agli Stati Uniti, passando per Europa e Asia alcuni guidatori dell’auto elettrica hanno provato la poco piacevole esperienza di rimanere «appiedati» perché la app installata sul proprio smartphone non dava segni di vita. Un malfunzionamento momentaneo, con varie segnalazioni online e sui social, con Elon Musk, subito pronto a dare la spiegazione via tweet, rapido veloce e poco costoso: un banale aggiornamento aveva messo la app fuori servizio. Il tema non riguarda solo l’auto elettrica per eccellenza, ma un punto sottovalutato. Ovvero la relativa affidabilità della virtualizzazione di molti servizi e funzioni delle auto digitali e «connesse». processo irreversibileRiavvolgiamo il nastro dell’evoluzione alla voce chiave, per quasi un secolo sono rimaste sempre uguali. Poi negli anni Novanta la prima innovazione con i transponder, ovvero una tecnologica di codici cifrati tra chiave e centralina che ha reso più difficile la vita ai ladri e impossibile il giochettino abusato nei film di collegare i fili sotto il piantone per partire e rubare le auto. Nel nuovo secolo sono arrivate le prime chiavi elettroniche che aprivano le porte senza neppure bisogno di usare un pulsante, bastava tenerle in tasca. E infine, negli ultimi anni, diciamo dal 2010 in poi quelle smart e dematerializzate che parlano direttamente con la centralina Ecu del veicolo consentendo di «entrare» nel sistema informatico governando tutti i servizi a bordo auto. Persino muoverla da remoto. Le prime sono dei mini telefonini o se vogliamo delle chiavi «connesse» con display touch attraverso il quale si governa l’auto anche dall’esterno. Un buon esempio è quella di Bmw. Poi il passo ancora più estremo riguarda quelle convertite con le medesime funzioni direttamente in app su smarpthone. Come nel caso, ma non è l’unico, di Tesla. Tramite queste superchiavi digitali si possono controllare varie funzioni come carica batteria, clima o addirittura in alcuni casi aprire il bagagliaio o persino passarle in modo virtuale a un amico o a un familiare che così può utilizzare il veicolo senza neppure vedersi. Alcune case stanno pensando addirittura a funzioni che limitino caratteristiche dell’auto, ad esempio immaginate di prestare l’auto al figlio ma limitando velocità e magari anche area di utilizzo grazie al Gps. Tutto diventa possibile in potenza. Interessante anche per gestire le flotte aziendali, certo. Ma se c’è un problema, dal più banale legato al telefono o alla chiave o alla Rete informatica, e non ci si è portati dietro la chiave elettronica di riserva separata dalla app, si rimane a piedi. soldi a palateIn ballo ci sono come sempre un sacco di soldi: solo alla voce «smart e digital keys» il giro di denaro stimato nel 2021 è pari a 8 miliardi di dollari all’anno e continuerà a crescere per arrivare ai 12 già nel 2028. Ma sono previsioni solo strettamente automotive e il business si sta allargando. Le case che hanno capito come la chiave smart sia un potente argomento di marketing e renderanno in futuro la situazione sempre più esasperata insieme ai provider tecnologici per dividersi la torta. Non è peregrino pensare di dare in futuro la chiave digitale del bagagliaio al corriere Amazon per fargli consegnare il pacco che aspettiamo. A togliere qualsiasi residuo dubbio è lo sbarco di Google nel settore, sia per collaborare con le case automobilistiche che con una app che già consente di portare la chiave «digitale» della propria auto a patto che sia equipaggiata on tecnologia Nfc o Uwb. Anche Apple ovviamente ha approcciato il tema e, siccome sono previdenti e hanno clienti premium, specificano che con alcuni modelli di iPhone si potrà continuare a usare la chiave anche se scarico. E, a ben vedere, se questa volta è stata una app di Tesla a creare disagio un domani potrebbe essere la rete dati, magari in down nella zona specifica in cui avete parcheggiato l’auto. O magari al contrario la app che non funziona più sul vostro telefonino troppo vecchio o troppo nuovo. Oppure non è difficile immaginare che a chi gestisce tutti i dati e li invia pure all’equivalente dell’Agenzia delle entrate non sarà impossibile bloccare la chiave se non si ha pagato una multa. Un tempo le ganasce erano fiscali. Domani letterali. controllo totaleInsomma il punto è che a decidere e collaborare ad accendere o spegnere l’auto non è più il solo proprietario e neppure solo la chiave, ma anche qualcun altro e, chi conosce un minimo l’informatica sa che i servizi sono distribuiti, quindi possibili inconvenienti possono verificarsi tra la casa madre, la connessione, il cloud, chi ha realizzato la app e magari la aggiorna e via discorrendo. In questa continua corsa all’innovazione, da capire quanto indispensabile o quanto alla ricerca dell’effetto «wow» per stupire i clienti, si rischia di andare per tentativi. Ford con la Mustang elettrica sta pensando a una tastiera a sfioramento vicino alla portiera dove digitare il codice. Jaguar già vende a circa 400 euro l’opzione di avere un braccialetto smart che sostituisce la chiave. Utile per chi fa jogging e poi torna a casa in auto, viene da supporre. Peccato che poi il cliente di una famosa auto tedesca premium su un forum online si lamenti di aver pagato come optional la smart key, con tante funzioni e ricarica wireless della sua batteria interna che, purtroppo, dopo alcuni mesi di utilizzo si scarica velocemente e lo ha lasciato fuori dall’auto parcheggiata per andare a fare una commissione.Inoltre, le chiavi «elettroniche» registrano data e ora e anche luogo in cui avete acceso auto, aperto le portiere o bagagliaio e utilizzato altre funzioni. Va bene se a fare l’indagine sono le forze di polizia o le assicurazioni a seguito di incidenti o furti, ma davvero siamo così convinti che qualcuno debba saperlo dall’altra parte del mondo e che questo dato sia bene che rimanga su qualche server? Davvero basta un tweet per giustificare un disservizio informatico che ha bloccato una funzione essenziale del veicolo acquistato? Non è un caso quindi che un colosso della difesa come Thales offra ai costruttori sia i servizi di digitalizzazione della chiave ma anche di protezione dei dati della stessa sia a livello hardware, software che connettività e cloud. Ma sono servizi che alla fine devono essere pagati e si ribaltano sul listino. E forse, come abbiamo già fatto notare, si capisce perché in Cina sconsigliavano agli ufficiali governativi di usare l’auto elettrica di Elon Musk.
Ansa
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