2019-05-13
Attenti, vi rubano la casa (e lo Stato non vi difenderà)
Non solo edilizia pubblica: anche le abitazioni di proprietà sono prese di mira dagli «sfondatori di porte». E la legge tutela loro anziché i legittimi possessori.Immaginate di dover lasciare il vostro appartamento per un periodo. Immaginate di trovarci dentro, al vostro ritorno, un'altra famiglia. Che fareste? Chiamereste polizia o carabinieri, molto probabilmente. E lì, dopo quella degli ospiti sgraditi, trovereste la seconda brutta sorpresa: le forze dell'ordine non possono fare niente. Voi sporgete denuncia. Loro segnalano alla magistratura. Ma non possono cacciare gli occupanti abusivi, perché la legge è dalla parte loro: presume che chi sta dentro casa ne sia anche il proprietario. Così, dal momento in cui gli invasori si sono intrufolati in casa vostra, a quello in cui ne rientrerete finalmente in possesso, potrebbe passare molto, molto tempo.Palazzi pubblici, edifici destinati all'edilizia popolare, perfino immobili privati, ereditati o pagati con i sacrifici di una vita. In Italia tutto si occupa abusivamente e nulla si restituisce. Nel settembre del 2018, la circolare del ministero dell'Interno contro le occupazioni abusive evidenziava che, nonostante gli sforzi profusi, la gestione del fenomeno non ha compiuto alcun significativo passo in avanti. A fornire i numeri di quella che ormai è una piaga nazionale ci pensa Luca Talluri, presidente di Federcasa: «In Italia», spiega alla Verità, «ci sono 49.000 case occupate in maniera abusiva; nell'80% dei casi, l'occupazione è opera di quelli che io chiamo sfondatori di porte». E questi sono solo i numeri che riguardano gli edifici di edilizia pubblica. Ci sono altri episodi che invece restano nascosti, quasi ignorati, perché nessuno si prende la briga di censirli. Le case di proprietà occupate abusivamente sono «un fenomeno residuale», ci assicurano da Federcasa. Ma è un fenomeno che si verifica eccome. E quando capita, lo Stato ti abbandona, ti volta le spalle. I malcapitati proprietari, quando va bene, si ritrovano per strada a raccogliere gli effetti personali. E quando va male, si beccano una denuncia per violazione di domicilio - ovvero, per aver provato a rientrare in casa loro! Come è successo a Milano, quartiere Forlanini. A raccontare questa storia paradossale è un sessantenne che ha preferito rimanere anonimo. La sua casa di proprietà è stata occupata abusivamente mentre viveva altrove con la compagna. A nulla è servita la denuncia: le forze dell'ordine hanno identificato gli occupanti, ma senza procedere allo sgombero. E quando ha provato a fare da solo, entrando e cambiando la serratura per riprendersi ciò che era suo, gli abusivi lo hanno denunciato. Sì, avete capito bene: gli abusivi hanno denunciato lui. «La cosa che mi ha ferito di più è stata la perquisizione della polizia», ci racconta. «Erano convinti che avessi rubato qualcosa dall'appartamento. Capite? Prima prendono quello che è tuo e poi ti trattano come un ladro». Da quattro anni è in attesa di riprendersi la casa: nel momento in cui scriviamo, infatti, uno dei due appartamenti di sua proprietà è ancora occupato. Il cortocircuito è proprio questo: per cacciare gli abusivi, spesso ci vogliono anni. «Prima di tutto, bisogna dimostrare che non hanno alcun titolo per occupare», spiega Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. «E non è facile: capita, infatti, che gli inquilini abusivi esibiscano dei documenti falsi che autocertificano un accordo inesistente con il proprietario. E ciò allunga notevolmente i tempi dello sfratto». In pratica, gli occupanti fingono che esista una specie di contratto d'affitto. E le procedure sono spesso lente e farraginose. «La strada migliore in casi come questi», racconta Alba Torrese, uno dei consulenti legali di Confedilizia «è un procedimento cautelare a tutela delle detenzione». Solo un giudice, infatti, può accertare l'illegittimità dell'occupazione, ma prima dell'ordine di reintegra passano mesi: nel frattempo ti ritrovi con gli abusivi in casa e con le parcelle dell'avvocato da pagare. E quando