L’indecisione della Germania fa slittare il dossier. Giorgia Meloni: «È un nostro successo». Ora l’obiettivo è un accordo sulla neutralità tecnologica che apra anche ai carburanti ecologici e salvi il motore a scoppio.
L’indecisione della Germania fa slittare il dossier. Giorgia Meloni: «È un nostro successo». Ora l’obiettivo è un accordo sulla neutralità tecnologica che apra anche ai carburanti ecologici e salvi il motore a scoppio.È solo l’inizio, ma è un buon inizio. Giorgia Meloni lo rivendica come un successo e scrive su Facebook: «Il rinvio a data da destinarsi del voto degli ambasciatori Ue sul regolamento che prevede lo stop dal 2035 alla vendita di auto nuove diesel e benzina è un successo italiano». E così è; l’Italia ha stoppato la Commissione europea. Sull’auto elettrica Giorgia Meloni 1 e Ursula von der Leyen 0, palla in tribuna. La mossa vincente è stata motivare il no dell’Italia con la richiesta di esplorare la cosiddetta neutralità tecnologica. L’accordo del Parlamento europeo con la Commissione votato a maggioranza il 14 febbraio favorevole all’uscita dal mercato dei motori endotermici - per il sì anche gli europarlamentari di Pd e 5 stelle, contro quelli di Fdi, Lega, Fi - prevedeva di fatto solo l’opzione dell’auto elettrica. In questo modo si offriva alla Cina un enorme vantaggio competitivo contro cui ha messo in guardia persino Romano Prodi. L’Italia invece insiste perché si esplorino altre tecnologie: i carburanti ecologici (a partire dall’idrogeno che si declina poi in gasolio, benzina, metano di sintesi e dunque senza emissione di gas climalteranti) che sono compatibili con i motori endotermici. Così si incentiva lo sviluppo della nostra tecnologia. Il ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini ha denunciato che la scelta europea avrebbe cancellato la nostra industria (una stima prudenziale è di 70.000 posti di lavoro a rischio) e ha commentato: «Un grande segnale è arrivato anche grazie alla Lega: il nostro governo ha dimostrato di offrire argomenti di buonsenso sui tavoli internazionali a difesa della nostra storia e del nostro lavoro. La strada è ancora lunga, ma non ci svenderemo alla Cina». La presidenza svedese di turno dell’Ue ieri ha preso atto che non ci sono le condizioni per andare avanti nella discussione e ha deciso di rimandare a un futuro vertice, molto incerto nella data, dei cosiddetti «ambasciatori» (sono in realtà i capidelegazione dei diversi governi) l’approfondimento sul tema delle auto elettriche. Il rinvio del voto sul regolamento è diventato obbligatorio visto che si è costituito un blocco di minoranza; quattro Paesi -oltre all’Italia anche la Polonia annuncia il no, la Bulgaria si asterrà, ma vale come voto negativo così come l’Ungheria e anche la Germania va verso l’astensione - sono contrari ad andare avanti secondo le direttive della Commissione. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin (Fi) nota che: «L’impostazione del regolamento era ideologica, l’Italia ha una posizione molto chiara: l’elettrico non può essere l’unica soluzione del futuro, tanto più se continuerà, come è oggi, a essere una filiera per pochi. Puntare sui carburanti rinnovabili è una soluzione strategica e altrettanto pulita». Più duro il ministro per il Made in Italy Adolfo Urso: «L’Italia ha svegliato l’Europa e la decisione del rinvio è un segnale importante. Mi auguro che ora ci sia una riflessione comune su altri dossier: dal packaging all’ecotessile.» Urso in questi giorni ha tenuto stretti rapporti con Austria, Romania, Repubblica Ceca, Danimarca e Svezia per mitigare il rigore ecoideologico della Commissione. Ed è quello che sottolinea anche il presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «La posizione del nostro governo è chiara: una transizione sostenibile ed equa deve essere pianificata e condotta con attenzione, per evitare ripercussioni negative sotto l’aspetto produttivo e occupazionale. Giusto puntare a zero emissioni di CO2 nel minor tempo possibile, ma deve essere lasciata la libertà agli Stati di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile. Questo vuol dire non chiudere a priori il percorso verso tecnologie pulite diverse dall’elettrico. Su questo abbiamo trovato largo consenso in Europa». L’azione italiana che salva le auto a benzina e diesel apre un fronte anche in Germania dove Verdi e Spd sono per la linea di Ursula von der Leyen, ma i liberali con il potentissimo ministro delle Finanze Christian Lindner sono molto sensibili alla posizione italiana. Le motivazioni sono anche pragmatiche. Puntare solo sull’elettrico pone serissimi problemi: l’infrastrutturazione delle colonnine di ricarica, per dirne una, è disomogenea in Europa e il parco macchine in molti Paesi è cresciuto più velocemente delle ricariche (in Italia è il contrario). Ci sono i costi dei veicoli elettrici, l’incognita sulla loro vera neutralità ambientale, c’è il tema dei trasporti marittimi, aerei e dei veicoli pesanti. Perciò la spinta dell’Italia a considerare un’alternativa trova ampio consenso. Al punto da spaccare il fronte francese. Se il ministro all’Economia Bruno Le Maire insiste dicendo: «Va rispettata anche nell’interesse dei consumatori la scadenza del 2035», l’ad di Renault Luca de Meo che ha ottenuto due importantissimi successi - il rinnovo dell’alleanza con Nissan e un bilancio che luccica con il ritorno al dividendo - insiste: «L’elettrico non può essere l’unica opzione.» Come dire, l’Italia ha ragione.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Cinquant’anni fa uscì la prima critica gastronomica del futuro terrore dei ristoratori. Che iniziò come giornalista di omicidi e rapine di cui faceva cronaca sul «Corriere d’informazione». Poi la svolta. Che gli procurò una condanna a morte da parte del boss Turatello.
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
Mauro Micillo: «Le iniziative avviate dall’amministrazione americana in ambiti strategici come infrastrutture e intelligenza artificiale offrono nuove opportunità di investimento». Un ponte anche per il made in Italy.
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
All’ex procuratore devono essere restituiti cellulari, tablet, hard disk, computer: non le vecchie agende datate 2017 e 2023. E sulla Squadretta spunta una «famiglia Sempio».