Milano, i pm contro i giudici: «Nessun alibi, la Scia era illegittima e lo sapevano»

Nel ricorso al riesame la procura contesta la buona fede riconosciuta dal gip: norme e giurisprudenza erano già univoche e il Comune aveva segnalato la “totale inidoneità” dell'intervento. Citato anche il precedente di via Fauchè e le altre operazioni finite sotto inchiesta.
La vicenda del cantiere di viale Papiniano 48 diventa uno dei casi più delicati dell’urbanistica milanese. La Procura ha impugnato la decisione con cui la gip Sonia Mancini aveva disposto il dissequestro dell’area. Secondo il giudice, gli indagati sarebbero stati in buona fede, anche a causa dei comportamenti del Comune. Per i pm, invece, quella buona fede non può essere riconosciuta.
Al centro dell’inchiesta c’è la demolizione di un edificio commerciale e la costruzione di una torre residenziale di otto piani.
La società aveva avviato i lavori con una Scia alternativa al permesso di costruire, qualificando l’intervento come ristrutturazione edilizia. Per la Procura si tratta invece di una nuova costruzione, con dimensioni che superano i limiti nazionali previsti dalla legge urbanistica. Un intervento che richiede un piano attuativo. La Scia, sostiene l’accusa, è “totalmente inidonea” a legittimare i lavori.
Il gip aveva riconosciuto l’illegittimità dell’intervento. Ma aveva però ritenuto inevitabile l’errore degli indagati, attribuendo peso alle prassi del Comune. Prassi in cui Palazzo Marino non richiedeva il piano attuativo sopra le soglie stabilite dallo strumento urbanistico, e non in base ai limiti nazionali di altezza e volumetria. Una linea poi formalizzata nella circolare del luglio 2023 e successivamente sospesa.
Le pm Luisa Baima Bollone e Giovanna Cavalleri ribaltano questa lettura. Nel ricorso sottolineano che un costruttore o un progettista è un “operatore economico esperto”. Una figura che non può invocare la propria ignoranza della legge, soprattutto quando da quella ignoranza derivano “vantaggi economici lucrabili”. Secondo l’accusa, anche davanti a un semplice dubbio l’imprenditore deve fermare i cantieri per “conseguire la corretta conoscenza” delle regole. Non solo. Per la Procura la buona fede è possibile solo di fronte a un vero contrasto giurisprudenziale. Una situazione che, secondo gli inquirenti, non esiste nel caso di Papiniano.
Nel documento gli uffici comunali assumono un ruolo importante. La Procura riconosce che un’autorità amministrativa può ingenerare un “convincimento scusabile”. Ma non quando circolari e determine risultano in contrasto con la gerarchia delle fonti.
La legge statale prevale. Lo stesso Comune, tra ottobre e novembre 2025, avrebbe chiarito agli indagati la necessità di un piano attuativo. In una nota del 7 ottobre Palazzo Marino parla di “totale inidoneità” della SCIA a legittimare l’intervento.
Da quel momento, scrive la Procura, gli indagati non potevano più dirsi ignari. Il caso coinvolge l’architetto Mauro Colombo, progettista e direttore dei lavori. Nel ricorso i pm ricordano che Colombo è già imputato in un altro procedimento per fatti ritenuti “del tutto sovrapponibili”. Si tratta del cantiere di via Fauchè, il cosiddetto “palazzo nel cortile”, dove Tar e Consiglio di Stato hanno escluso che una demolizione-ricostruzione così radicale potesse essere qualificata come ristrutturazione.
In quel processo, lo scorso maggio, il Tribunale penale aveva già respinto l’argomentazione della buona fede avanzata dalle difese.
Per la Procura questa circostanza rende “a maggior ragione” non credibile la tesi della buona fede nel caso di Papiniano. Nelle pagine dell’appello ritorna anche il tema delle lottizzazioni abusive. La Procura richiama i sequestri già confermati nei casi di via Crescenzago 105 e via Cancano 5. Vicende che, secondo i magistrati, presentano analogie nelle modalità di qualificazione degli interventi e nei profili giuridici. Il quadro complessivo, sostengono gli inquirenti, mostra un uso improprio della SCIA per interventi che avrebbero richiesto pianificazione attuativa.
Il ricorso insiste su un principio: in caso di possibile violazione della norma, l’imprenditore ha l’obbligo fermarsi. Un “atteggiamento di cautela” che, secondo la Procura, nel cantiere di Papiniano non c’è stato. Da qui la richiesta al Tribunale del Riesame di ripristinare il sequestro. La decisione è attesa nelle prossime settimane. La vicenda alimenta il dibattito sul rapporto tra norme nazionali e prassi locali. E riporta al centro la domanda di fondo: chi costruisce può davvero invocare la buona fede quando la legge e la giurisprudenza indicano una strada diversa?






