Da giugno 2021, il vaccino killer fu limitato agli ultrasessantenni. Eppure, fino a dicembre, 44 giovani tra 12 e 19 anni e 216 tra i 20 e i 29 lo ricevettero come prima dose. E coi richiami le persone messe in pericolo lievitarono.
Da giugno 2021, il vaccino killer fu limitato agli ultrasessantenni. Eppure, fino a dicembre, 44 giovani tra 12 e 19 anni e 216 tra i 20 e i 29 lo ricevettero come prima dose. E coi richiami le persone messe in pericolo lievitarono.Due giorni fa, l’ex direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute, Giovanni Rezza, commentando il ritiro mondiale di Vaxzevria annunciato da Astrazeneca, ha dichiarato sul Corriere della Sera: «Da metà del 2021 in Italia quei vaccini non si usano più». Aggiungeva che, dopo la sua circolare del 18 giugno 2021 «si limitava la possibilità di utilizzarlo solo a chi, sotto i 60 anni, aveva ricevuto la prima dose di Astrazeneca e voleva completare il ciclo, dietro sua richiesta, con lo stesso prodotto senza passare a composti diversi». Era quello il parere del Cts, allegato alla circolare firmata dall’infettivologo e concordata con l’allora ministro della Salute, Roberto Speranza, dove si precisava: «I fenomeni tromboembolici sono meno frequentemente osservati dopo somministrazione della seconda dose». Ma la circolare del ministero della Salute, con l’aggiornamento del parere del Cts, è dell’11 giugno. Alle Regioni, all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) a tutte le associazioni e federazioni mediche, alla Protezione civile, in quella data si affermava che alla luce delle nuove indicazioni «il vaccino Vaxzevria viene somministrato solo a persone di età uguale o superiore ai 60 anni (ciclo completo)». Come mai, allora, dal 12 giugno 2021 vennero ancora somministrate fino a fine anno 1.244 prime dosi di Astrazeneca ? Certo, non sono un grande numero, ma la circolare era stata letta? Una ragazza di 18 anni, Camilla Canepa, era appena morta dopo la somministrazione di Astrazeneca in un open day, quindi i medici dovevano essere ancor più in allarme su possibili eventi avversi o fatali, anche trombotici. Eppure, tra giugno e ottobre 2021 (dati del ministero della Salute), altri 44 giovani in fascia 12-19 anni ricevettero una prima dose del vaccino oggi ritirato. In fascia 20-29 anni, fino a dicembre 2021 furono altri 216 under 60 a rischiare eventi gravi, secondo quanto emergeva dalle segnalazioni. Il vaccino si continuò a dare, come prima dose, a 239 under 40 e 340 under 50. Nessuno vigilava su queste somministrazioni? Dopo che si erano verificati decessi in persone giovani vaccinate con Astrazeneca? E per fortuna che Rezza si è affrettato a dire: «Già ad aprile comunque avevamo raccomandato questo vaccino in via preferenziale sopra i 60». In quel mese, infatti, il Comitato per la sicurezza dell’Agenzia europea del farmaco aveva annunciato di aver «concluso, dopo una approfondita analisi, che i rari casi di coaguli di sangue siano inseriti nell’elenco dei possibili effetti collaterali». Malgrado le raccomandazioni di Ema, erano sempre le troppe le scorte di Astrazeneca acquistate ma non utilizzate, che si dovevano consumare prima che venissero gettate per sopravvenuta scadenza? «Noi stiamo facendo i conti con le dosi di Astrazeneca che abbiamo in casa, ma poi ne arriverà una nuova fornitura», avvertiva Cinzia Caporale della commissione etica del Cnr, come ricordava ieri nell’editoriale il direttore Maurizio Belpietro. Il parere del Cts almeno su questo appariva chiaro: «Il cambiamento di scenario epidemiologico in considerazione del basso livello di circolazione virale e della prevalente disponibilità di vaccini a mRna, tenuto conto del principio di massima cautela e del principio di equità che richiede di assicurare a tutti i soggetti pari condizioni nel bilanciamento benefici/rischi […] consente di rafforzare la raccomandazione per l’uso della prima dose del vaccino Vaxzevria nei soggetti di età superiore a 60 anni, nei quali il beneficio derivante dalla vaccinazione supera i potenziali rischi collegati allo sviluppo di fenomeni Vitt associati alla vaccinazione».In merito all’opzione della seconda dose sempre con Astrazeneca, di un soggetto di età compresa tra i 18 e 59 anni, il Cts riteneva che «debba essere garantita l’autonomia nelle scelte che riguardano la salute dell’individuo», quando «pur a fronte di documentata e accurata informazione fornita dal medico vaccinatore o dagli operatori del centro vaccinale, sui rischi di Vitt, rifiuti senza possibilità di convincimento, il crossing a vaccino a mRna».La seconda dose di Vaxzevria fu data a 339.395 under 60, dopo quella circolare. Davvero furono persone tutte informate dei rischi e che insistettero a non cambiare vaccino per il secondo inoculo?
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