finalmente arriva la decisione del tribunale? Rientri nella tua casa? Macché. «Gli occupanti non hanno nulla da perdere e usano tutti i mezzi per ritardare la procedura di sgombero», continua Torrese. «Nella maggior parte dei casi si fingono malati: sanno che solo la presenza di un medico può escludere eventuali patologie». E se il medico non c'è, la procedura si blocca. «Altre volte invece usano i minori o gli animali come scudo». Ovviamente, tutte le spese sono a carico dei procedenti, cioè i proprietari. Hai bisogno di un fabbro per forzare la serratura? Paghi. Ti serve un servizio di custodia per gli animali degli abusivi? Paghi. Addirittura, il proprietario di casa è costretto a pagare anche per portare via i beni degli occupanti. Soldi che non verranno mai recuperati, poiché gli abusivi sono, nella quasi totalità dei casi, nullatenenti. Ci chiediamo, dunque: agire per vie penali può essere una alternativa valida? «Teoricamente sì, in pratica non funziona mai», continua l'avvocato Torrese. «I pubblici ministeri considerano queste fattispecie reati bagatellari: prima di presentare a un giudice la richiesta di sequestro penale passano anni. O ci si piazza davanti alla loro porta o si resta appesi alla loro discrezionalità. L'unica soluzione efficace è prevenire il reato». In buona sostanza, conclude l'avvocato, in Italia l'unico modo per proteggere la casa è murarla. La giurisprudenza, effettivamente, non è dalla parte dei proprietari. Come si legge su Laleggepertutti.it, «il Codice civile protegge il possesso di un bene». E il possessore «è colui che utilizza la cosa come se ne fosse il proprietario, a prescindere dal fatto che lo sia o meno». Avete capito bene: alla legge, in prima istanza, non interessa di chi è la casa, ma di chi la sta abitando «come se fosse sua». E mentre i tribunali lasciano trascorrere mesi o anni per dirimere la controversia, l'abitazione se ne va in malora.Ne sa qualcosa Eugenia Valenti, una ragazza di Bagheria che aveva lasciato la villetta costruita dal nonno per trasferirsi a Palermo. «Non ce la facevo più a fare avanti e dietro per lavoro, ma quando mi sono trasferita ho preso solo il necessario, rimandando il trasloco». Nel frattempo, come hanno documentato la scorsa settimana Le Iene, nell'abitazione sono entrate tre famiglie del posto. Mogli, mariti e figli. «Quando me ne sono resa conto», ha riferito alla Verità Eugenia, «ovviamente ho chiamato la polizia. Che mi ha detto: “Non possiamo fare nulla, solo una denuncia contro ignoti. Le consigliamo di andare dai carabinieri"». Ma fino a due settimane fa, assicura la Valenti, «non c'era nemmeno un magistrato incaricato di seguire la vicenda. Non so se, dopo il servizio delle Iene, sia cambiato qualcosa». Effettivamente, l'intervento della tv ha smosso le acque. «Due famiglie sono andate via spontaneamente. Rimane l'ultima: ha assicurato che lascerà la casa a fine mese, ma ci credo poco». In ogni caso, nella villetta di Bagheria si contano parecchi danni. C'è la macchina dello zio di Eugenia con il vetro sfondato. Ci sono i rubinetti da risistemare, tracce di allagamento, i sigilli per le persiane e gli infissi rotti, il mobilio divelto… Come se la casa fosse stata abitata da un esercito di occupanti stranieri. «Non ho fatto un preventivo», conclude sconsolata la Valenti, «ma immagino che ci vorranno parecchie migliaia di euro per risistemare tutto». Soldi che dovrà tirare fuori lei.Che lo Stato non tuteli i proprietari lo sa bene il signor Luigi Marzo. Suo cognato aveva realizzato una masseria a pochi chilometri da Lecce: 13 ettari con casa colonica, un ottimo punto di partenza per un'azienda agricola. «Poi successe che proprio in mezzo alla proprietà fecero passare una tangenziale. Mio cognato si scoraggiò e alla fine abbandonò tutto». Morti il cognato e la sorella del signor Marzo, la proprietà passò nelle sue mani. Ma andando a visitare la masseria, Luigi fece l'amara scoperta: la struttura era stata occupata da alcune famiglie rom. «Le forze dell'ordine non mi diedero ascolto», si lamenta con La Verità. «Dovetti ingaggiare un avvocato. Il tribunale