2018-12-01
Aumentano i disoccupati e pure gli occupati
Le cifre Istat di ottobre svelano finalmente un'inversione degli inattivi (-77.000), coloro che non cercano nemmeno lavoro. Da qui il paradosso della disoccupazione (+64.000). Frenano (37%) i contratti in somministrazione per via del Dl Dignità. Ma è un bene.I dati Istat sul lavoro sono la croce e la delizia dei politici. Spesso contemporaneamente. Perché ciascuna parte, anche se oggi varrebbe la pena definirla fazione, stira i numeri come meglio preferisce. Ieri solito teatrino, con la maggioranza dei media che sottolineavano il dato sull'aumento della disoccupazione. Inutile ribadire la strumentalizzazione contro il decreto Dignità dei gialloblù. Reo, a detta dell'opposizione, di aver cannibalizzato il mondo del lavoro. Le stime non scientifiche dell'Inps, targata Tito Boeri, parlavano addirittura di 88.000 posti di lavoro a rischio. I numeri di ottobre sono comunque prematuri, e secondo gli analisti si capirà davvero il rapporto causa effetto solo con i dati di novembre. Nel frattempo però le statistiche sembrano andare nella direzione opposta alle critiche più aspre. Gli occupati reali sono aumentati, e il dato della disoccupazione è dovuto soltanto al netto calo degli inattivi: coloro che non lavorano e nemmeno lo cercano.Ci sono 64.000 disoccupati in più e 77.000 inattivi in meno. Nessuno ha perso il lavoro, anzi in 9.000 l'hanno trovato. Il dettaglio è fornito da Francesco Seghezzi che guida Adapt, il più serio osservatorio sul lavoro, frutto dell'intuizione di Marco Biagi. E ciò apre a possibili e successive osservazioni sulla qualità dei contratti di lavoro. Nell'ultimo mese la stabilità degli occupati deriva da un aumento dei dipendenti permanenti (+37.000) e da una diminuzione per quelli a termine (-13.000), «che interrompono il trend positivo avviatosi nel mese di marzo, e per gli indipendenti (-16.000)», si legge nella nota dell'Istat. «Con riferimento all'età, calano gli occupati tra i 25 e i 49 anni mentre si registra un aumento più consistente tra gli ultracinquantenni». L'ultima può essere chiamata «sfumatura Fornero». L'occupazione degli over 50 è in lenta ma costante salita ormai da quasi cinque anni: esattamente il trend che quota 100 vuole invertire, con l'obiettivo di scardinare l'inattività giovanile. I dati di settembre e ottobre sembrano andare pure in questa direzione, anche se - lo ribadiamo - è presto per tirare le fila del decreto Dignità. In ogni caso, per il secondo mese consecutivo cresce la stima delle persone in cerca di occupazione (+2,4%, pari a 64.000 unità). Con il risultato che il tasso di disoccupazione sale al 10,6% (+0,2 punti percentuali su base mensile), quello giovanile aumenta lievemente e si attesta al 32,5% (+0,1 punti). Questi sono i numeri. Tutte le altre interpretazioni rischiano di essere distorte o, peggio, in mala fede. Resta invece da ripescare uno specifico capitolo della fotografia Istat sul lavoro. Cioè quello del lavoro in somministrazione, che certamente esce penalizzato dall'introduzione del decreto voluto da Luigi Di Maio. Sebbene nella seconda versione quella con le modifiche leghiste (che hanno introdotto il tema incentivi e sfilato la totale equiparazione tra tempo determinato e lavoro somministrato) il comparto sia solo costretto ad adattarsi a limitazioni temporali, le agenzie in somministrazione hanno preso una discreta sberla. Dal momento che i contratti senza causali specifiche non possono durare più di 12 mesi (24 solo con deroghe specifiche) già a settembre e ottobre si è cominciato ad assistere a una brusca frenata. In Lombardia a ottobre il calo è stato addirittura del 37%, dato che ha scatenato le critiche a sinistra. Il Pd e soprattutto il partito dei cosiddetti competenti sono partiti, lancia in resta, con l'obiettivo di dipingere l'evento come un dramma. Al di là del fatto che per dare una corretta valutazione del riassesto del mercato del lavoro servono almeno sei mesi, è proprio vero che di fronte a un calo del lavoro somministrato dobbiamo strapparci i capelli? La domanda è retorica. Se i lavoratori si spostano verso altri contratti, non c'è da preoccuparsi. Tanto più che in Italia non si è mai aperto un vero tavolo di confronto sul tema. Basta vedere che le maggiori società del comparto hanno margini lordi che si aggirano sul 20% del fatturato. Tanto. Al contrario le buste paga sono sempre esigue, perché sia la tassazione del cuneo del lavoro, sia la percentuale di commissione ricadono sui lavoratori. Molti incassano poco più di 4 euro netti all'ora. Non è possibile immaginare di eliminare l'intermediazione a lasciare che più denaro entri in busta paga? Invece di andare avanti con il reddito di cittadinanza, i centri per l'impiego, ristrutturati, potrebbero benissimo fare da intermediari. Non sappiamo se sia fattibile in breve, ma certo stracciarsi le vesti perché gli operai non prendono più 4 euro all'ora è un po' riduttivo.Bisognerebbe impegnarsi a rendere questi contratti più interessanti, e spingere - legislativamente parlando - in quella direzione. «Crediamo che il nuovo regime normativo introdotto dal decreto Dignità finisca per snaturare la vocazione originaria del lavoro in somministrazione, caratterizzato da un proprio sistema di regole che ne garantiva la giusta flessibilità», ha sottolineato recentemente, Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda. «È bene ricordare che stiamo parlando di lavoratori regolarmente assunti, ai quali si applicano tutte le norme tipiche del lavoro subordinato», ha concluso. Ecco: le aziende chiedono flessibilità. Cosa sacrosanta. A maggior ragione bisogna rivedere ulteriormente le norme. Ma la direzione può essere quella giusta.
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