ha dormito. Una mano me l'ha data solo la stampa. Sono andato a finire alla Zanzara, il programma di Giuseppe Cruciani, che si era collegato con il capofamiglia dei rom». Al quale era venuta l'infelice idea di minacciare in diretta radiofonica il legittimo proprietario della masseria: «Aveva detto di essere disposto ad andarsene in cambio di una specie di buonuscita. Io gli ho risposto che poteva scordarsela. E lui, di rimando: “Se ti avvicini a noi, ti sparo in testa". Allora ho sporto denuncia e finalmente gli abusivi se ne sono andati». Ma una volta rientrato in possesso di ciò che gli spettava, Luigi Marzo ha trovato macerie: «Gli occupanti avevano accatastato decine di porte di legno e divani che servivano ad appiccare i fuochi. Avevano accumulato di tutto: pannolini sporchi, centinaia di scatolette di tonno vuote, vestiti… Ma la cosa peggiore», si rammarica Luigi, «è che la Caritas, durante l'occupazione, li ha aiutati. Per la corrente avevano risolto allacciandosi alla strada che passava lì accanto. All'acqua, invece, ci pensavano i volontari, che li rifornivano di cisterne. E poi portavano loro talmente tanti abiti, che i rom, anziché lavarli, buttavano quelli sporchi e indossavano quelli nuovi che ricevevano». Per ripulire tutto, il signor Marzo ha dovuto spendere 20.000 euro. «Mentre erano dentro, gli abusivi avevano danneggiato una colonna di un capannone che insisteva sul mio terreno. Io mi ero affrettato a chiamare i vigili del fuoco. Loro sono venuti scortati dalle gazzelle perché erano terrorizzati dagli occupanti. E il giorno dopo mi è arrivata persino l'ingiunzione del Comune, che mi intimava di intervenire sulla colonna pericolante. Capito? Loro mi avevano occupato la masseria, avevano distrutto il capanno e io dovevo andare a riparare il danno per evitare che si facessero male. Per fortuna avevo già provveduto di mia iniziativa. Alla fine», conclude Luigi, «il mio unico pensiero era di liberarmi di quella proprietà. Poteva valere 700.000 euro, l'ho dovuta svendere a 150.000. Ma l'avrei ceduta a qualunque prezzo, perché in Italia, se hai qualcosa, sei finito». Già. Sei finito. Ne è perfettamente consapevole Fabrizio Gianni. L'imprenditore romano, nel maggio 2013, era salito agli onori delle cronache perché l'albergo da 72 camere che aveva realizzato sulla Tiburtina, l'Aniene Roma palace, era stato occupato da decine di famiglie poco prima dell'inaugurazione. «Una storia assurda», ricorda Gianni alla Verità, «storia che aveva raccontato al programma di Nicola Porro su Rai 2, Virus». Il risvolto più grottesco? «Secondo un giudice di Bologna, l'hotel non era stato adeguatamente “difeso", perché c'era un solo guardiano. Dovevo ingaggiare una pattuglia di paramilitari?», chiede ironico il signor Fabrizio. Quella sera di sei anni fa, quando l'albergo fu preso d'assalto, la polizia si vide addirittura costretta a scortare fuori il custode. Da ultimo, Gianni è stato anche condannato a pagare le bollette per i consumi energetici degli utenti: 365.000 euro. «La cosa che mi fa più male», dice l'imprenditore, «non sono i soldi buttati, i 500.000 euro di oneri di urbanizzazione, i mancati guadagni, il fatto che la mia struttura avrebbe potuto dare lavoro a una trentina di famiglie. La cosa che mi fa più male è quello che è successo in questi 6 anni: nulla». Sì, perché l'immobile è ancora occupato. «Era stato deciso che il fornitore dell'elettricità, Acea, avrebbe staccato le utenze. Ma io, quando passo davanti all'albergo, continuo a trovare sempre tutto acceso. Nella migliore delle ipotesi, gli occupanti hanno trovato qualche altro allaccio abusivo. Nella peggiore, il distacco non è mai avvenuto. Ad avvilirmi», continua il signor Gianni, «non è tanto il danno economico, quanto quello morale. Se racconto questa storia all'estero si mettono a ridere, non ci credono. Qui a Roma, invece, capiscono benissimo…». Forse perché, in fin dei conti, aveva ragione il nostro amico salentino, proprietario della masseria che poteva diventare un'azienda agricola e, invece, è finita depredata dai rom: «In Italia, se hai qualcosa, sei finito».